Il libro “Il Cielo Interiore di Matteo Tafuri”, rappresenta una svolta concreta nello studio della datata e, sotto molti punti di vista, errata storiografia tardo bizantina in occidente (il periodo che va dalla conquista del Salento da parte dei Normanni nell’XI sec. alla fine del rito bizantino in Terra d’Otranto avvenuto nella seconda metà del XVIII sec.) e in particolare nel Salento.
Di fatto, parlare di storia bizantina in Terra d’Otranto (data l’importanza che ha rivestito) significa discutere dei fondamenti culturali, etnici e monumentali del nostro territorio e, di conseguenza, continuare ostinatamente a perpetrare errori rilevanti in questo ambito significa minare l’intera storiografia locale.
Il libro parte dal presupposto che molti assunti storici sull’argomento non siano nient’altro che teorie ormai datate che hanno pian, piano assorto alla valenza dogmatica senza però avere le necessarie basi storiche che potessero giustificare una tale certezza. Io di seguito elencherò tutta una serie di fatti e avvenimenti storici che ho ampiamente dimostrato (da più di ventanni a questa parte e confrontandomi con centinaia di altri esperti della materia) essere dubbi se non addirittura palesemente falsi. Per una questione di comodità partirò dal periodo più antico per giungere via, via ai tempi più recenti.
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Secondo la storiografia ufficiale la maggior parte dell’immigrazione di cultura greco-bizantina in occidente e, di conseguenza, nel Salento è dovuta all’arrivo dei monaci basiliani a seguito delle guerre iconoclaste avviate per volontà del Basileus Leone III Isaurico in Oriente. Visto che i monaci producevano e vendevano tali icone –questa la spiegazione ufficiale- si videro costretti a spostarsi in occidente al fine di continuare tale pratica.
Ris: Quanto sopra esposto può essere tranquillamente considerato il dogma assoluto della storiografia bizantina in occidente. Peccato che sia palesemente falso.
-Di fatti, non si comprende la motivazione che avrebbe spinto i monaci a fuggire dall’oriente per giungere nel Sud Italia trovando una situazione pressochè identica a quella appena lasciata considerando il fatto che (per esempio il Salento) era parte integrante dell’Impero bizantino con stesse regole, leggi, apparato burocratico ecc. Rammento, fra l’altro, che agli inizi dell’VIII sec. infatti Otranto è ancora la sede dello Stratego (e lo sarà sino all’876 quando si sposterà a Bari) nonché dell’arcivescovato bizantino, la popolazione è pressochè completamente grecizzata da almeno due secoli e l’apparato militare controlla ferratamente il territorio.
Quindi quale vantaggio avrebbero avuto i monaci ad emigrare nel Sud Italia trovando la stessa situazione? Assolutamente nessuna. A rafforzare tali tesi vi sono molte altre prove. Infatti, fu lo stesso Leone III Isaurico che al fine di punire il Papa (ricordo che Roma era a lui direttamente assoggettata e lo sarà sino al 751 anno in cui Ravenna – e di conseguenza Roma – sarà conquistata dai Longobardi) e i cattolici che non avevano accettato l’iconoclastia, spostò la tassazione delle chiese greche del Sud Italia che sino ad allora avevano regolarmente versato a Roma, direttamente verso Costantinopoli. Da ciò è facilmente comprensibile come politicamente e da un punto di vista prettamente religioso, le chiese del Sud Italia (come ovvio che sia) dovessero dare conto direttamente all’imperatore e al patriarcato di Costantinopoli.
-Altra testimonianza importante è data dal fatto che nel Salento non vi siano affreschi bizantini precedenti al IX sec. (forse i più antichi sono quelli presenti al di sotto degli affreschi visibili attualmente nella chiesa rupestre di S. Cristina a Carpignano salentino che sono del 959 d.C.).
Secondo lo scrivente ciò è semplicemente spiegabile con la motivazione che con ogni probabilità nel Salento le guerre iconoclaste ci sono state e, per quanto scritto sopra e considerando gli interessi del Basileus nel Sud Italia contro i confinanti latini, probabilmente le si può immaginare come addirittura molto cruente e comunque non meno efficaci di quelle avvenute nel vicino oriente. Tale tesi può essere avallata anche da un altro dettaglio non secondario. Il mosaico di S. Maria della Croce a Casaranello è datato al 450 d. C. Ciò rappresenta una palese dimostrazione delle tesi sopra espresse. Infatti, non essendoci nei mosaici presenti figure di santi o comunque rappresentazioni umane, sono stati risparmiati dalla distruzione in quanto non urtavano la suscettibilità degli iconoclasti.
