Conobbi per caso, la vicenda umana di Maria Manca, una storia d’amore e di sventure, di perdizione e di rinascita, accaduta secoli fa nel piccolo Salento antico, e rimasta nella memoria del suo paese, Squinzano, e non solo.
Nata nel 1578, era una ragazza dalla bellezza meravigliosa, giovane sposa e mamma felice, devota a Dio, timorata come nessuna. Arrivò anche per lei, purtroppo, l’epoca delle tragedie. Prima morì la sua amatissima madre, e subito dopo l’adorato marito. A quel punto, a neanche 24 anni, consacrò il proprio corpo a Dio. Ma c’era un uomo che la desiderava ardentemente, e che per averla era disposto a tutto: Lupo Crisostomo, di Soleto. Avendo visto vani tutti i suoi tentativi di portarla a seconde nozze, si rivolse a un potente mago del suo paese. Erano quelli gli anni in cui era pratica diffusa nel Salento procurare sortilegi, macarìe, e Soleto era patria eletta per effettuare questi malefici. Così, il mago gli chiese di portargli il cibo prediletto della donna. Crisostomo gli recò un grosso fungo, e ottenne il maleficio che avrebbe vinto Maria. Tramite una donna, che nulla sapeva, glielo fece pervenire, così Maria Manca quella sera stessa cucinò il fungo, lo mangiò, e subito cadde in un vortice d’indicibile lussuria. L’uomo ebbe così la donna. Insieme convolarono a nozze. Ma già subito dopo essere giaciuta con lui, Maria decadde, come un’ossessa, nel corpo e nella mente. Si ricopriva di piaghe puzzolenti, e malattie che nessun medico sapeva guarire. Soffriva terribilmente tutte le pene dell’inferno. In quello stato generò altri figli. Ma il marito, pentito di aver condannato in quel modo la donna, tornò dal mago perché le togliesse il maleficio. Ma non c’era più modo di toglierlo. Lupo Crisostomo morì senza essere riuscito ad aiutarla. Maria continuava a pregare, devota come sempre alla Madonna, di essere liberata da tutti quei mali, ma pure aggiungendo che se il Suo Bambino avesse già deciso che così doveva essere, ben lieta ne sarebbe stata lo stesso. Finché, un giorno, dopo diversi anni, mentre raccoglieva olive nei campi, le apparve una giovanetta, che le porse un garofano, dicendole: “Prendi. Portalo al mio figliolo, a Galatone”. In quegli anni, in un vicolo stretto del centro storico di Galatone, la gente venerava una sacra immagine del Cristo dell’estrema umiliazione, che un monaco senza nome aveva raffigurato 250 anni prima, con le spalle addossate ad un palo, e le mani legate avanti. Ebbene, una sera, davanti alla folla di fedeli radunati in preghiera, accadde un evento portentoso: il Cristo si animò, scostò il telo che essi avevano steso per proteggerlo dalla pioggia e li guardò con degli occhi di fuoco. In quei giorni, gli eventi strabilianti si susseguivano davanti agli occhi di tutti, e molti furono i miracolati. Ognuno sapeva che era opera di quel Cristo, che dopo quel giorno apparve in quell’icona con le braccia legate dietro la schiena. La scena dell’apparizione della vergine a Maria Manca è rappresentata da un’opera della prima metà del 1700, di autore anonimo, in cui sulla sinistra si nota la scena dell’apparizione, dove nei pressi compare anche un diavolo, tra le fiamme e con le ali spiegate, come a ribadire la sua presenza, mentre al centro, Maria riceve nelle mani il garofano dalla Madonna. Maria Manca partì, da casa sua, la sua dimora che ancora oggi si può vedere a Squinzano, e si diresse da Lui, a Galatone, per portargli quel garofano. Si mosse con una piccola carovana, percorrendo tratturi di campagna. La accompagnavano don Alessandro Agostini e don Leonardo Marzo. Lungo il cammino, alle porte di Copertino, Maria manifestò una brutta crisi: barcollante, iniziò a dimenarsi e a rotolarsi, emettendo suoni gutturali, mentre i suoi compagni di viaggio recitavano orazioni senza sosta. Riesce a rimettersi in piedi, lasciandosi poi andare a violenti conati di vomito. Infine, Maria spalanca le braccia al cielo, sorridente, mentre don Alessandro ringrazia il Signore. Poi giungeranno a Galatone, davanti alla sacra icona, e da allora, il suo corpo rinacque a nuova vita. Per gratitudine verso la SS.Vergine, volle costruire per Lei una chiesa. Raccolta una discreta somma da persone devote, la costruzione si cominciò nel 1618. Durante l’erezione di questo tempio si verificarono non pochi prodigi, fra i quali quello dell’acqua, che, mancando prima, scaturì poi copiosa per le preghiere di Maria Manca alla Madonna. Portate a termine le fondamenta, venne a mancare il denaro, per cui il cassiere dovette licenziare i maestri muratori. Maria Manca era molto triste per questo, ma accadde un giorno che un vecchietto portò in dono