Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website La chiesa rupestre di S.Simine in Pantaleo a Massafra

La chiesa rupestre di S.Simine in Pantaleo a Massafra

Ubicata in Contrada Pantaleo, a circa 2 km dal centro abitato di Massafra, la CHIESA RUPESTRE DI SAN SIMINE IN PANTALEO risale al X secolo circa. Alla chiesa di S. SIMINE si giunge dopo aver attraversato un lungo campo, solcato da ulivi, camminando per un breve percorso pedemontano tra rocce affioranti e macchia mediterranea, fino alla parete calcarenitica iniziale che sale a monte verso la gravina.

La struttura si compone di un’aula a pianta quadrata con nicchie, archivolti sulle pareti e presbiterio terminante con abside semicircolare.

La chiesa rupestre di S.Simine in Pantaleo a Massafra

Bellissima la recinzione a Templon (iconostasi) che separa l’aula dal Bema (spazio sacro per i riti), decorata da due arcosoli laterali, due piccole monofore ed una porta centrale rastremata ed arcuata.

Nella chiesa si conservano alcuni affreschi interessanti, tra cui una bellissima Madonna Odigitria.

Si giunge alla chiesetta tramite un piccolo sagrato, contornato da alberi di pino, sul quale spicca la facciata, bassa e larga del luogo sacro. Vi si accede tramite due aperture di cui, l’originale, sormontata da una lunetta a semicerchio.

L’ingresso originale era costituito dalla piccola porta centrale, ora chiusa da una grata, sormontata da una lunetta cieca.

A sinistra dell’ingresso fu scavata una grande cisterna per l’acqua, isolata da un’intonacatura di cocciopesto.

La chiesa presenta una grande aula quadrata di 6 x 6 m circa. Lo schema costruttivo della cripta risulta arcaico per molti elementi, è dato perciò supporre che la sala principale d’ingresso, sia stata scavata in precedenza rispetto alla zona absidale, durante una prima fase di escavazione compresa tra il X e l’ XI secolo.

Per cui si ritiene che l’invaso rupestre sia stato scavato probabilmente in due tempi. In origine la chiesa aveva pianta quadrata con orientamento Nord-Sud. Dopo l’XI secolo, per mutati canoni liturgici, fu scavata l’iconostasi a Est per darle l’orientamento a Est (dove c’è Cristo-Luce “sole che sorge dall’alto”). All’interno la parete nord presenta tre grandi nicchie ad arco: due laterali a fondo piano e quella centrale a calotta absidale.

Nella nicchia laterale sinistra ci sono affreschi molto deteriorati e poco leggibili. Circondati da una bella cornice affrescata a tralci vegetali, sono riconoscibili un santo barbuto a sinistra, forse seduto, e un angelo a destra.

Nella nicchia laterale destra è rappresentata una bellissima Madonna Odigitria con Bambino.

Al proposito è interessante la citazione riportata da Gaetano Malandrino sul suo saggio “Il ciclo di affreschi della Grotta di San Corrado o dei Pizzoni”, quando rileva l’analogia tra ” … lo stesso intradosso dello stretto arco absidale è caratterizzato da un motivo a tralci d’uva e spirali.” come questo di S.Simine.

L’immagine rappresenta la Madonna Panaghia Odighitria, «che indica la via» (hodòs), chiamata così da una chiesa di Costantinopoli, nella quale erano solite ritrovarsi le guide delle carovane dei pellegrini.

Maria viene raffigurata con il Bambino in braccio, il quale alza la mano benedicente.

In Occidente questa iconografia divenne il tipo fondamentale delle Madonne gotiche.

Nella parete a Est si apre l’iconostasi, interamente scavata nella roccia. L’insieme è assai proporzionato e ben equilibrato, e probabilmente le dimensioni soggiaciono a qualche sistema canonico di unità di misura.

Questo templon è un elemento raro, dato che le chiese rupestri pugliesi che presentano l’iconostasi, come S. Simine, sono poco più di una decina.

