Una storia rara si consumò, attorno al castello di Otranto, nel 1480. Quasi come un tragico e grandioso romanzo, le potenze del Cielo e quelle dell’Inferno si scontrarono qui attorno, in una città simbolo dello scontro di civiltà. Tutti i sentimenti dell’animo umano qui si intrecciarono nel rosso sangue, dalla vigliaccheria alla lealtà, dal coraggio alla paura, dalla fede negli uomini fino a quella in Dio.
Due secoli prima della strage, l’abate Verdino da Otranto (morto nel 1279), dal monastero di Cosenza, aveva predetto: “La mia patria, Otranto, sarà distrutta dal dragone musulmano”. Già, dimenticavo le profezie… in questa storia ci sono anche queste, che risuonano di titanico destino sopra una città che, dopo essere stata il cuore del Mediterraneo non tornerà mai più come prima.
Compatrono della città è San Francesco da Paola. Non molti sanno che, dal suo eremo di Paterno Calabro, qualche mese prima dell’eccidio, dopo una premonizione mistica, scrisse al Re nel tentativo di salvare Otranto, ma non fu ascoltato. I suoi confratelli lo avevano sentito rantolare: “Otranto città infelice, di quanti cadaveri vedo ricoperte le vie! Di quanto sangue cristiano ti vedo inondata!”.
E così accadde. Il 28 luglio 1480 una grossa flotta turca sbarcò presso i Laghi Alimini. Le cifre dell’attacco sono discordi, generalmente si tende a quantificare le navi in circa 150 unità e gli assalitori in circa 18.000. La città contava 6000 abitanti, fra uomini donne e bambini. Il Re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona, era in Toscana: la sua guarnigione di stanza ad Otranto, davanti all’esercito turco, decide di scappare, abbandonando gli otrantini al loro destino…
E’ qui che si verifica il primo, di quegli eventi quasi soprannaturali che caratterizzano questa storia. Gli otrantini, gente di pescatori e contadini, cosa fa? Decide di resistere. Contro ogni logica, si schierano tutti come un sol uomo dentro le mura, e davanti a quel nemico infinitamente superiore, fanno la voce grossa dagli spalti, per darsi coraggio. Forse speravano di intimorire i turchi? O che i soccorsi sarebbero arrivati presto? I cannoni invasori presero subito a bombardare Otranto.
Una lotta omerica, Davide contro Golia, un esito già scritto, eppure… gli otrantini contro ogni aspettativa resistono due settimane, senza armi, ridotti allo stremo, con la città piena di palle di cannone che piovevano da tutte le parti, che ancora oggi si possono vedere in giro…
Il castello che vediamo oggi non è quello del tempo, fu completamente rinforzato dagli Aragonesi a partire dal 1481…
…i turchi lo ridussero ad una gruviera…
…e l’11 agosto, fu aperta la breccia fatale, che portò alla caduta della città. Ogni sorta di violenza fu compiuta, la chiesa profanata, il vescovo segato in due, le donne violentate, le ragazze ed i fanciulli portati sulle navi e mandati schiavi in Turchia. Tutti gli uomini, e la progenie di Otranto, sterminati.
Alfonso di Calabria liberò la città dopo un anno, e ricostruì il castello secondo criteri moderni. Qui sopra vediamo uno dei suoi bastioni più caratteristici, quello a punta di lancia.
Col castello fu di nuovo fortificata anche la cittadina.
In Cattedrale, al centro della cappella dei Martiri, si trova un’antica e prodigiosa statua della Madonna. Durante la presa della città, un soldato turco, credendola d’oro la rubò. La portò a Valona, ma quando vide che era solo di legno dorato la gettò fra i rifiuti. Vi era in quella casa una donna otrantina, tenuta come schiava, che vista la sua Madonna gelosamente la raccolse. Successe che la sua padrona, che era incinta ed aveva grossi problemi a partorire, riuscì a sgravare soltanto dopo che la sua serva otrantina si mise a pregare la Madonna per lei. La donna così ottenne in ricompensa una piccola imbarcazione, senza vela e senza nessuno che la aiutasse a bordo, e poté prendere il mare. In un’esplosione di gioia collettiva fu accolta dal vescovo Serafino, frate minore, e riportata in cattedrale da Squillace (aneddoto tratto da “L’Amore dall’alba al tramonto”, di frate Angelo De Padova).
Il castello è oggi il cuore culturale della città, sede di mostre ed eventi…
…fra le sue grandi sale, quella più sontuosa, anche per l’ardita architettura, è quella nelle foto (vista da opposte angolature, sopra e sotto)…
Lo stesso castello è una sorta di museo, ricco di scorci e reperti interessanti…
C’è una cappella gentilizia, sorvegliata dalla figura di un nobile spagnolo con gli abiti d’epoca (sotto)…
La cappella ha conservato alcuni affreschi, in alcuni tondi sulla volta…
…ed una epigrafe del nobile in questione…
Poi, un’altra sala conserva ancora affreschi, ma non si tratta di cappella: pare che qui si svolgessero invece funzioni pubbliche, in cui il popolo accedeva…
Il castello nasconde numerosi passaggi sotterranei, che in un dedalo misterioso si susseguono nell’oscurità, ed oggi sono accessibili al pubblico (clicca qui per il reportage completo).
