C’era un sogno che era Casole, un tempo, un’antica abbazia posta nel punto più a est d’Italia, come un ponte fra Occidente e Oriente, fra lingue, riti, razze diverse, così come era Otranto, prima che tutto venisse distrutto dai turchi nel 1480. San Nicola di Casole era molto più di una semplice comunità monastica, era una sorta di “college” universitario, una biblioteca dove gli studenti accedevano ai libri, un luogo di cultura.
Nella seconda metà del XI secolo, quando i Normanni presero possesso del Salento, per integrarsi essi stessi col territorio, profondamente “greco”, ed essere accettati dalla popolazione, favorirono la nascita di chiese ed abbazie. Qui, forse era già presente un primo insediamento, ma nulla esiste nelle fonti storiche. L’abbazia divenne un faro per tutta la Terra d’Otranto, dove già si scriveva in volgare, prima di Dante (vedi qui). Non si accedeva come oggi dalla strada litoranea, ma da un’antica strada acciottolata, che proveniva dall’interno, da Uggiano La Chiesa…
…sopra è il viale alberato odierno, mentre sotto siamo lungo l’accesso originario…
…che ancora oggi si mantiene in ottime condizioni, e che presenta molte somiglianze con altre strade che si possono scoprire nelle immediate vicinanze…
Poche fonti raccontano qualcosa di questo luogo, fra queste c’è il Codex Taurinensis C III 17, conosciuto come il Typicon Casulanum, o Codice Torinese. Casole aveva un importante scriptorium, e proprio qui questo codice venne tracciato, nel 1173 dall’abate Nicola. E’ un testo che racconta la vita e le regole a cui erano tenuti i monaci che qui vivevano e lavoravano. Secondo questo testo, il monastero venne fondato nel 1098, a seguito della donazione di Boemondo I, principe di Taranto, e fu guidato da Giuseppe, il suo primo igumeno. Il prof. Paul Arthur in un’indagine archeologica ha ritrovato sul sito alcuni reperti che risalgono addirittura ad età romano-imperiale, e tracce di continuità abitativa in periodo tardo antico e bizantino. Qualcosa su cui si poggiò la nuova costruzione, già c’era, evidentemente…
Importante è anche il testo di Antonio de Ferrariis, detto il Galateo, che nel suo “Liber de situ Iapygiae” (siamo tra 1444 e 1517) cita il filosofo Nicola d’Otranto, che divenne abate di Casole con il nome di Niceta: “… spesso si recava dal sommo pontefice all’imperatore e da quello al sommo pontefice per mediare le rispettive posizioni quando tra il pontefice e l’imperatore insorgeva qualche motivo di dissenso riguardante o l’ortodossia della fede o altro argomento … Qui viveva una numerosa comunità di monaci basiliani, assolutamente meritevoli di venerazione, istruiti tutti nella conoscenza delle lettere greche e moltissimi anche in quella delle lettere latine, che offriva all’esterno un’eccellente immagine di sé. A quanti volessero apprendere le lettere greche, essi assicuravano la maggior parte del vitto, un insegnante e ospitalità senza richiedere alcun compenso. In tal modo si sosteneva lo studio del greco e si alimentava la comprensione della cultura greca …“Egli [il filosofo Nicola], senza badare a spese, costituì in questo cenobio una biblioteca che raccoglieva ogni genere di libri, quanti ne poté rintracciare per tutta la Grecia”.
Con l’occupazione di Otranto da parte dei turchi nel 1480 questo luogo viene distrutto e utilizzato da loro come campo base, tutti i libri ed i codici in esso presenti purtroppo finirono bruciati. Precedentemente, Bessarione si era portato via numerosi testi (qualcuno sussurra che forse se ne appropriò indebitamente), finiti quasi tutti a Venezia, e così ora questi unici esemplari superstiti si trovano sparsi nelle più importanti biblioteche d’Europa. L’umanista Sergio Stiso salvò molti codici, ma per questa storia vi rimando ad un altro reportage.
