Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Alla scoperta di ORIA medievale

Alla scoperta di ORIA medievale

Il territorio di Oria mostra una bella testimonianza del periodo altomedievale dell’antica Terra d’Otranto.

Un territorio che vide l’insediamento di numerose comunità religiose, attestate in tutti gli stadi evolutivi della civiltà monastica delle origini, ossia la grotta anacoretica, la laura cenobitica, la chiesa rupestre, ed infine la chiesa costruita. Dapprincipio questi uomini si insediarono in grotte naturali, nate dalle caratteristiche carsiche di questa terra. Essi venivano spesso dall’Oriente, in fuga dalle persecuzioni iconoclaste, portando con sé antiche icone in supporti di legno, che venivano incastonate nella parete rocciosa. Ecco perché in alcune di queste grotte non c’è traccia di affreschi, ma solo di croci graffite. Un altro esempio di questi primissimi insediamenti monastici si trova presso l’attuale Masseria Palombara, un importante insediamento agricolo cinquecentesco, dove si erge una maestosa torre colombaia. Qui, grazie al proprietario Angelo Lippolis, abbiamo potuto visitare un lembo di terra dove riaffiorano ovunque tracce di Storia. E’ in questo posto dove i Messapi venivano a cavare la pietra. I loro blocchi misuravano circa 2 metri, per 60, per 50 cm. Martello e scalpello, per una fatica titanica, con cui essi costruivano le mura delle loro imponenti città. Dell’epoca dei Romani in questa cava sono rimasti sistemi di raccolta delle acque piovane tramite canalizzazioni. Oppure i blocchi, più piccoli di quelli dei Messapi, compresi quelli perfettamente rotondi, che servivano per costruire le colonne: una perfezione del lavoro possibile perché avevano inventato la sega a nastro, che consentiva loro di creare la rotondità. In questa cava è rimasto un esemplare incompiuto di un blocco. Ed anche un tratto di una strada, certamente in uso anche dai Messapi, che si dirige verso Oria. Ma qui, quando Messapi e Romani non c’erano più, proprio sui resti della cava e dei blocchi messapici, ritroviamo un esempio di insediamento eremitico medievale. Tutto scavato nella roccia, compresi i cubicoli dove i monaci riposavano. L’ambiente originario è rimasto miracolosamente intatto. Altri luoghi sono stati distrutti, purtroppo, nel territorio oritano. Nell’alveo del proto-fiume Reale, alla confluenza con il Canale della Puzzica, esistevano in passato diversi ripari naturali utilizzati dai monaci nel medioevo, che oggi risultano interrati o distrutti. Poi, qui, intorno al X secolo, subito dopo le scorrerie saracene, la comunità religiosa eresse la sua nuova dimora, il prezioso eremo di Santa Maria della Scala, che resiste ancora oggi in piedi dopo mille anni, nonostante l’abbandono contemporaneo. La struttura comprende la chiesa, ed una serie di ambienti, distribuiti fra piano terra e piano superiore, destinati all’alloggiamento dei monaci. L’interno è illuminato da un rosone, particolare architettonico che nelle prime comunità cristiane simboleggiava l’occhio di Dio, la luce divina. Nella chiesa, le pareti erano in origine tutte affrescate, ma queste opere sono state poi coperte dalle nuove pitture durante il 1500. Anche queste ultime però si trovano in brutte condizioni di conservazione. Nell’abside centrale è riconoscibile solo un monaco inginocchiato, che dalle dimensioni ridotte sembra essere il committente dell’opera. Sulla sinistra invece si notano due santi che indicano al centro il “Mandylion”, ossia il fazzoletto con sopra impresso il volto di Gesù. Un dettaglio che ho ritrovato in rarissime occasioni in Terra d’Otranto, come ad esempio nella trecentesca chiesa di San Giovanni, a San Cesario di Lecce, la chiesa della Madonna dell’Alto, a Felline, e la Madonna dell’Idri, a Nociglia. La parete sinistra della chiesa è occupata da un’unica, grandissima scena, composta da una serie di personaggi, maschili e femminili, che riproducono il “Banchetto della Sapienza e il banchetto della follia”. La rappresentazione dei re, profeti e sibille, quali simboli della venuta di Cristo, affonda le sue radici nella cultura tipica del Medioevo, e riprodotta sia nella pittura che in architettura. E