Nel cuore del Mediterraneo rifulgeva una delle città-memoria di quello che i Romani avrebbero chiamato mare Nostrum. Roca.
Quasi un’anomalia, per la quantità di dati storici e archeologici che ha tramandato, che ancora ha da restituire, che abbracciano una lunga serie di periodi storici, incastonati nell’arco di tremila anni, a partire, e questa è l’anomalia più forte, dall’Età del Bronzo, che qui come in pochi luoghi ha profuso reperti in quantità impressionante.La più antica occupazione dell’insediamento di Roca risale al XVII sec. a.C. Già durante la prima fase di vita, il sito è protetto verso terra da un’imponente opera di fortificazione, attualmente conservata per una lunghezza di circa 200 metri e per uno spessore alla base di oltre 20 metri. E’ tuttavia ipotizzabile uno sviluppo ancor maggiore del sistema difensivo, dal momento che le due estremità del muro risultano interrotte da crolli della falesia e che la fronte esterna è stata pesantemente disturbata dall’escavazione del fossato tardo-medievale. La monumentalità dell’impianto difensivo di Roca non trova riscontro nel panorama protostorico italiano, rimandando piuttosto a modelli architettonici di derivazione egeo-orientale. Si consideri anche che la complessità delle strutture di fortificazione e il largo impiego di manodopera specializzata indispensabile per la loro costruzione non sono immaginabili se non nel quadro di una comunità con un alto livello di organizzazione socio-economica e con un’adeguata consistenza demografica. Nel corso dei secoli XIV-XIII a.C. il sito viene riorganizzato e le fortificazioni ricostruite, inglobando le rovine delle mura più antiche e conservandone il tracciato. La tecnica edilizia adottata comporta una sensibile riduzione dell’impiego di legname; è attestato anche per la prima volta un vasto uso di blocchi squadrati di calcare locale. I livelli di occupazione e gli strati di riporto attribuibili al Bronzo Recente hanno restituito straordinari insiemi di testimonianze archeologiche, comprendenti abbondante vasellame locale d’impasto, notevoli percentuali di più raffinate ceramiche egee (Tardo Elladico IIIB-IIIC Antico) e numerosi reperti botanici e faunistici, questi ultimi pertinenti tanto a resti di pasto quanto a oggetti e strumenti in materia dura animale. La fase del Bronzo Finale (XII – inizi X sec. a.C.) è caratterizzata da una sostanziale continuità di occupazione e da un’ulteriore riorganizzazione del sito. La fisionomia dell’insediamento sembra rispondere ad una precisa pianificazione spaziale, rivelando un impianto fortemente regolare e monumentale. Lo documentano le imponenti opere difensive, la maglia quasi ortogonale dei percorsi stradali e la frequenza di imponenti edifici lignei, verosimilmente destinati a funzioni “comunitarie” di varia natura. Una di queste strutture, interpretata come “capanna-tempio”, presenta una pianta rettangolare allungata (37 per 17 metri circa). Nell’ambito della capanna-tempio si distinguono diverse aree destinate alla cottura dei cibi, testimoniate da numerosi fornelli fissi in argilla e da vasellame comune da cucina in ceramica d’impasto. Altri manufatti rivelano una probabile valenza cultuale e un’affinità formale con oggetti circolanti nelle regioni del Mediterraneo centro-orientale. L’occupazione del sito di Roca è plausibilmente connessa, sin dalle prime fasi di vita, con la frequentazione a scopo cultuale della Grotta Poesia, ubicata a sud della penisola che ospita le rovine dell’insediamento protostorico. Il nome attribuito al complesso carsico potrebbe derivare dal termine greco-medievale pòsis, con riferimento alla presenza in antico di una sorgente d’acqua dolce. In origine asciutta, buia e accessibile da terra, la Poesia risulta allo stato attuale invasa dal mare nella parte bassa, ed aperta verso l’alto a causa del crollo della volta. L’importanza archeologica della grotta deriva dalla scoperta, effettuata dal Prof. Cosimo Pagliara nel 1983, di uno straordinario insieme di segni e testi graffiti, conservati lungo tutto il perimetro interno, per un’altezza di circa 8 metri. Le evidenze più antiche sono rappresentazioni di mani e piedi e di figurazioni antropomorfe che trovano riscontro in analoghi santuari ipogeici della tarda preistoria, come la Grotta dei Cervi di Porto Badisco. Gli archeologi dell’associazione Vivarch, che gestiscono l’intero