-Con l’occasione ne approfitto anche per smentire una terminologia fin troppo abusata e erronea ossia quella che indica col termine di “basiliani” i monaci bizantini. Questo modo di definire i monaci orientali è una pratica cattolica sbagliatissima. In oriente, di fatti, non esistono gli ordini monastici ma solo i monaci in senso generico. E San Basilio non ha lasciato nessuna regola. Quindi la terminologia giusta da adottare sarebbe quella di monaci bizantini o ortodossi se sono assoggettati ai vari patriarcati. Oppure se riconoscono l’autorità del Papa cattolici di rito bizantino.
-Quindi, per quanto sopra esposto, a cosa si può addurre le reali motivazioni di una così ampia presenza di emigrazioni di popolazioni (e non di monaci come scritto in tutti i libri. Sembra quasi che i monaci venissero soli. Nella realtà la migrazione fu di popolazione con tutte le sue componenti sociali) di cultura greca nel sud Italia soprattutto dal VII-VIII sec. in poi? La risposta è molto più semplice di quanto si possa credere e non sono mai riuscito a spiegarmi come sia stato possibile che la storiografia ufficiale non sia riuscita a vedere ciò che si presentava in maniera così palese. A partire dalla prima metà del VII sec. l’avvento della nascente potenza araba portò letteralmente questi ultimi a fagocitare nel giro di meno di un secolo 2/3 dell’impero bizantino. Naturalmente conseguenza di ciò fu una migrazione epocale che portò ampie parti della popolazione a spostarsi nella zona più occidentale dell’impero che era giustamente percepita come molto più sicura rispetto al medio oriente. Ovvia conseguenza fu quella dell’arrivo soprattutto nel Sud Italia di enormi ondate migratorie che andarono a stanziarsi dove trovavano una stessa amministrazione politica, stessa religione e una popolazione con la medesima cultura.
Secondo me, chi ha erroneamente portato avanti la motivazione dell’iconoclasmo come fondamento di questa migrazione ha fatto un gravissimo errore di valutazione dovuto probabilmente alla coincidenza temporale dei due avvenimenti ma poi non li ha colpevolmente messi in relazione con la storiografia locale. Per tale motivo noi ancora oggi in tutti i libri riscontriamo come ufficiale un evidente falso storico. Ora muoviamo verso il periodo tardo, ossia quello che va dalla conquista normanna dell’XI secolo all’estinzione del rito bizantino nell’entroterra salentino avvenuta nella seconda metà del XVIII secolo. Se per il periodo bizantino prettamente detto (come evidenziato sopra) ci sono degli errori gravi, per quanto riguarda la storiografia tardo bizantina del Salento la vicenda diviene addirittura grottesca se non tragicomica. Gli errori in questo caso sono sistematici e molto gravi in quanto hanno inevitabilmente condotto su strade sbagliate nello studio di avvenimenti molto importanti per la storia e la cultura locale.
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L’errore in assoluto più grave che ancora oggi viene perpetrato è quello di continuare ostinatamente, (come purtroppo presente in quasi la totalità dei testi locali e stranieri, sopratutto greci) a considerare le chiese greche del Sud Italia e in particolare del Salento ortodosse.
In realtà tali chiese non sono state mai ortodosse e vi spiego il perché.
Ris: La differenziazione tra chiese ortodosse (legate ai patriarcati scismatici d’oriente) e chiese cattoliche (che riconoscono l’autorità del Papa di Roma) lo si ha a partire dallo scisma d’oriente (o d’occidente per gli ortodossi) avvento nel 1054 quando Papa Leone IX e il Patriarca di Costantinopoli Michele I Cerulario si scomunicarono a vicenda portando a compimento la definitiva separazione che si perpetua ancora nei nostri giorni. Prima di questa fatidica data, anche se con evidenti differenze e pluri secolari attriti, le varie chiese erano riuscite a mantenere un’unità formale. Da quanto scritto sopra si può comprendere che sino a questo momento le chiese greche del sud Italia non erano ortodosse ma bensì di rito bizantino proprio in virtù della ancora unione formale delle due confessioni religiose. Tra metà e seconda parte del XI secolo il meridione della nostra penisola e, ovviamente, anche il Salento furono conquistati dai normanni (1068 Otranto, 1071 Brindisi e Bari). Naturalmente gli “uomini del nord” erano apertamente filo cattolici in quanto era stato proprio per volontà del pontefice che da mercenari si erano spinti nel sud al fine di riportare alla retta via quelle popolazioni che sotto gli svevi si erano palesemente allontanati dal controllo della madre chiesa romana.