una grossa somma di moneta in argento. Le cronache del tempo riportano molti prodigiosi avvenimenti che si verificarono. Attirò l’attenzione dei suoi concittadini, la grazia ottenuta per il maestro muratore Francesco Isceri, squinzanese, che caduto dalla parte più alta della facciata della chiesa tra le pietre, fu raccolto da terra tutto contuso senza dar segni di vita. Saputo ciò Maria, vi accorse subito, e col solo toccare il paziente, gli restituì la perfetta sanità. Per questi prodigi, tutti affermavano che l’opera era voluta da Dio, per cui il tempio con i vani annessi fu portato a compimento nel 1627. Per corredarlo e dotarlo non pochi altri prodigi accorsero. Interessante è ciò che successe a due coniugi leccesi, di cui si conserva memoria manoscritta nel messale, che fu da essi donato, e dove così è scritto: Essendo venuta Maria in opinione di santità, e la sua chiesa in grande venerazione attirò i coniugi Lisgara, perché la signora Caterina Miniota fosse liberata da acuti dolori che mensilmente soleva soffrire. Maria col solo toccarla con la sua mano, non solo la liberò da siffatti dolori, ma ancora le predisse che avrebbe avuto un figliuolo, e che sarebbe stato un gran servo di Dio. Fu fatta questa predizione nell’ottobre del 1666, dopo dieci anni di sterilità di Caterina, che così partorì felicemente l’11 giugno 1667. Altra predizione fece Maria, soggiungendo che quel figliuolo doveva rimanere unico maschio, che non giungerebbe ad esser religioso, sebbene un tale stato avesse richiesto, ma avrebbe preso la via ecclesiastica per ascendere al sacerdozio, ed in tal professione di vita giovar molto ripieno di molte virtù, ma sopra tutto eccellente carità verso il prossimo. Quanto disse la donna tutto si avverò. Uno dei primi prelati leccesi che andò a visitarla, fu monsignor Pappacoda, l’illustre prelato leccese, che fece in modo di far giungere in questa chiesa, nel 1668, le reliquie di alcuni santi martiri. Anche monsignor Antonio Pignatelli, vescovo di Lecce, che poi divenne Papa col nome di Innocenzo XII, venuto in visita a Squinzano ebbe parole di lode per Maria Manca e per la chiesa eretta. Il culto e la devozione alla Vergine SS. dell’Annunziata si accrebbe in modo considerevole per i prodigi che operava Maria Manca, per cui da tutte le parti della provincia correvano a Lei a chiedere grazie. Fra le tante persone, la Marchesa di Campi, moglie di Giovanni Enriquez, che per opera di Maria Manca, liberata da acuti dolori del parto, potè dare alla luce il figlio primogenito, Gabriele Agostino Enriquez, primo principe di Squinzano. La chiesa è un tripudio di bellezza e di arte, a cominciare dall’altare maggiore, adorno delle raffigurazioni dell’Eterno Padre, la SS.Vergine Annunziata, l’Arcangelo Gabriele. Vi sono le statue di S.Antonio di Padova, e di S.Giuseppe da Copertino, che qui celebrò la messa ed era certamente a conoscenza delle virtù di Maria Manca. A lato poi dell’altare vi è l’organo, su cui campeggia una graziosa statuetta che raffigura Maria Manca quando partì per Galatone per portare il garofano, e di sotto il coro. Tutti e sei gli altari sono barocchi, dedicati all’Immacolata, alla Natività, alla Visitazione, alla Purificazione, Assunzione e Presentazione. Una magnifica volta, a nervature decorate di foglie di bosso, copre la navata della chiesa, su cui compare lo stemma di Squinzano. Per via del continuo fluire di pellegrini, dietro l’altare maggiore furono costruiti alcuni vani per l’ospitalità, ed un cortile, con una grande cisterna per la raccolta delle acque. Qui furono ospitati i marchesi di Santa Flora e di Trepuzzi ed altre illustri persone che si recavano a visitare questa chiesa, arricchendola di panni finissimi in damasco ed arazzi, di paliotti damascati e in lamine d’argento, di piviali, pianete, dalmatiche di diversi colori, di pissidi e calici. Furono anche concesse molte indulgenze a coloro che visitavano la chiesa nelle diverse festività della Madonna, confermate poi da Benedetto XIV nel 1755 e da altri suoi successori, mentre Pio X nel 1906 concedeva l’altare maggiore privilegiato perpetuo. Gli ambienti che erano offerti ai pellegrini, all’epoca, oggi sembrano quasi un museo ai nostri occhi, vediamo tanti oggetti che ci riportano a quegli anni, come i paramenti liturgici, fra cui, chissà, potrebbe anche esserci quello usato da San Giuseppe da Copertino quando celebrò la messa qui. Vediamo la stanza dove visse Maria Manca, col suo semplice arredo, il rosario, il messale avuto in dono, tutto il suo mondo di preghiera che trabocca ancora oggi di una serenità abbacinante. Il passaggio incessante dei pellegrini