Mi chiamo Alessandro Romano, questo è il mio angolo intimo, non mi interessa parlare di me (se vi interessa sapere cosa faccio scorrete questa pagina). Questa è la pagina di cui ho deciso di lasciare aperta la porta. Per gli amici di penna, letture, visioni. Di miei racconti, romanzi, film, disegni, ma anche di ricerche, sulla mia terra, il Salento, che continuo a esplorare in lungo e in largo. E per condividere alcune righe che voglio lasciare qui. Insieme alla mia video-scrittura.
Dal romanzo che ho pubblicato ad agosto 2016 (L’Alba del Difensore degli Uomini) ho tratto l’idea per un cortometraggio, scritto e diretto in un’estate, per puro divertimento. Lo pubblico qui di seguito!
Di seguito pubblico un cortometraggio tratto da un racconto che mi ha dato la soddisfazione di vincere il Premio Letterario Nazionale “La Vita Contadina Ieri e Oggi”, Guagnano 15 settembre 2019. Un tema legato alla terra, seguito ideale del mio romanzo “Lento all’ira”.
Di seguito un racconto che è stato selezionato dal contest letterario “Racconti dal mare”, promosso dal Museo del Mare Antico di Nardò e APS The Monuments People, e pubblicato nell’omonima antologia in luglio 2021.
SCARICA IL PDF: Il canto delle onde
Anche de “Il canto delle onde” ne ho fatto un video racconto:
Segue un altro racconto, dal titolo “Il disertore”, ma su questo non aggiungo altro e vi invito direttamente a leggere.
SCARICA IL PDF: Il disertore
Il racconto successivo ha titolo “Il mare calmo della sera”, è nato all’interno di un lavoro più complesso, un romanzo storico molto articolato (dal titolo “Hippikon”, che potete trovare a questo link), ma che poi ha preso vita a sè ed è diventata una breve narrazione in prima persona, separandosi del tutto dal romanzo.
SCARICA IL PDF: Il mare calmo della sera
Segue un racconto che a suo tempo fece parte di uno dei capitoli de “L’Alba del Difensore degli uomini”, ma da cui può anche estraniarsi. Autobiografico, disperato e divertente allo stesso modo.
SCARICA IL PDF: L’Idiota e l’Infelice
Di seguito pubblico un foto-racconto che va a completare la postfazione del mio romanzo “TSUNAMI LENTO”, dedicata all’aspetto più storico e documentato che ha animato il racconto più leggero del romanzo, una ricerca che si sta rivelando sempre più interessante e ricca di dettagli meravigliosi…
SCARICA IL PDF: LE NAVI GRAFFITE DEL SALENTO
(Se vi è piaciuta la mia ricerca sulle navi graffite, potete trovare la nuova edizione di “Tsunami lento”, inclusa in una raccolta che comprende tutta la saga del personaggio Donato Zappo, “Lento all’ira” e due racconti inediti a richiesta alla mail sandrolento@gmail.com, dove in omaggio vi invierò il PDF de “LE NAVI DEL SALENTO, scolpite graffite dipinte e affrescate”, un censimento completo di tutte le raffigurazioni delle navi storiche del Salento)
Mi ero sbronzato quel giorno, lo dico subito, ma niente di tutto ciò che vidi fu fantasia. Anche se suona strano dire questo, visto che non ricordo proprio nulla. Solo sensazioni. Ero nei campi, fuori città. Da solo. Incontro un vecchio barbone, lungo la via per San Cataldo, piuttosto allegro nel vedermi. Mi fa: “Adesso ti farò spiare la felicità. Ma non respirare troppo forte, non farti scoprire, dovrai reggerti con tutte le tue forze. Perché appena scosterai l’occhio, non potrai trattenere ciò che hai visto nemmeno nella memoria”. E, detto questo, tirò fuori un piccolo cubo. Dal palmo della sua mano, lo vidi ingrandirsi fino a diventare grosso come una stanza. C’era pure una porta. Andai a spiare dal buco della serratura… e la vidi… Era addormentata. Sognava. Dico, sognava ME… E riuscivo pure a vedere nella sua mente… e tutto m’era chiaro! Diventavo supremo, capivo, l’alfa e l’omega di tutto! E vivevo in un istante l’eterno, lo zero assoluto, l’io regale, la coppia perfetta, l’impeccabile plurale! Era quello il…passaggio che non si trova!… Era stato troppo… Mi risvegliai due giorni dopo, madido di sudore, affamato, assetato, nel corpo e nell’anima. Presi a gareggiare con la vita. A dipingere furiosamente. La Bellezza…