Il problema di fondo è che questi nuovi conquistatori trovarono ampie aree dei territori fortemente grecizzate nella lingua, cultura e religione. In particolare nel Salento e nella Calabria meridionale tale presenza era pressochè univoca. Naturalmente loro si sentirono obbligati a promuovere le istanze cattoliche e di conseguenza optarono per due importanti e radicali modifiche nell’assetto politico-religioso di queste regioni. Nel giro di pochi decenni cambiarono tutti i vescovi greci delle varie diocesi inserendo prelati filo latini e fedeli a loro. Naturalmente, anche l’importante sede metropolita bizantina di Otranto dovette seguire la stessa sorte e da questo momento e per sei/sette secoli le chiese greche avranno un pastore lontano dal loro modo di concepire la religione ma anche la loro cultura d’origine. La seconda importante azione fu quella di indire un sinodo a Melfi nel 1089 dove a tutte le chiese greche del sud Italia venne fatto obbligo il riconoscimento del Papa romano come autorità religiosa e non quindi più il Patriarca di Costantinopoli come era stato nei precedenti cinque secoli. Di conseguenza nacque nell’alveo del cattolicesimo romano il rito bizantino. Quindi viene con ciò confermata la tesi con cui ho principiato il discorso. In realtà dalla fine dell’XI sino all’estinzione del rito nel XVIII secolo le chiese greche del meridione non erano scismatiche come le chiese d’oriente ma bensì cattoliche di rito bizantino.
Con ciò mi preme smentire un altro luogo comune che ancora oggi è presente nella storiografia bizantina d’occidente ossia quello di attribuire la nascita del rito bizantino-cattolico a seguito dei due sinodi di Ferrara e Firenze del 1437-39. Infatti, a seguito di quell’ennesimo tentativo di riunificare le chiese, (aspetto che non si concretizzerà a causa delle enormi proteste avvenute a Costantinopoli e in tutto il medio oriente) nascono quelli che ancora oggi vengono chiamati “Uniati” presenti principalmente in Ucraina e comunque in buona parte delle nazioni dell’Est Europa. In realtà, come ho pocanzi dimostrato, le chiese d’oriente non scismatiche e che quindi riconoscono l’autorità del Papa nascono molti secoli prima a causa della forte presenza di chiese orientali nel meridione della penisola italiana. Fra l’altro, come dimostro ampiamente nel libro “Il cielo interiore di Matteo Tafuri”, esistono una quantità notevole di elementi che evidenziano come tale tesi sia reale. Vari esempi in tale direzione li possiamo riscontrare nella chiesa di S. Sofia e Stefano, monumento importantissimo proprio perché realizzato dalla e per la comunità italo greca di Soleto e dove è ovunque presente la volontà politica di evidenziare come e quanto la comunità italo-greca fosse cattolica e non ortodossa.
L’esempio più evidente e chiaro di ciò lo troviamo nel catino absidale dove in un punto volutamente messo in evidenza dal frescante, sicuramente istruito dal Protopapàs, vi è inserito l’iconografia della più importante controversia teologica tra ortodossi e cattolici ma, apparentemente e paradossalmente, la versione filo latina ossia il “Filioque”. In realtà per quanto scritto sopra non vi è nulla di paradossale in quanto si comprende come esso sia stato inserito con l’evidente volontà politica di dimostrare la propria fedeltà al cattolicesimo romano.