viandanti, da questa chiesa, è testimoniato anche dalla considerevole quantità di graffiti che hanno lasciato. Uno reca la data 1619, ossia l’anno dopo dell’inizio della costruzione della chiesa. Ci sono tracce di epigrafi, una sembra molto significativa e ben costruita, sulla base di una delle colonne della facciata, che inizia dicendo “possibile est”, ma l’usura del tempo l’ha resa difficilmente leggibile. Ci sono i simboli tipici dei pellegrini viandanti, come la mano, e sopratutto il sandalo, che troviamo qui, come in altri luoghi sacri non lontano da qui, e che ci ricorda alcune parole dell’Antico Testamento, l’Esodo, quando Dio si rivolse a Mosè, dicendogli di togliersi i sandali prima di camminare sul suolo sacro del Sinai. E’ una riflessione: se i sandali non avessero avuto un’influenza negativa, Dio non gli avrebbe chiesto di toglierli. Perché togliere le scarpe? La Presenza di Dio aveva riempito il Sinai di energia. I sandali sarebbero stati come un isolante, ossia il dubbio, che tante volte si attacca all’uomo. .Prima che Dio promettesse qualcosa d’impossibile a Mosè, che era la liberazione dalla schiavitù egiziana, Lui disse: “Togli i sandali dai piedi”; Mosè non poteva ascoltare ciò che Dio gli avrebbe promesso avendo i sandali ai piedi. Senza sandali, lui sarebbe stato un ricettore dell’Energia di Dio, e starebbe stato in cima al Monte Sinai e davanti a Dio, con tutta la sua forza. Infatti, quando la persona crede, lei sale il Monte Sinai senza i sandali ai piedi, senza dubbi, con tutta la sua forza. Chi non ha conquistato quello che doveva conquistare, a causa di una fede che dice di avere in Dio, con certezza, ancora non ha tolto i sandali dai piedi, per questo non ha messo tutta la sua forza. I pellegrini di allora erano certamente gente semplice, ma conoscevano la Bibbia, vi avevano un rapporto infinitamente più intenso di quello dell’uomo di oggi, frastornato dai ritmi della modernità, senza più tempo alcuno per la meditazione. Per cui, questi sandali che hanno lasciato inciso sui muri appena prima della porta di accesso al tempio, assumono un valore profondo e certamente gradito a Dio. A chi viene oggi a visitare il Santuario, consiglio di fare una tappa anche all’edicola della Nunziatella, ovvero il luogo dove il 21 ottobre 1618 apparve a Maria Manca la Vergine col garofano, accanto agli olivi secolari, oggi in difficoltà per via della xilella, che probabilmente sono gli stessi che videro l’apparizione. E poi, sulla strada verso Torchiarolo, una visita anche all’altra chiesa che costruì Maria Manca, dedicata a Santa Elisabetta: anche questo un piccolo luogo di pace, fra gli olivi, lontano dai centri abitati. Maria Manca visse fino a 97 anni, dedicando il suo tempo ad aiutare la gente. La sua mano destra, quella mano che aveva raccolto il garofano, emanò sempre un profumo paradisiaco. Maria fu sepolta nella cripta del Santuario, dove oggi si nota ancora un lembo dell’affresco di Gesù Pantocratore. Di lei restano ancora alcune sue ossa, assieme ai resti della cassa in cui fu deposta secoli fa, oggetto di devozione degli squinzanesi. L’esperienza di Maria Manca è come un invito che giunge fino a noi oggi, a ciascuno di noi, affinché nella semplicità della nostra vita, con il nostro “si” obbediente, come quello della Vergine Maria all’angelo, come quello della stessa Maria Manca quando le fu detto di andare a Galatone, possiamo permettere che il figlio di Dio possa continuare la sua opera salvifica nel tempo che viviamo. Quando io scoprii questa storia era proprio un 21 ottobre, il giorno dell’apparizione a Maria Manca, era l’anno 2010 e mi trovavo a Squinzano per girare un servizio per Telerama. Quando si incontrano storie simili non si può credere a semplici coincidenze. Era molto tempo che non facevo nulla per ricordarla, per cui ringrazio l’amica Verena Baccaro che mi ha incitato a farlo, Antonio, il custode del Santuario, che mi ha aperto le sue porte, e le fonti che mi hanno aiutato a scrivere questo testo, dal Paticchio ad Antonio Luigi Carluccio. Il 17 maggio 2024 una messa solenne, presieduta da Monsignor Luigi Pezzuto, nunzio apostolico, ha celebrato il gemellaggio fra il Santuario dell’Annunziata di Squinzano con la Basilica dell’Annunciazione di Nazareth. L’aura santa che si percepiva, mentre le campane suonavano a festa, ha colmato il cuore di tutti noi, ricordandoci il dono prezioso della memoria. Affinché questa storia, questa testimonianza, questo luogo, siano sempre curati con amore dagli uomini che verranno.
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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