(mio piccolo omaggio all’artista leccese Edoardo De Candia)
“Mi chiama Silvestro, e ho capito che per lui non è che contino molto i nomi. Per questo faccio finta di niente, come pure del fatto che si è istallato a casa mia. Viviamo in campagna. Siamo 4 fratelli, fra cui una femmina, quella scema di Topa, che vuole sempre ingraziarsi lui, il Super-Alfa. Quest’ultimo è un pò troppo tenero, ci casca sempre. E lei ce lo frega più di tutti, per usufruire del suo massaggio. Però…io so una cosa. Il Super-Alfa non si fa influenzare dal fatto che sia una femmina. Quando pretendo la mia parte, non mi viene mica di cantargliene quattro nella sua lingua, non gliela darò mai questa soddisfazione. E non faccio nemmeno come la gatta-morta. Da lì ho capito che il Super-Alfa ha una sua coerenza. E’ semplicemente scemo con tutti. Però io so cosa prova quando i massaggi li fa a me. Non si tratta più di razza o fusa o altre cose diverse. E’ il mio segreto. D’altronde sto parlando di cose invisibili. Lui mica lo sa, ma lo osservo moolto attentamente, quando lo scemino è intento ad altro. O sta pensando a qualcosa per un attimo senza più sorridere. Si impegna. Gli offrirei pure un pò dalla mia ciotola, se non volessi a tutti i costi nascondergli che so parlare meglio di lui. A Dafne vuole più bene perchè da piccolo aveva tanta paura e scappava sempre. Di Tigre è ammaliato perché è il più bello di tutti. Con Topa gioca di più, perché sennò lei è l’unica che graffia. Ma quando sta con me… beh, lui è FELICE”.
(un racconto scritto dal mio gatto, nel 2005)
In principio era solo una striscia di terra fra due mari. Poi, i naviganti vi approdarono. L’amarono. Si fermarono. E quelli che non restarono, la portarono con sé. E dal sale del mare da cui ripartirono, le diedero quel nome che le restò per i secoli: Salento. Chi si fermò, si costruì una casa. Pietre a secco. E la terra intorno, da cui sostentarsi. Poi, i naviganti che si vedevano passare nel mare di fronte, divennero ladri. Pirati. Turchi. Ma la minaccia non bastava a far abbandonare quelle case ai suoi abitanti. Come l’edera sui loro muri, erano cresciuti e s’erano abbarbicati alle loro pagghiare. Costruirono torri. Per resistere. Ad ogni costo. Ovunque, il Salento è stato ricoperto da masserie e case di campagna. Lontano dalle città. Dal mondo. Contadini, cestai, spaccapietre. Lavorano duro la terra. Infilavano panare, o i pomodori de mpisa… Terra generosa, che ha prodotto poeti… “Questa è la mia terra, che fra le mani a clessidra lentamente mi scorre, con lo stesso ritmo del sangue che palpita nelle mie vene” (Rina Durante). “Le bambine negli orti, ad ogni grido aggiungono una foglia alla luna ed al basilico” (Vittorio Bodini)… Terra sempre rimpianta, quando dopo esservi partiti non si tornava… “Sovente mi sovviene di San Vito, del mar che tremula in cima agli olivi, di mia madre, dei giorni più giulivi. Tenero tempo, da sì lunghi anni andato. Qui, per prima volta fui rapito, dalla bellezza della luce, quivi conobbi le stelle e gli occhi vivi, lumi