I riti sacri sono cerimoniali attraverso i quali si percepisce l’aura divina; essi mettono in comunicazione l’uomo con Dio, gettando un ponte tra l’umano e il divino oltre a trasportare in una dimensione mistica e misterica.
Il bisogno di religione, cioè di re-ligare la terra al cielo e l’uomo alla divinità, è insito nell’uomo sin dall’alba dei tempi come il senso del sacro e la visita dei luoghi deputati alla guarigione del corpo e dell’anima.
Il Salento, intriso di forte spiritualità, trabocca di luoghi dell’anima; quei luoghi che, ormai da tempo, sono entrati, a pieno titolo, nel circuito del turismo religioso in crescita esponenziale. Le motivazioni, che spingono il popolo dei turisti dell’anima ad immergersi, nel corso di tutte le stagioni, nelle “oasi dello spirito” sono complesse e variabili: c’è chi si rifugia in una “torre d’avorio” nel silenzio della preghiera; c’è chi si rintana sotto l’ala protettiva di monasteri di clausura per condividere momenti di vita ascetica;
c’è chi si reca in pellegrinaggio in un santuario per acquistare l’indulgenza plenaria; c’è chi partecipa alle processioni a piedi scalzi e con in mano un grosso cero in segno di penitenza; c’è chi implora una grazia temporale; c’è chi è spinto soltanto da semplice sete di curiosità. L’esigenza principale rimane, principalmente, quella di attraccare ad un porto sicuro per sfuggire alle tempeste della vita, ma, non di rado, a ritrovare una fede in crisi o perduta.
Nel Medioevo sotto la spada di Damocle di una fine del mondo vicina impazzava il fenomeno del pellegrinaggio. Un rigoroso sistema di regole, dettate dalla Chiesa, scandiva il tragitto del penitente disposto a tutto pur di raggiungere la meta prestabilita; è lì che avrebbe espiato i propri peccati per riconciliarsi con Dio. Le mete del periglioso cammino erano tra le più disparate: luoghi di apparizioni; luoghi consacrati dal sangue e dalle reliquie di martiri e santi; luoghi di prodigi miracolosi; luoghi legati alla vita e alla morte di Gesù in Terra Santa. Per il pellegrino il viaggio assumeva una valenza terapeutica e il luogo sacro rappresentava simbolicamente una fonte di guarigione. Il culto dei luoghi sacri, dai santuari classici come San Giacomo di Compostela alla basiliche romane in primis San Pietro in Vaticano, avveniva attraverso ciò che Sant’Agostino definiva peregrinatio, ossia un percorso per agros, in grado di far maturare un’esperienza mistica che, passo dopo passo, purificava l’anima, avvicinandola a Dio. Questa consuetudine catartica, associata alla fuga degli Ebrei dall’Egitto per sfuggire alla schiavitù del faraone e alla loro permanenza per un lungo lasso di tempo nel deserto, così come riportato nel libro dell’Esodo, acquistava il significato del cammino salvifico verso la Terra Promessa, ossia la Gerusalemme celeste, raggiungibile soltanto dopo rinunce e privazioni. Nel terzo millennio, rispetto ai secoli bui del Medioevo, nonostante siano colmate le distanze e siano disponibili maggiori confort, non dovrebbe essere cambiato lo spirito del pellegrinaggio, che continua ad essere ispirato da un sentimento di fede e di devozione pronto a redimersi, partecipando a liturgie e a processioni. I simulacri, le icone e le statue di Gesù Cristo, della Vergine Maria, dei santi e dei martiri, intronizzati e traslati, non rispondono solo al compito di suscitare meraviglia, stupore, ma anche a quello di stimolare la preghiera di affidamento alla loro intercessione mediante sottomissione all’azione santificatrice di Dio. Inoltre assolvono alla funzione della catechesi di mantenere viva la fiamma della luce divina nell’uomo che, come ricorda il Vangelo, non vive di solo pane, ma anche della parola del Signore. D’altronde per chi ha fede Dio è onnipotente.
Per comprendere l’essenza di questo fenomeno universale occorre riflettere sul valore simbolico e devozionale dei rituali che, nella maggior parte dei casi, sono il retaggio atavico di secoli di evoluzione e di commistione di pratiche umane, così come documentato dalla ricerca archeologica ed antropologica. L’uomo, sin dagli albori, si connota come homo religiosus e contestualmente come homo symbolicus in grado di esprimere con l’intelligenza astrattiva le proprie esperienze interiori attraverso simboli dipinti e figure scolpite nella pietra.
Per scongiurare la sua impotenza di fronte alla natura immensamente potente e distruttiva, ma soprattutto per esorcizzare la morte inizia inconsciamente ad archiviare il vissuto di esperienze religiose remote e ad elaborare culti e rituali di iniziazione segreti destinati a divenire nei secoli il fulcro delle cosiddette religioni misteriche. I misteri traggono linfa vitale dal terreno fertile del mito, ossia la narrazione di una rivelazione divina, avvenuta in ere primordiali, a cui venivano associati rituali celebrati tra pochi adepti. Non a caso nel termine mysteria si cela il privilegio di divenire depositari di conoscenze inaccessibili. Il sogno di prefigurare il divino è sempre stato inseguito dall’uomo, terrorizzato da tuoni, fulmini, diluvi, eclissi, tempeste di polvere, cambiamenti climatici, e oltremodo angosciato dalla morte. Nelle immaginario dei popoli, che si affacciavano all’alba della storia, non si venerava ciò che veniva rappresentato, ma si evocava l’entità divina in attesa della sua teofania. La venerazione, infatti, non era riservata all’opera d’arte, ma scaturiva dalla necessità dell’animo umano a trovare rifugio e certezze nel sacro una volta intuita una trascendenza o l’esistenza di qualcosa o qualcuno al di là della vita.
Nel libro Sacro e Profano Mircea Eliade sottolinea come il sacro sia agli antipodi dell’ordinario, poiché rientra nella sfera dello straordinario. Non a caso sacro e profano nelle religioni costituiscono le due dimensioni del mondo alla continua ricerca di un equilibrio nel rapporto dialettico tra due elementi antitetici.
Sulla scia del pensiero dello storico delle religioni bulgaro, promotore di una concezione canonica di un universo in cui agiscono forze positive e negative, che incontrandosi e scontrandosi, alimentano l’eterna lotta tra bene e male, i due volti della stessa medaglia non devono essere considerati distinti e separati, ma in stretta simbiosi dal momento che si interfacciano. Il mondo fisico si riconosce per esperienza, il mondo della divinità per rivelazione attraverso simboli (segni sensibili che parlano di soprasensibile), miti (collante tra materia e spirito, tra divinità e uomo) e riti (legami tra divinità e uomini attraverso i miti). Il mito non è altro che una narrazione eroica potenziata dalla forza simbolica del rito, che veicola l’anima dei partecipanti nel mondo del sacro, rinsaldando e rinfocolando il rapporto ancestrale tra l’uomo, la terra e il cielo.
testi di Lory Larva
fotografie di Alessandro Romano
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il murales della sirena bifronte e bisex come si giustifica?
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