A sostegno di quanto appena asserito riporto di seguito un breve passo del mio libro sul Tafuri:
“Sicuramente, a tal proposito, la più rilevante differenza dogmatica tra chiesa cattolica e ortodossa, è la diversa concezione che hanno sulla processione dello spirito santo con l’aggiunta della formula del filioque in occidente, elemento dottrinale sempre considerato eretico (e a tutt’oggi vige ancora questa diversa interpreazione) dalle chiese ortodosse. Non si sa con certezza quando e come il filioque sia stata introdotto in occidente. A quanto si sa fu usato per la prima volta nel 587 a Toledo in Spagna e, per secoli non fu accettato nemmeno dalla stessa chiesa cattolica romana. Divenne sempre più adoperato però nelle chiese del centro, nord Europa che erano legate, in maniera particolare, all’autorità del Sacro Romano Impero che usò il filioque principalmente per fini politici anziché religiosi con l’intento di distinguersi dall’Impero romano ufficiale ossia quello con sede a Costantinopoli. Non è un caso, infatti, se a Roma tale formula fu impiegata per la prima volta in un periodo molto tardo e proprio nelle circostanze dell’incoronazione di un Imperatore germanico ossia Enrico II da parte di papa Benedetto VIII. Diverrà dogma definitivo per tutta la Chiesa cattolica romana solamente nel 1274 a seguito del secondo Concilio di Lione, evento nel quale fu, tra l’altro, sancito, anche se per breve durata, l’unione delle due chiese. Il dogma del filioque è elemento essenziale nelle complesse e travagliate vicende delle chiese e comunità greche del meridione d’Italia poiché considerato vero elemento discriminante e probatorio a dimostrazione della loro unione con Roma e non con le chiese ortodosse. La plurisecolare tolleranza con cui la chiesa romana aveva dominato sulle comunità greche del Salento era dovuta proprio al fatto, come abbiamo già visto, di considerare delle “consuetudini” alcune differenze di approccio ritualistico. Altro è, viceversa, tollerare le principali differenze dogmatiche esistenti tra le chiese d’oriente e d’occidente. Da ciò, possiamo dedurre che, da questo momento in poi, la presenza o meno di questo dogma nell’utilizzo liturgico e/o artistico, può essere, di fatto, considerato elemento discriminatorio di appartenenza all’una o all’altra confessione religiosa. A tal proposito nel territorio salentino esiste una testimonianza molto rilevante nella chiesa tardo bizantina di S. Sofia e S. Stefano a Soleto, patria d’origine proprio del nostro Messer Tafuri. Nella parte superiore dell’abside, realizzata molto probabilmente nella metà del XIV secolo dalla e per la fiorente comunità italo-greca del chorion bizantino, nella scena della pentecoste troviamo in maniera inequivocabile la rappresentazione pittorica del filioque in cui il Padre e il Figlio con le braccia aperte, sono intenti a mandare lo Spirito Santo sulla madonna e i dodici apostoli raffigurati nella Gerusalemme celeste. Troppo spesso, nelle pubblicazioni sino ad ora realizzate su questa chiesa, evidenziando la presenza di questo dogma, non si è però riusciti a comprendere ed evidenziare la valenza rivoluzionaria dovuta alla sua rappresentazione. Il suo inserimento per volontà della comunità bizantina, è da considerarsi a tutti gli effetti un vero e proprio schieramento politico. Qui, in maniera inequivocabile, la comunità greca di rito bizantino afferma di riconoscersi all’interno della comunità cattolica e non in quella ortodossa. Di fatti, per quanto sopra esposto, per motivazioni religiose e soprattutto politiche, mai un papas o un pittore ortodosso avrebbe inserito un elemento considerato da loro ancora oggi eretico. Da ciò possiamo con relativa certezza confermare la tesi di partenza, ossia che le comunità e chiese greche del sud Italia e in particolar modo del Salento, a partire dalla conquista normanna in poi, devono essere considerate cattoliche di rito bizantino e non ortodosse come purtroppo tuttora si continuano erroneamente a definire su tutte le pubblicazioni.”
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La tradizione bizantina nel Salento ha avuto una tale importanza a livello storico, etnico e culturale da incidere in maniera sostanziale anche in periodi molto tardi sino addirittura al XVII-XVIII secolo. Così, importanti fenomeni storico-artistici che apparentemente non sembrano centrare nulla con tale presenza in realtà ne rappresentano l’epilogo.