L’odore di umidità ti pervade, insieme a quello della Storia: qui siamo nel cuore del castello, in un luogo che ancora la Soprintendenza deve scavare ed indagare a fondo…
…e queste due incisioni (fotografie scattate da Dino Longo) ci lasciano presagire studi assai interessanti, che auspichiamo tutti vengano fatti il più presto possibile!
Ottocento superstiti al massacro, dai 15 anni in su, furono incatenati e condotti sul Colle della Minerva, la piccola altura che sovrasta la cittadina…
…lungo il percorso che fecero questi sventurati, ai primi anni del XVI secolo fu costruita questa piccola cappella, nota come Santa Maria del Passo…
…al suo interno si conserva questa immagine cinquecentesca della Vergine.
In cima al colle ora c’è la chiesa di Santa Maria dei Martiri, costruita in ricordo di quei corpi che qui rimasero insepolti per tutto l’anno trascorso in attesa della liberazione…
…perchè qui, furono uccisi, rifiutando la conversione all’Islam. Decapitati, ad uno ad uno, mentre il boia Berlabei ad un certo punto, sopraffatto dalla saldezza del loro cuore, si convertì… ma fu ucciso ed impalato anch’egli dai suoi compagni, come testimonia la stele della foto sopra…
La grande pietra usata per le decapitazioni si trova oggi all’interno della Cappella dei Martiri, in Cattedrale.
La Cattedrale ospita le 4 colonne opera del Riccardi, che un tempo facevano parte di un altare dedicato ai Martiri, che raccontano visivamente la loro epopea…
…la bellissima opera è anche la prima autografata del celebre scultore…
La vicenda dei Martiri ha ispirato scrittori di ogni epoca, e non sempre con buon gusto. Nell’anno 1765, il Grétry, compositore fiammingo di musica, celebre al suo tempo, offrì ai commedianti italiani di Parigi, il libretto di un’opera buffa dicendola di un “giovane provinciale”. I commedianti dopo averlo esaminato, lo recuperarono. Il libretto è intitolato Le baron d’Otrante, opera buffa in tre atti. E’ la parodia o la profanazione storica della crudelissima strage… Questo ridicolo componimento si legge nelle Ouevres complètes del signor di Voltaire (volume IX, stampato a Parigi dal Dupont nel 1825-27 in 71 volumi), il quale lo scrisse allor che aveva passato i settant’anni. Umberto Silvagni scrive: “Non v’è da stupirsi se chi aveva insultato Giovanna d’Arco trasse, dalla gloriosissima e pietosissima storia della strage di Otranto, l’argomento per il mediocre e quasi puerile libretto di una… farsa musicale!” (aneddoto tratto dall’Almanacco Salentino del 1968, di M. Congedo e V. Zacchino, Editrice Nuova Apulia).
Maria Corti ha scritto invece il meraviglioso romanzo “L’ora di tutti”, in un racconto che ha la potenza evocativa di una macchina del tempo. “Il castello di Otranto” è stato anche ispiratore, da qui il titolo, del primo romanzo gotico della storia, opera di Horace Walpole, del 1764. A entrambi questi autori il castello ha dedicato una bellissima mostra a cui vi rimando.
Papa Benedetto XVI ha dichiarato Santi, gli 800 Martiri di Otranto, il 12 maggio 2013. Confesso che quando sentii pronunciare quel nome, “Antonio Primaldo e compagni”, guardando il Papa in TV, gli occhi mi si son bagnati ed il respiro ha iniziato a ingolfarsi in gola, in silenzio, prima di accorgermi che mio figlio mi guardava senza parole. Ci vorrà del tempo, e appunto delle parole, perché un giorno riesca a spiegargli, se se ne ricorderà, del perché mi ero così bloccato… Pensavo a quegli uomini, quei giorni lontani… asserragliati dentro il piccolo castello, col nemico invincibile la fuori… perché resistettero? Quale fu la molla che li spinse? E tutti insieme, poi? Tutto quel dolore che videro, prima di morire… e poi lui, Antonio Pezzulla, detto Primaldo, che si fece avanti, e parlò a nome di tutti: “Ha ccisu uomini, offese fimmene, squartati preti e li santi de li pariti, li vagnuni amu istu llontanare, citti citti, intra lu mare. Li cchiu curti mmiscati alli cchiu ierti, nu sacciu mancu se eranu vivi o eranu muerti. Nu te bastanu sti motivi, cu rinunciamu a rimanere vivi?”…
(le parole di Primaldo sono tratte da un’opera di Gianni Vico e i suoi Cantacunti di Manduria: “Il martirio di Otranto”)
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Non solo Maria Corti ha scritto un bel romanzo(non sempre convincente) su questi fatti. Mi è capitato tra le mani un piccolo libro ” I VENTI DI OTRANTO” (si trova su Amazon o su Lulu.com) dove la vicenda ,reale, dell’immane tragedia, si intreccia con quella, fantastica, di un tenero amore che, come seme deposto nel terreno,simboleggia la rinascita della città.
Un libro tenero e molto poetico.
Scritto da Albino Monteduro.