Le Isole Tremiti (o Diomedèe, per la leggenda che racconta che qui si rifugiò il mitico eroe Diomede di ritorno da Troia) sono un arcipelago del mare Adriatico, sito a nord del promontorio del Gargano e facente parte del Parco Nazionale del Gargano della provincia di Foggia. L’arcipelago è composto da isole con caratteristiche geomorfologiche e antropiche diverse.
1 – Quella di San Nicola, dove sorge l’antica abbazia, si presenta quasi inaccessibile per le alte e ripide pareti rocciose, caratteristica questa che costituì nell’antichità una sorta di garanzia per le prime comunità che la popolarono, per cui su di essa risiede la maggior parte della popolazione e vi si trovano i principali monumenti dell’arcipelago. 2 – San Domino, più grande, sulla quale sono ubicate le principali strutture ricettive turistiche e dove vi è l’unica spiaggia sabbiosa dell’arcipelago (Cala delle Arene). 3 – Capraia (detta pure Caprara o Capperaia), la seconda per grandezza, disabitata. 4 – Pianosa, un pianoro roccioso anch’esso completamente disabitato e distante una ventina di chilometri dalle altre isole. 5 – Il Cretaccio, un grande scoglio argilloso a breve distanza da San Domino e San Nicola. 6 – La Vecchia, uno scoglio più piccolo del Cretaccio e prossimo a questo.
Da un punto di vista paesaggistico-naturalistic
Abitate già in antichità (IV-III secolo a.C.), le isole per secoli furono soprattutto un luogo di confino. In epoca romana le isole erano note con nome Trimerus ossia “tre posti” o “tre isole”. L’imperatore Augusto vi relegò la nipote Giulia che vi morì dopo vent’anni di soggiorno forzato. Nel 780 Carlo Magno vi esiliò Paolo Diacono che, però, riuscì a fuggire.
La storia dell’arcipelago non è però solo legata agli esiliati, più o meno illustri, che qui furono confinati, ma soprattutto alle vicende storiche, politiche ed economiche dell’abbazia di Santa Maria a Mare (definita da Émile Bertaux la Montecassino in mezzo al mare. Secondo il Chartularium Tremitense il primo centro religioso fu edificato nel territorio delle isole adriatiche nel IX secolo ad opera dei benedettini come dipendenza diretta dell’abbazia di Montecassino.
Certo è che nell’XI secolo il complesso abbaziale raggiunse il massimo splendore, aumentando a dismisura possedimenti e ricchezze, cosa che portò alla riedificazione da parte dell’abate Alderico della chiesa con consacrazione nel 1045 effettuata dal vescovo di Dragonara. Autore di questa impresa fu l’abate Alberico, il cui nome di origine germanica è forse in rapporto con la particolare protezione accordata al monastero dagli imperatori tedeschi della dinastia salica.
Arrivando dal mare in una bella giornata di sole l’isola di S. Nicola (la principale) svela a poco a poco i tesori delle architetture del castello e del monastero che la sovrastano.
Nel 1334 l’abbazia fu depredata dal corsaro dalmata Almogavaro proveniente dalla città di Almissa. Essi trucidarono i monaci e misero fine alla presenza cistercense nell’arcipelago. Dopo un periodo di abbandono, nel 1412 una piccola comunità di Canonici Lateranensi, proveniente dalla chiesa di San Frediano di Lucca, si trasferì sull’isola per ripopolare l’antico centro religioso. I Lateranensi restaurarono il complesso abbaziale, ampliandolo. Ad essi fu dato l’appannaggio di possedimenti sul Gargano, in Terra di Bari, Molise e Abruzzo.
Nel 1567 l’abbazia-fortezza di San Nicola riuscì a resistere agli attacchi della flotta turca di Solimano il Magnifico. L’abbazia fu soppressa nel 1783 da re Ferdinando IV di Napoli che nello stesso anno istituì sull’arcipelago una colonia penale. Nel periodo napoleonico l’arcipelago fu occupato dai murattiani che si trincerarono all’interno della fortezza di San Nicola resistendo validamente agli assalti di una flotta inglese (anno 1809). In seguito a tale evento, Murat concesse la grazia ai deportati che avevano collaborato alla resistenza contro gli inglesi. Fu così che ebbe fine la prima colonizzazione delle Tremiti, effettuata mediante l’insediamento di colonie penali.
