Le cripte e le chiese rupestri del Salento sono la testimonianza dei culti verso le effigi sacre che i bizantini importarono dalla Grecia. Sotto l’egida di Costantino e la scure di Teodosio il paganesimo cadde trafitto sotto il peso della croce. In un contesto storico dilaniato da lotte di potere, mentre la politica di classe continuava ad acuire divari incolmabili, la religione cristiana si rivelò una dottrina efficace per unificare e l’arte classica uno strumento utile per conquistare il consenso del popolo attratto irresistibilmente dal fascino del trascendente.
Il divino cominciò ad essere espresso attraverso un linguaggio simbolico e un repertorio figurato comprensibile a tutti per il suo valore universale, nonostante la tentazione idolatrica dell’adorazione della rappresentazione della divinità. La religione cristiana, a scanso di equivoci, sulla scia di quella ebraica non esitò a condannare l’idolatria; tra l’altro, per gli artisti, non avendo riferimenti in merito all’aspetto di Dio e del suo Figlio Unigenito, sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento o negli Atti degli Apostoli, era difficile se non impossibile cimentarsi nella riproduzione delle effigi divine.
Non a caso il Libro del Deuteronomio tuonava: “non ti farai immagine alcuna di Dio e non ti prostrerai davanti a nessun idolo” anche se Mosè in controtendenza intarsiò due cherubini in oro e li collocò sul coperchio dell’Arca dell’Alleanza, il primo tabernacolo della storia, destinato a contenere le Tavole della Legge dettate direttamente da Dio sul Sinai. Per rendere visibile l’invisibile i primi cristiani, attratti dall’influsso dell’arte figurativa classica, ricorsero a suggestivi simboli dal potere evocativo, riportandoli sulle pareti delle cripte e delle catacombe, dove erano sepolti coloro che avevano versato il sangue a testimonianza della fede in Gesù Cristo. Tra il II e il V sec. d.C. esplose un’arte che tramontò solo con la traslazione delle spoglie mortali dei martiri dai cubicoli dei cimiteri sotterranei alle chiese.
In quel frangente i santi cristiani, così come gli dei greci, divennero protettori di ogni cosa, di ogni persona e di ogni attività, aleggiando tra i vivi con il loro spirito immanente. Per assicurarsi la loro intercessione venivano elevate preghiere nelle domus ecclesiae e nei templi pagani convertiti in luoghi di culto cristiani sul modello dello schema planimetrico delle basiliche romane. Dopo persecuzioni truculente, alla luce del sole, andarono in scena i rituali di una religione ormai senza rivali per la sua concezione, intrisa di profonda spiritualità e alimentata dal messaggio d’amore universale e d’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte all’unico vero Dio.
Ricorrendo alla metafora dell’incarnazione del Figlio di Dio, i Padri della Chiesa, nonostante i veti testamentari, riuscirono a sdoganare il culto delle immagini. Dal repertorio classico e da quello giudaico vennero attinti segni come: il pesce, la palma la colomba, il pavone, l’orante, il cervo, il pane e il vino.
La Chiesa primitiva non di rado si prodigò nella rievocazione di sequenze di storie connesse a personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Il vasto repertorio di ibridi teologici divenne strumento di propaganda della nuova fede, stimolando la curiosità anche da parte degli analfabeti, che si affidavano alle immagini per comprendere il senso delle Sacre Scritture. Nei secoli si assistette ad un mutamento di canoni, che variarono dal giovane maestro, colto nell’atto di predicare ed operare miracoli, all’uomo maturo, assiso in trono, ritratto, su influsso delle divinità pagane, in atteggiamento austero e in abiti sontuosi in segno di regalità oltre ad essere circonfuso nella gloria di Dio Onnipotente. Questo solenne canovaccio trionfò in modo particolare nell’iconografia bizantina. La devozione nei confronti delle icone si propagò a macchia d’olio sino a quando gli imperatori iconoclastici non bandirono una crociata per arginare il fenomeno ormai dilagante.
Tra il 726 e il 730 Leone III Isaurico scatenò una guerra senza quartiere contro il culto delle immagini, bandito sia dall’Antico Testamento sia dal Corano, poiché le rappresentazioni sacre costituivano oggetto di venerazione, ma non di adorazione, riservata esclusivamente alla divinità. In realtà l’imperatore bizantino incitò alla guerra iconoclastica non per motivi religiosi, ma per ragioni puramente politiche ed economiche. Il suo intento, infatti, era quello di sgominare i monaci, che traevano un notevole profitto attraverso il lucroso commercio delle icone sacre, depauperando le casse imperiali. In questo clima di intolleranza maturò l’offensiva contro il monachesimo orientale condannato all’esodo per non soccombere. Per sfuggire alla persecuzione imperiale i monaci furono costretti in drappelli ad emigrare dall’Oriente in Occidente via terra e via mare. Dopo aver affrontato svariate traversie sbarcarono lungo le coste salentine e trovarono rifugio in cenobi e laure (come quelle della Valle della Memoria solcata dal fiume Idro ad Otranto) il più delle volte scavati nella roccia.
In un lungo intervallo di tempo, lontani geograficamente da Bisanzio, all’ombra di cripte come quella di Santa Marina a Muro Leccese, di Santa Maria degli Angeli a Poggiardo, dei Santi Stefani a Vaste, della Favana a Veglie, di Santa Cristina a Carpignano Salentino, di Santa Maria della Grotta a Ortelle, di Santa Marina a Miggiano, della Madonna del Gonfalone a Tricase, di Santa Apollonia a San Dana, del Crocefisso ad Ugento, di San Giovanni a Giuggianello, di Sant’Onofrio a Castrignano dei Greci, del Salvatore a Massafra, di San Nicola di Myra a Mottola, della Madonna delle Grazie a San Marzano di San Giuseppe, di San Biagio a San Vito dei Normanni e di San Mauro ad Oria, continuarono incessantemente a pregare e a venerare, avvolti nel fumo delle candele e tra nugoli di incenso, le effigi sacre dipinte lungo le pareti e le volte. Esse, in qualche caso, vennero corredate di cartigli in lingua greca a memoria imperitura di eventi o di nomi di offerenti.
A dominare la scena dell’universo dei monaci italo-greci non solo il Cristo Pantocratore, ma anche santi coronati da nimbi, angeli muniti di interminabili ali, eremiti ricoperti da pelli di capra, vescovi benedicenti secondo la consuetudine orientale, madonne indicanti la via della salvezza. Immobili nei secoli nella loro ieraticità queste figure, aggredite frequentemente dalla muffa, colpiscono per la fissità degli occhi sgranati e delle bocche serrate in un’apparente sospensione assurta a tipica espressione della grazia divina sapientemente catturata dall’arte bizantina.
testo di Lory Larva
fotografie di Alessandro Romano
FOTOGALLERY CRIPTE E CHIESE RUPESTRI
Giurdignano, cripta di San Salvatore
Vaste, chiesa rupestre di Santi Stefani
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Ciao. Dove posso trovare i leoni che mangiano uva nell’iconografia? qualcuno può dirmi per favore?
Ciao, non saprei dirti… dovremmo chiedere ad un decano dell’argomento, come Franco dell’Aquila, lo trovi su facebook