La struttura è simmetrica ed è formata da un arcosolio cieco e da una piccola monofora tonda, disposti quasi alla stessa altezza, su ciascun lato.

Sulle pareti del templon e sul muro a sud sono stati incisi numerosi petroglifi a forma di croce di vario tipo.

L’antica iconostasi introduce nell’area del bema, una sala quadrata destinata ai riti, che sul fondo presenta un’abside a calotta con altare addossato alla parete, cosidetto alla latina, affiancato da due nicchie laterali sulle pareti Nord e Sud e banchi risparmiati con funzione di sedili ( subsellium ) alla base delle arcate.

Pur appartenendo ad un’architettura che io definisco “popolare” rispetto a quella coeva fuoriterra, perchè eseguita probabilmente, al contrario di quella, da gente semplice, non specializzata nella progettazione e nell’esecuzione a “regola d’arte”dello scavo in sottrazione, l’estetica dei pochi elementi architettonici rupestri è sempre accattivante e piacevole da vedersi. Probabilmente andrebbe eseguito uno studio più approfondito sui criteri modulari e proporzionali usati nel rupestre, per averne un riscontro scientifico, ma è evidente che anche qui, come nell’architettura rurale fuori terra, esisteva nel cavatore anche non professionista un “naturale equilibrio visivo”, un “imprinting” indotto dalla visione delle forme e dei rapporti dimensionali e coloristici della natura.

L’uso dell’arco diventa poi un elemento iconologico molto importante all’interno della gestalt ( psicologia della visione ) dell’architettura rupestre, perchè l’uso dell’arco nella sua varietà, come elemento statico, decorativo e funzionale, per le arcate delle pareti, le cornici di porte e finestre, per le lunette sopra le porte, per le absidi, per unire gli intradossi dei pilastri, per le arcatelle decorative di soffitti, per gli arcosoli, per le nicchie cieche piccole e grandi, per le porte e per le finestrelle, induce un elemento plastico, morbido, accogliente, nel quale ci si riconosce e ci si identifica per vari motivi di tipo antropologico, così da alleggerire e rendere piacevole alla vista la sovrastruttura povera, funzionale e assolutamente trilitica, dell’architettura volumetrica rupestre.

Per concludere l’analisi della chiesetta di San Simine, consideriamo anche i due grandi fori, scavati nel pavimento quasi al centro dell’aula, a forma di pozzetto, che servivano per conservare le derrate alimentari, frutto del riuso della chiesa in periodi più recenti.

Probabilmente a questi periodi recenti di riuso, risale anche l’apertura, scavata nella parete di sinistra, di un rozzo vano che immette in una stanza trapezoidale malamente scavata, che la leggenda attribuisce all’abitazione di un eremita, ma che una visione più realistica, alla luce del vicino insediamento rupestre, ci fa ritenere essere stata usata come abitazione di un custode della chiesa o di pastori o contadini.

Sulle pareti si trovano nicchie per lucerne ed un lungo sedile – giaciglio risparmiato nella pietra.

Uscendo dalla chiesetta e spostandoci di un centinaio di metri sulla sinistra, scavato a mezza costa dell’aspra collina, ricca di profondi solchi carsici di struggente bellezza, troviamo un piccolo insediamento rupestre.

Nei villaggi sono ben evidenti i segni di una primitiva organizzazione urbana fatta di percorsi, sentieri, rampe di scale, depositi di derrate alimentari, sistemi di canalizzazione e raccolte dell’acqua piovana, strutture produttive, ecc. per cui anche in questo villaggio di San Simine noi troviamo, sebbene devastate da numerosi crolli delle facciate, le tracce delle abitazioni, di vasche per l’abbeverata, apiari, ecc.

Evidenti gli scassi, bassi e lunghi, degli apiari: gli avucchiari.

E i resti dei muri a secco, in parte scavati, dei recinti che proteggevano l’abitazione ed il gregge, e da cui si usciva attraverso una rozza apertura.

Gianluigi Vezoli

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