sito archeologico di Roca, e che accompagnano tutti i visitatori in loco, sperano in futuro di rendere questa grotta fruibile al turista: per il momento è impossibile accedervi, e queste sono immagini datate. Lungo la linea di fortificazioni dell’Età del Bronzo si apriva la cosidetta Porta Monumentale, che aveva uno spessore di 25 metri ed un’altezza di 8: veramente impressionante! Lungo questa poderosa fortificazione gli archeologi hanno fatto scoperte considerevoli. Durante un assedio del XIV secolo a.C. La città fu devastata da un incendio. In una postierla furono ritrovati gli scheletri di una famiglia che aveva cercato di trovare rifugio, ma morì asfissiata dai fumi dell’incendio, la madre stringeva ancora a sé il bambino più piccolo. Fra gli altri morti di maniera violenta c’è anche un uomo, armato di coltello, che trovò la morte sempre nei pressi della fortificazione. Durante il periodo messapico, la città crebbe sempre più in floridezza, aveva scambi con l’altra sponda balcanica, lungo la cui costa gli archeologi hanno riscontrato un altro sito che reca iscrizioni simili a quella della Poesia piccola: erano i naviganti che varcavano felicemente il temuto Os Vadi, la “bocca dello stretto”, e ringraziavano la divinità che li aveva accompagnati. Nel periodo Romano la città era ancora fiorente, sono state ritrovate le tracce di una villa rustica appena fuori le mura. Poi, mancano alcuni passaggi, per il momento, nella ricostruzione storica, ma la città è stata sempre abitata, e del medioevo possiamo ammirare ancora oggi la case a schiera dei suoi abitanti, datate fra XIV e XVI secolo, cisterne per la raccolta delle acque, molte fosse granarie per l’accumulo delle cibarie. Vi erano due chiese, una di rito ortodosso, costruita nel Trecento sopra un precedente tempio rupestre, come se vi fosse una precisa volontà di dare continuità al luogo di culto. Aveva delle sedute, e vi è stata ritrovata sul sito una sepoltura. Il castello è ormai solo un rudere, anche se aspetta di essere indagato dagli studiosi. Ci restano le foto d’epoca scattate da Giuseppe Palumbo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, che mostrano ancora scorci in cui i crolli non erano pesanti come oggi. La scogliera mostra alcune grotte scavate e abitate nel medioevo, che custodiscono anch’esse interessanti graffiti, come la silhouette di una lunga nave che riemerge da secoli lontani. Tutto intorno è un paesaggio che reca nella pietra come un libro, pagine di memorie, ad ogni angolo, dappertutto. Anche di tempi probabilmente recenti, come dimostrano questi segni paleocristiani reinterpretati da chissà chi, dal lato mare della grotta della Poesia grande. Oppure questo tunnel che sfocia nella baia di Portuligno, e che proviene dall’entroterra, da centinaia di metri, e di cui mi dicono che ve ne sia un altro dal lato sud della città. Cripte, ipogei, grotte che custodiscono pietre lavorate con iscrizioni che aspettano lo studio degli archeologici, questa città promette di rivelarci chissà quanto ancora della sua storia infinita. Consiglio vivamente al visitatore di Roca, la guida degli archeologi che lavorano sul sito, e poi una visita al castello di Acaya, dove si può osservare una splendida mostra denominata “Roca nel Mediterraneo”, da cui provengono le immagini dei reperti della città dell’Età del Bronzo ed alcune ricostruzioni. Le notizie le ho tratte dal volume della Mostra, dai pannelli informativi del Parco Archeologico e dagli archeologi che accompagnano il visitatore: ma quello che avete visto sin qui è ancora un’emozione di poco conto. Roca, dal vivo, vi farà rivivere l’antico Mediterraneo. Il mare, l’origine dei nostri antenati.
Fonti: Vivarch, pannelli informativi del parco archeologico, volume della mostra “Roca nel Mediterraneo”. Cosimo Pagliara, Riccardo Guglielmino (Laboratorio di Scienze Applicate all’Archeologia, Università del Salento). Gregorio Angelini (Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia). Luigi La Rocca (Soprintendente per i Beni Archeologici della Puglia). Salvatore Bianco (Funzionario Archeologo Soprintendenza Archeologica della Puglia). CURATORI. Oronzina Malecore (Istituto di Culture Mediterranee), Luigi Coluccia, Marco Merico (Laboratorio di Scienze Applicate all’Archeologia, Università del Salento).
ALESSANDRO ROMANO [chi sono]
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