dell’uno e dell’altro infinito” (Giuseppe Lanza del vasto). Terra che sempre ispirò grandi visioni, come quella del principe Sebastiano Apostolico Orsini e del suo ideale che chiamò Materdomini. Non più una masseria, né una villa di campagna, ma più un villaggio ideale, dove i contadini avevano ognuno una casa, una scuola per i bambini, una chiesa. E la vita era una festa di condivisione. In comunione con la terra. Cui sempre pensiamo. Dove tutti torniamo. Col sogno di riviverla ancora… “Il regno spensierato e più gradito. Correvamo felici per i viali. Crescevano le piante del giardino. Settembre era tra i mesi il preferito. Ora che siamo adulti è vuoto e silenzioso. Aspetta bimbi nuovi e nuove voci. Ma il tempo passa, e lui lo sa aspettare” (Vittoria Grassi)…
Forse è causa il mio lavoro, la definizione che mi sono ritrovato addosso da più parti, circa la mia scrittura. Il breve racconto che segue (scaricabile) è un “foto-racconto”, e la mia pare che sia una “video-scrittura”. Scherzi a parte, fatemi sapere cosa ne pensate! Questo è un piccolo viaggio all’interno di un luogo, un giardino abbandonato nelle campagne di Morigino (Maglie):
IL GIARDINO DELLE SCULTURE NASCOSTE
Di seguito, allego un piccolo racconto la cui voce narrante è una masseria abbandonata, che sta cadendo letteralmente a pezzi (clicca e scarica il pdf)
I giganti diruti delle campagne abbandonate
Di seguito, un mio piccolo racconto di Terra d’Otranto (clicca e scarica il pdf)
Dal testo sopra citato è tratto questo film documentario. Di seguito invece un testo che è comparso sulla rivista “Il Corsaro Nero” (Verona, dicembre 2019).
“La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo”. Cominciava così il mio grande viaggio sui mari dell’avventura e della fantasia, avevo circa 9 anni e ne conservo un ricordo vivido e forte, di un’irruenza selvaggia, quel tipo di forza che si detiene solo da bambini, che tutto riempie nel nostro essere, ci fa fremere i polsi e scuote le fondamenta di quel luogo che ancora non conosciamo ma si annida in noi in fondo all’anima. Quello che ci fa vedere tutto gigantesco, che tutto anima nei nostri intenti, aspirazioni, tutto illumina e colora in quella sacra età. Che ci fa giganti, da piccoli. L’epico gusto per l’avventura, che solo le parole giuste scatenano oltremodo e poi consolidano, negli anni a seguire, in noi. Fu così, per me. Le “parole giuste” erano quelle di Emilio Salgari in “Le Tigri di Mompracem”, il primo romanzo della mia vita, il primo libro che non fosse scolastico che iniziai a leggere. Era una vecchia edizione cartonata, con in copertina una grande tigre ruggente. Fu come una fascinazione, uno stato d’incanto, che solo la scrittura, quella vera, riesce a trasmettere, e che complice la giovane età scatenò in me un indicibile stato di coinvolgimento. Di colpo, il tempo cessò di scorrere intorno a quel bambino, i suoi fratelli che lo chiamavano per giocare in giardino, la televisione accesa dalla mamma, nulla avvertiva più, potrei dire che forse non ero più nemmeno io, quello lì! Mi ritrovai impalpabile a planare dal cielo come calato dall’alto, verso quella rupe circondata dal mare in tempesta, una sensazione simile a quella che provai leggendo molti anni dopo il “Sogno di un uomo ridicolo” di Fëdor Dostoevskij, quando il narratore “plana” sull’arcipelago Greco col suo sogno. Ma allora ero un’altra persona, avevo coscienza di cosa significa “narrare”. Ecco, fu questa la magia, incontrare qualcuno che raccontava qualcosa, e lo faceva in “presa diretta” avrei detto se