Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Casino Patera, viaggio nel Piccolo Salento Antico

Casino Patera, viaggio nel Piccolo Salento Antico

Sulla strada che da Squinzano porta a Cellino, a ridosso della valle della Cupa, nelle fertili e placide terre amate dalla Storia sin dai tempi più antichi,

dove ovunque si posi lo sguardo si scorgono ingegnose architetture, una piccola edicola votiva dedicata ai Santi Medici, ci accompagna ad un antico casino di campagna. E’ abbandonato da chissà quanto, e noto come Casino Patera, il PUG locale lo fa risalire al 1700, ma l’architettura e il materiale informe con cui è stato costruito farebbe pensare ad un periodo ancora precedente. Ma non ho rintracciato altre fonti. Era un luogo di lavoro, qui si produceva il vino che, oggi come ieri, si ricavava dalle vigne che si affacciano su questa incantevole vallata. L’impianto prevedeva una grande vasca rettangolare, di cui si nota il canale di scolo, ed altre due perfettamente circolari. Tutto questo grande ambiente di lavoro mostra su questa parete una serie di nicchie, che sembrano quelle del tipo per ospitare i colombi, ma probabilmente avevano tutt’altro scopo. La bellezza di questa costruzione è la casa padronale che vi era annessa, che in origine aveva tutte le pareti affrescate, con dipinti di pregevolissima fattura, che è difficile datare con certezza, ma dagli abiti dei personaggi riprodotti si intuisce essere a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento. Guardate che meraviglia… I due giovani hanno un cestino, si trovano sotto un albero per raccogliere la frutta, lui sale su una scala, lei lo attende giù, con un vestito estivo e lucente, le scarpette rosse ed un fiocco sulla testa, in una scena idilliaca che ci riporta alla mente i poemi virgiliani che cantavano la natura e la gioia di esservi immersi… Un vero peccato che l’abbandono di questa casa ha portato alla inesorabile distruzione di tutti gli affreschi parietali… Qui si vede un’altra ragazza, che sembra avere in bocca un piccolo strumento musicale, forse un flauto, e suona appoggiata al tronco di un albero, al riparo della sua ombra… L’idillio continua in quest’altra scena, che amaramente posso vedere quasi completamente distrutta: ci sono due giovani, la ragazza, seduta su una panchina, sembra avere un libro sul grembo, e sorride placidamente, di un sorriso che ricorda la Gioconda, mentre il ragazzo le tiene la mano destra… Sembra tutto un canto sulla Natura. Si notano diversi tipi di uccelli, che decorano tutta la volta. E poi motivi floreali che corrono lungo tutta l’estensione dei muri, verticalmente. E poi una scena che ricorda quella del famoso detto che dice che la volpe, quando non arriva all’uva, dice che è amara: si nota un grande grappolo di uva, e più in basso infatti quella che sembra una volpe che non sa come arrivarci. Sembra di riconoscere qui uno stemma nobiliare, quello della famiglia che era proprietaria di questo posto. Poi ci sono altre scene, che sembrano paesaggi, navi in mare, che non è più possibile riconoscere in nessun modo. Oltre a questo grande salone, la casa ha anche altri ambienti, fra cui quella che era la stanza da letto, ed un grande forno per la cottura del pane, il cui interno è rimasto quasi del tutto intatto… Vi era un pozzo per l’acqua. Ed intorno, tutto il piccolo mondo antico della gente che qui ha amato, vissuto, e lavorato. Ora riposano nella luce. Ma chissà, se potessero rivedere tutto questo, che un sorriso non li colga raggianti, al pensiero della loro vita terrena, qui, in questo piccolo angolo del Salento.

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

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