Nel 1843 re Ferdinando II delle Due Sicilie con l’intento di ripopolare le isole vi fece insediare molti pescatori provenienti da Ischia che poterono così sfruttare proficuamente la pescosità di quell’area marittima e da famiglie del regno dando luogo così a una seconda colonizzazione delle Tremiti.
Sull’isola di S.Nicola dal porticciolo, si prende l’unica porta di ingresso. Si sale per una rampa stretta fra il monte e la cinta murata del borgo, con feritoie distanziate usate un tempo per controllare il mare aperto, che regalano ancora oggi inconsueti scorci di paesaggio. Si giunge così alla Torre dei Cavalieri del Crocifisso, posta a difesa dei monaci e circondata da imponenti mura di cinta. Sull’architrave della porta d’ingresso è presente la scritta “Coteret et Confriget”, cioè “spezzerà e stritolerà”, riferito al cavaliere nei riguardi di chiunque avesse violato la soglia, monito dei lateranensi. Ai lati due fregi che rappresentano le forze veneziane e quelle degli infedeli.
Proseguendo in una zona ancora di leggera salita: siamo in corso Diomede, la via principale dell’abitato di San Nicola, dal quale si gode uno splendido panorama sull’arcipelago circostante.
In cima alla salita troneggia il CASTELLO DEI BADIALI.
Eretto a difesa dell’Abbazia di Santa Maria a Mare, il Castello – Monastero è composto dalle imponenti Mura di Cinta e dal Torrione, detto impropriamente Angioino, di forma circolare, che fiancheggia l’entrata principale.
L’attuale complesso è il risultato di una sovrapposizione di modifiche avvenute durante i secoli.
Nel medioevo la facciata della fortezza era semplicemente costituita dalle due torri quadrate, angolari e sporgenti rispetto al muro, con l’ingresso posto sul lato sud della torre di destra. Con l’avvento dei canonici Lateranensi, in età aragonese (dalla fine dei XV secolo), furono intraprese grandi opere di restauro e consolidamento delle fortificazioni. II muro e le due torri vennero “rivestite” tirando a filo la facciata, per inserire nello spazio interno tra la vecchia e la nuova cortina muraria i corridoi delle fucilerie con le feritoie del tipo “a toppa”, da cui sparavano gli archibugi.
Infatti l’ingresso fu risistemato per risultare in asse con la strada fortificata che attraversava il Campo e fu servito di ponte levatoio, il cui battiponte è ancora in parte visibile nel fossato, e di passerella fissa in legno.
Per la difesa della porta su cui i monaci fecero scolpire il proprio simboli, venne costruita la torre rotonda, detta erroneamente angioina, in origine provvista di merli e dotata di apparato a sporgere su mensole con fori-caditoie per il tiro verticale dall’alto.
Attraversando gli androni d’accesso si sale la rampa del posto di guardia, su cui troneggiano le alte mura.
Dal torrione angioino si domina un panorama mozzafiato!
Da li si entra in un ennesimo cortile coperto da una grande volta a crociera e che contiene un bellissimo pozzo – cisterna.
Un’altra breve scala conduce al sagrato della chiesa di S. MARIA DEL MARE, a lato della quale sorge l’ABBAZIA, capolavoro dei Benedettini prima e dei Canonici Lateranensi poi.
La chiesa, edificata nel 1045 nel punto segnalato da un eremita (grazie all’apparizione della Madonna) come quello in cui trovare il tesoro di Diomede, si presenta con una bella facciata in pietra d’Istria, che a metà del XV secolo sostituì l’antica facciata dell’edificio medievale.
Nei secoli successivi fu abbellita con motivi decorativi rinascimentali di provenienza veneto-toscana e barocchi, come il portale.
All’interno si conserva ancora pressoché intatto l’antico impianto, rimaneggiato in alcune parti e ampliato dai Cistercensi senza alterarne troppo l’aspetto precedente. L’edificio si presenta a tre navi terminati con altrettante absidi, preceduto da un doppio nartece con una loggia al piano superiore e concluso in origine da un presbiterio tripartito, profondo due campate, che riprendeva lo schema del nartece.
Oggi questa zona ci appare nella forma assunta dopo il 1255, con un ampio coro gotico voltato a crociera costolonata.
La particolare originalità dell’impianto planimetrico è data dalla presenza al centro di una vasta aula quadrata che presenta su ciascun lato tre monumentali arcate cieche che inquadrano altrettanti archi passanti di minore altezza sormontati da monofore.
I pilastri che li sostengono hanno forma polilobata con due semicerchi ai lati di un nucleo quadrato. Sul lato aperto verso il coro lo schema doveva essere ripetuto.