Anche il grande studioso Cosimo De Giorgi, nei suoi “Bozzetti di Viaggio” scritti intorno al 1880, ce ne ha lasciato una descrizione: “La chiesa è in uno stato miserevole perché ridotta a deposito di fieno e di attrezzi rustici; sicché quelle antiche pitture fra non molto scompariranno, e dell’antico cenobio non resterà altro che il nome”. Ai tempi del De Giorgi si potevano ancora osservare gli affreschi di San Nicola, i santi medici Cosma e Damiano, San Leonardo e San Basilio.
Degli affreschi originari, oggi, senza più il tetto della chiesa, restano solo queste macchie, sempre meno visibili…
Resta un pozzo con copertura a sarcofago, molto particolare…
… e qualche altro ambiente, di cui è rimasta la copertura a volta, utilizzato dal lavoro della masseria, come è ormai da molto tempo…
Passeggiando fra questi ruderi, ci si chiede… se esiste ancora il luogo dello scriptorium… dove si svolgeva il lavoro dei monaci sui testi… e osservando questa struttura ad arcate (sopra), ma è solo una personalissima impressione, si ha la suggestione di vedere una sorta di chiostro…
… si vedono alcuni muri cadenti, identici a quelli posti presso la chiesa…
… e laddove ora passano gli animali da pascolo, c’è ancora traccia di un pavimento… ripeto, è solo una suggestione personale!
Sarebbe bello se qui potesse operare uno scavo archeologico completo, perché gli studiosi acquisissero tutti i dati ancora sotto terra. Intanto, una preziosa mostra documentale ha arricchito lo scrigno del Castello di Otranto. Allestita da Rita Paiano e Francesco De Cillis, ha permesso a tutti gli appassionati una sbirciata nelle fonti storiche di questo luogo cruciale…
Edmondo Rizzo è l’autore del plastico che riproduce qui sopra l’abbazia. Un luogo che urla sommesso nuove e più approfondite indagini archeologiche…
…anche perché a circa 400 metri da qui si trova una necropoli medievale ed un ipogeo, forse un frantoio, che hanno tutta l’aria di essere stati collegati a questo sito (vedi qui).
Spero che un giorno ciò possa davvero accadere, e che la storia di questo sito di così grande importanza si possa arricchire di nuovi particolari. Nel mio piccolo, cerco sempre di aggiungere a questo reportage nuovi “reperti”…
…come questo disegno, tratto da “Topografia di Puglia – Atlante dei monumenti trigonometrici – Congedo Editore.
Il Museo Archeologico “Sigismondo Castromediano” di Lecce custodisce il prezioso reperto che vediamo sopra: si tratta di manifattura di Limoges (metà del XIII secolo), una legatura di Evangelario in rame dorato e smalti champlevé (un’antica tecnica di decorazione a smalto, secondo la quale alveoli o cavità vengono scavati sulla superficie di un oggetto metallico e riempiti di smalto vitreo. Il pezzo viene poi cotto fino a quando lo smalto si scioglie e una volta raffreddato, levigato e lucidato. Le parti non scavate della superficie originale rimangono visibili come contorno dei disegni di smalto, nel medioevo esse venivano di solito dorate. Questa tecnica ebbe pieno sviluppo nell’arte romanica per la decorazione di scrigni, placche e vasi). Misura 20 cm per 12 e proviene proprio da Casole.
Grazie alla disponibilità dei gentili proprietari, ed al volontariato di alcune degne persone che hanno a cuore questo luogo (che tanto ha dato a Otranto ed alla cultura occidentale, fucina di scambi con l’Oriente, che da qui si riversava in Europa), Casole è periodicamente visitabile, come era già successo nella scorsa primavera con le giornate del FAI…
…ed io ringrazio Rita Paiano e Francesco De Cillis per avermi segnalato questa visita, che ci ha riempito il cuore attraverso i ruderi di un luminoso passato!
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