fossi stato già il cameraman odierno: scriveva, mostrava qualcosa che per me bambino stava vedendo lui, coi suoi occhi. E così, pagina dopo pagina, dopo essere entrato assieme a quel signore che raccontava, nella tana di quel pirata, ed essermi impaurito mentre Sandokan si imbufaliva se il sopraggiunto amico lo contrariava, salvo poi rassicurarmi quando lo chiamava “fratellino”, cominciai quel mio viaggio. Dal sapore omerico come le antiche peregrinazioni per mari e per terre, un Ulisse inconsapevole che amava la sua casa ma proprio per questo doveva viaggiare, perdersi, fra le righe, fra le onde di quell’incalzante racconto. Ogni tanto tornavo alla copertina, a rivedere il nome di quel signore che come mio nonno mi stava raccontando una storia, servendosi della mia lettura. Si chiamava Emilio, dunque era italiano, come me. Come avrà fatto a cavarsela, in quei luoghi così lontani da casa, nella jungla, nell’oceano, nascondendosi sui prahos dei pirati senza farsi scoprire o all’interno di una grande stufa, dove si rifugiarono Sandokan e l’amico Yanez per non farsi scoprire sull’isola dei loro nemici? Per me era un racconto reale, non c’era ombra di finzione, quell’idea non si affacciava nemmeno nella mia mente! Per lungo tempo restai convinto, all’ultima pagina, quando Sandokan riesce a rapire la sua Marianna ma è inseguito dagli inglesi che bombardano la sua nave all’inseguimento, che quando egli promette di abbandonare per sempre la pirateria e mormora sofferente “la tigre è morta”… sia stato infine colpito da una mitraglia degli inglesi! Ecco, per me fu così questo libro, in ogni pagina, in ogni personaggio, un luogo descritto, un aspetto del mare o della foresta, fu un rapimento della mia cognizione, che ha forgiato poi la mia adolescenza, i miei ideali di purezza e innocenza. La vita ha marchiato anche me, poi, nei trent’anni successivi. Una cosa però ho conservato intatto, da quel giorno: voler scrivere, dedicare una storia a lui, che tante me ne donò negli anni migliori. E’ nato così il mio “Tsunami lento”. Un tributo a Emilio Salgari. Per tutti i giovani cuori che ha infiammato, che oggi nessuno riesce più ad accendere, come lui.
Cercare le evidenze dell’antica storia di questa terra e poi raccontarle è una delle mie passioni preferite. Questo è il primo dei vari reportage che vorrei mettere insieme in un unico documento. Mette insieme le principali strade antiche del Salento. (Di seguito, scarica il pdf)
Mentre di seguito una mia piccola panoramica sulla storia più antica di questa terra. Scarica da qui:
Ogni tanto mi piace associare ad un raccontino veloce fatto per sorridere i miei disegnini volanti, così, qualche volta ci ho buttato giù una storiella… come la seguente!
Si intitola “Fuori dal mondo”…… SCARICA QUI: Fuori dal mondo
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Segue un videoclip nato dall’incipit del mio romanzo “L’Alba del Difensore degli uomini”. E poi altri video-racconti.
Di seguito, alcuni miei viaggi da video-scrittura (tratti dal romanzo “Lento all’ira“).
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La scrittura e il racconto del Salento sono passioni che rendono ancora più forti i legami di amicizia. Ai lettori di “Salento a colory” segnalo il mio blog, con l’auspicio di riuscire a trasmettere delle emozioni…
http://lavocedelgiornalaio.blogspot.it/
Ho letto i primi capitoli del tuo e-book. Sin dalle prime righe si intuisce la sensibilità del tuo animo e la bellezza di una storia che hai deciso di condividere con i lettori. Un abbraccio