Attualmente un grande arco trionfale a sesto acuto segna il passaggio al coro, in cui ancora visibile è l’antica abside centrale.
Pur essendo stata in passato accostata ad edifici di ambito bizantino ed orientale la chiesa si ispira a modelli riconducibili alla cultura architettonica occidentale, in particolare di area germanica, affermatasi in ambito carolingio e ottoniano, come rivelano i rapporti tra le poderose arcate cieche del vano centrale ed il cosiddetto ‘ordine colossale’, di cui la prima redazione della cattedrale di Spira costituisce l’esempio più noto.
Altri confronti sussistono, per la forma dei pilastri, con alcuni esempi di architettura lombarda e francese, dalla chiesa di Santa Maria di Lomello, dei primi decenni dell’XI secolo a quella di S. Philibert a Tournus.
Tra le aggettanti navate laterali troviamo molti particolari degni di nota.
Nella navata centrale si può ammirare il magnifico PAVIMENTO A MOSAICO della fine dell’ XI secolo. I frammenti musivi rimasti sono dislocati in vari punti dell’edificio. Quasi intatto rimane il tappeto centrale che rivestiva l’intero spazio quadrangolare.
Le figurazioni che compaiono nel deambulatorio, nell’area centrale e nella navata laterale: l’aquila, il grifo ed il leone, simboleggiano la forza e la potenza di Cristo. Nei Bestiari l’aquila era capace di guardare il sole in faccia. Il leone e l’aquila mostravano grande attenzione nei confronti dei loro piccoli. Come il leone soffiava nella gola dei suoi cuccioli morti per resuscitarli, così l’aquila portava i suoi piccoli nell’alto del cielo dell’empireo, per insegnare loro a fissare il sole, e gettava via quelli che non riuscivano a sostenere lo sguardo. Come la vicenda del leone è legata all’idea della Resurrezione, così la leggenda dell’aquila prefigura l’idea del Giudizio. L’aquila è anche simbolo del neofita, del catecumeno. L’unione dei due animali maggiori dava vita all’immagine del grifone, significativamente inserito a Tremiti in posizione centrale.
Il grande bellissimo mosaico è formato da piccole tessere di circa un cm di lato, disposte ad opus tesselatum, alternato a piccoli inserti di opus sectile. Il materiale delle tessere è formato da marmo bianco pentelico, giallo di Siena, palombino di Subiaco, nero di Mattinata.
Il grande tappeto musivo può essere suddiviso in tre settori, corrispondenti ad altrettante partizioni architettoniche dell’aula sacra. Nel primo di essi, corrispondente all’area presbiteriale, campeggiano due monumentali cervi affrontati con grandi corna ramificate su un fondo fittamente decorato da racemi vegetali.
I due cervi, simboli dell’anima ansiosa di avvicinarsi a Dio, non sono raffigurati ai lati del tradizionale albero della vita e del cantaros, fonte di salvezza e simbolo del battesimo, ma si dispongono direttamente ai lati dell’altare, di cui sottolineano il valore sacro e liturgico.
La centralità della composizione è ulteriormente ribadita dalla presenza dei due elefanti, felici abitatori del Paradiso terrestre, allo stesso titolo di Adamo ed Eva, ma indenni dal peccato originale e quindi automaticamente ammessi alla beatitudine eterna.
I due elefanti sorreggono torri sul dorso e sono intenti, con le proboscidi, a sollevare delle sfere di colore grigio su un fondo a racemi.
Le figurazioni sono riquadrate da pannelli decorati con cerchi annodati e motivi a pelte.
Al centro del presbiterio rimangono alcuni frammenti di cornice ed i resti di due rotae di piccole dimensioni una delle quali contiene un grifo.
Nella navata di sinistra, a lato dei tre gradini che innalzano il presbiterio, si trova una rota centrale con la figura di un leone, di cui è chiaramente visibile la testa di prospetto e parte della criniera. Questa figura contrasta con il trattamento naturalistico delle altre figure, per cui si sospetta essere frutto di un successivo intervento medievale, forse di restauro. Una conferma a questa ipotesi viene dal confronto con un altro frammento musivo, raffigurante un leone entro un girale vegetale, emerso nel 1994 nella cattedrale di Termoli, eseguito tra la fine dell’XI secolo ed i primi anni del secolo successivo.