Il barocco leccese di fatti, posso senza paura di smentita affermare esistere proprio in conseguenza della forte presenza nel periodo della contro riforma in Terra d’Otranto di una ancora numerosissima comunità italo greca di rito orientale. Nella seconda metà del XVI secolo nel Salento i paesi che hanno ancora una parrocchia greca superano la trentina e non mi parrebbe strano se attraverso uno studio più attento delle varie visite pastorali di altri villaggi si scoprisse che superavano addirittura le quaranta unità. Purtroppo, nella quasi totalità dei casi in cui ci si è occupati del fenomeno del barocco leccese lo si è fatto da un punto di vista prettamente artistico spesso non riuscendo a comprendere i reali motivi per cui qui da noi questo stile (ma anche cultura) fosse stata così presente mentre è sufficiente spostarsi per poche centinaia di chilometri in Terra di Bari ed esso scompare conservando ancora in maniera sostanziale il romanico pugliese. Il motivo è semplice. Nel barese non vi erano gli italo greci e quindi non vi è stata la necessità di inviare decine di ordini latini per evangelizzare un’area già perfettamente inquadrata nel cattolicesimo romano. Nell’”India d’Europa” (così veniva definito il Salento nei documenti della contro riforma) viceversa, vi era la necessità di evangelizzare un’area che per troppo tempo aveva visto la tolleranza dei dominatori cattolici nei confronti delle comunità di rito greco ma che le nuove istanze controriformiste non poteva più ammettere. Lecce diviene di fatto una vera e propria “città chiesa” a seguito di questa abnorme presenza di ordini monastici latini tutti ovviamente intenti a realizzare chiese e monasteri possibilmente più rilevanti di quelli dell’ordine monastico concorrente e portando, di conseguenza, ad una notevole presenza di monumenti religiosi. E ciò è riscontrabile anche in tutti i paesi dell’entroterra (anche e soprattutto in quelli in cui si perpetrava ancora il rito bizantino) dove troviamo almeno un monastero o convento realizzato tra fine del XVI e inizi del XVII secolo. I monaci avevano l’impellente compito di evangelizzare l’area riportando sulla retta via intere popolazioni che per troppo tempo vi si erano allontanate. Da questo momento quelle che per cinque secoli erano state giustificate come “consuetudini” perpetrate dalla comunità italo-greche non furono più tollerate e quindi vennero costrette anche con evidenti maniere intimidatorie ad abbandonare il rito orientale. Ci vollero comunque ancora due secoli perché ciò avvenisse. Infatti ancora nella seconda metà del XVIII secolo troviamo paesi con una folta presenza di chierici more graecorum coniugati. Ma la fine del rito bizantino era ormai imminente. Per fortuna estinto il rito si è riuscita miracolosamente a conservare la lingua sino ai giorni nostri. Questo breve articolo ha avuto l’evidente scopo di promuovere le teorie e istanze che lo scrivente porta avanti da più di vent’anni e che sono state inserite nel libro in oggetto “Il cielo interiore di Matteo Tafuri” e nell’altro testo più specifico che vedrà la luce possibilmente a fine estate. E’ stato proprio il lunghissimo studio ma soprattutto l’importante confronto con centinaia di esperti delle materie e discipline più disparate, preti e teologi greci e latini, esperti di storia e tradizione bizantina, storici dell’arte sia orientale che occidentale provenienti da tutto il mondo (ciò avvenuto anche grazie alla gestione delle visite guidate della importantissima chiesa di S. Sofia e S. Stefano a Soleto) e molti altri ancora che nonostante la loro spesso posizione preconcetta o addirittura discriminatoria (e quindi per nulla favorevole) verso tali teorie, non sono mai riusciti minimamente a smentirle e ciò mi ha convinto (insieme alle migliaia di persone che nella mia attività di guida mi hanno più volte sollecitato a metterle su carta) che esse siano difficilmente attaccabili semplicemente perché sino ad ora non ho trovato nessuno che ci sia riuscito. Sfido voi lettori a farlo…
(N.B. Preciso che quest’articolo non ha lo scopo di una dimostrazione scientifica e documentata dalle fonti semplicemente perché ciò è rimandato ai libri a cui accenno all’inizio e alla fine del breve testo).
Chiesa di S. Sofia e S. Stefano. Soleto. Abside. Affresco della metà del XIV secolo con Pentecoste e “Filioque”
Chiesa di S. Sofia e S. Stefano. Soleto. Giudizio universale (XV sec.) Gerarchia cattolico-romana
Chiesa rupestre di S. Cristina. (IX-XVIII sec.) Carpignano salentino. Cristo pantocratore e annunciazione di Teofilatto (959 d.C.)
testo di Francesco Manni
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