anche di questo particolare ho trovato rare tracce in Salento, come ad esempio nell’antico complesso monastico della Madonna del Casale, a Copertino, dove anche qui il soggetto delle sibille fu riprodotto in affreschi. Sulla parete destra della chiesa invece appariva il ciclo della Passione di Gesù, di cui oggi è visibile chiaramente solo il Cristo coronato di spine. Lungo questa parete compare l’affresco della Madonna della Scala, su cui si arrampica la figura nuda di un uomo, che rappresenta l’anima che sale al cielo. E qui, sembra riconoscere le effigie del patrono di Oria, san Barsanofio. Visitiamo gli ambienti dove vivevano questi monaci eremiti. C’è una prima scala che porta al piano di sopra. Ma accanto c’è un altro pertugio, che ci porta in altri ambienti, che erano riscaldati da un grande camino. Una piccola scala a chiocciola è rimasta praticamente intatta, a farci ammirare un’architettura tipicamente medievale, che ho già notato nelle torri di Belloluogo a Lecce o nella torre di Leverano. In vari ambienti si notano ancora resti di affreschi, che ci riportano a episodi di vita di santi eremiti della tradizione cristiana. Oppure l’affresco col trionfo della Morte, che sembra quasi un monito, che i monaci ricordavano a sé stessi, sull’imprevedibilità della vita. Questa chiesa è uno dei cinque luoghi sacri situati nel circondario, che sono legati alle “Perdonanze” concesse dagli antichi presuli di Oria a tutti coloro che vi si recavano in pellegrinaggio. Questa tradizione è antichissima ed è viva ancora oggi. Non si sa quale vescovo abbia iniziato questo rito. Lo studioso Pino Malva suppone che le “Perdonanze” avevano lo scopo non di non lasciare mai andare in rovina i cinque luoghi di culto, i più antichi della zona e legati perciò al rito orientale, che i pellegrini dovevano visitare durante questi pellegrinaggi: questi luoghi, oltre a questo, sono il Santuario di Santa Lucia ad Erchie, la cripta di San Mauro, il Santuario di San Cosimo alla Macchia ed il Santuario di Santa Maria della Croce a Francavilla Fontana. In questa straordinaria città riaffiorano ovunque tracce del suo periodo bizantino e poi normanno. Come questa stele paleocristiana. Oppure i leoni stilofori che facevano parte della cattedrale normanno-sveva, oggi custoditi nel palazzo vescovile. E soprattutto ci sono ancora alcune vestigia, delle sue chiese più antiche. Come quella dedicata ai Santi Crisante e Daria, che oggi si trova all’interno del castello. Si tratta della cattedrale voluta da Teodosio nel IX secolo, molto interessante per i particolari architettonici ed i materiali utilizzati, che denotano una fusione tra memorie di conci romani e stilemi longobardi e bizantini. Gli affreschi risalgono a partire dall’anno Mille in poi, ed un tempo decoravano tutto il tempio. Oggi sopravvivono pochi lacerti. Anche la chiesa di Santa Maria della Gallana è un’eccezionale testimonianza storico-archeologica. Sorta a pochi chilometri dalla città, in un sito di antichissima frequentazione dove sono emersi i resti di una necropoli ellenistica ed una villa Romana. Sormontata da due cupole in asse, con copertura a tholos, che ne certifica la costruzione all’VIII secolo (ed un esempio simile lo abbiamo a Fasano, col tempietto di Seppannibale), la chiesa è stata sempre vissuta e rinnovata nel corso dei secoli. Gli affreschi sopravvissuti fino a oggi vanno dal XIII secolo in poi. Pregevoli le sculture che adornavano la chiesa: il presepe di Nuzzo Barba risale alla fine del Quattrocento. E il gruppo del Compianto, che oggi si trova però all’interno della chiesa di San Francesco. Un insieme di statue dalle espressioni vivide ed intense, dove la Vergine e le tre Marie piangono il Cristo morto. Il grande Medioevo di Oria è un viaggio che, come avete visto, ha molto da raccontare. Ringrazio di cuore l’amico Pino Malva, grazie ai suoi studi e le sue pubblicazioni, sono riuscito a mettere insieme il vastissimo panorama storico di questa straordinaria città, che merita oltre ogni dire, tanto amore di ricerche e approfondimenti. Al prossimo viaggio!

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

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