Nel vano centrale quadrato su un fondo caratterizzato da un motivo a palmette con cinque foglie contrapposte e legate da nodi si incastona una grande composizione a cinque cerchi inscritta in un quadrato a formare un quinconce.
Questo mosaico delle Tremiti condivide con i mosaici di area alto adriatica la ricerca di effetti di vivace policromia e la ricchezza delle decorazioni zoomorfe.
La monumentale quinconcia è fiancheggiata da cornici con trame geometriche e figure animali, più o meno fantastiche, sono contenuti negli anelli angolari.
Nel cerchio centrale, di maggiori dimensioni, una serie di fasce concentriche a zig-zag racchiudono un disco occupato dalla figura di un grifo alato. Considerato in un primo momento dalla critica in rapporto al mondo bizantino, il mosaico delle Tremiti è stato successivamente inserito nel quadro di una cultura veneto-adriatica, permeata di elementi di matrice orientale derivati dal comune passato tardo-antico e paleocristiano. Confronti sono stati istituiti con i pavimenti di Torcello (S. Maria Maggiore), di Venezia (S. Niccolò, S. Marco e S. Zaccaria), di Carrara (S. Stefano) e dell’abbazia di Pomposa, per citare solo alcuni esempi. Questi pavimenti, successivi al mosaico delle Tremiti, sono realizzati quasi interamente in sectile, mentre nel caso della chiesa isolana gli inserti di sectile si limitano a pochi frammenti (le pupille degli animali, il collare del piccolo grifo nella zona presbiteriale, il motivo a scacchiera sul corpo dei pesci, alcuni tratti della decorazione aniconica), elemento che differenzia notevolmente questo pavimento da quello recentemente scoperto della cattedrale di Bitonto, a cui per altri motivi è indubbiamente legato.
Nei cerchi minori sono contenuti degli uccelli, mentre negli spazi di risulta vi sono piccoli pesci.
Nella campata immediatamente ad ovest del vano centrale è in parte visibile un’aquila ad ali spiegate, nello stile veneto di Murano, entro un tondo circondato da un tralcio di foglie stilizzate.
Altri resti musivi sono visibili intorno: fiori gigliati variamente colorati, cerchi intersecantisi, cornici circolari contenenti palmette, motivi geometrici a scacchiera, ecc.
Molti dei motivi presenti nel mosaico delle Tremiti affondano le loro radici in un contesto più specificatamente pugliese. I motivi a racemi intrecciati nel quadrato centrale e nella navata sinistra si ritrovano, ad esempio, nelle fasce che decorano i bordi del Benedizionale di Bari e dell’Exultet 1 della cattedrale di Troia. Gli stessi ornati geometrici e vegetali e le raffigurazioni zoomorfe dell’aquila, dei grifi, degli elefanti, suggeriscono, inoltre, indubbie analogie con la grande tradizione scultorea discesa dall’arcidiacono Acceptus.
Altre opere sono presenti nella chiesa. Nell’abside della navata destra sta la statua lignea policroma di Santa Maria a Mare, che lascia intravedere influssi di tipo bizantino.
Di notevole fattura è una grande crocifissione lignea, dipinta sui due lati, di provenienza toscana.
Splendido è il polittico ligneo policromo, laminato in oro, che campeggia nell’abside centrale dietro l’altare.
Adiacente alla chiesa è presente il chiostro del monastero, con al centro un’opera molto caratteristica: la Loggia della Cisterna della Meridiana (così chiamata perchè si suppone che un tempo i frati la adoperassero per misurare l’ora mediante i raggi solari), un pozzo molto profondo, circa 17 metri, che serviva per la raccolta dell’acqua piovana ad opera dei frati.
Dietro la chiesa si sviluppa l’abbazia, caratterizzata da un semplice ma bello stile rinascimentale.
Dove spiccano un porticato dalla quieta teoria di crociere e di colonnine.
All’interno della Fortezza – Monastero è possibile ammirare altre numerosissime ed ingegnose opere di difesa, costruite durante l’epoca dei Cistercensi con il Patrocinio di Carlo d’Angiò, come il grande refettorio vicino all’ingresso del castello.
E il grande “celliere ” da cui si apriva una serie di cunicoli rupestri adibiti a prigioni.
Interessante e caratteristico è il rivellino-torrione realizzato sul costone dietro il convento.
Esso domina lo spettacolare panorama delle isole Tremiti.
Un ecosistema ancora in gran parte incontaminato.
I LOVE YOU: TREMITI!
(fonte: www.mondimedievali.net)
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