Antonio De Ferrariis, detto il Galateo (Galatone, 1444 – Lecce, 1517), resta ancora oggi un fulgido punto di riferimento per chi voglia tornare indietro fino alle radici autentiche del Salento, le sue origini storiche ma anche le sue più intime tradizioni, usi e costumi. Medico e letterato, ci ha lasciato il suo testo più prezioso e affascinante, il “De situ Iapygiae”.
Studiò appassionatamente, a Nardò, filosofia antica, letteratura greca e latina, medicina e geografia. Passò poi a Napoli, dove dal 1465 approfondì le discipline umanistiche e la medicina. Presso l’Accademia napoletana entrò in contatto con un gran numero di intellettuali, che lo aiutarono ad aprire ancora di più i suoi orizzonti. Lavorò come medico a Ferrara, a Venezia, per poi tornare a Napoli, talmente stimato da diventare medico della corte di Ferdinando I d’Aragona.
Verso il 1478, per il suo carattere riservato e modesto, si adattò a svolgere la funzione di medico condotto a Gallipoli, dove sposò l’aristocratica Maria Lubelli dei baroni di Sanarica. La coppia ebbe cinque figli, ma la serenità della sua vita fu turbata nel 1480 dall’invasione di Otranto da parte dei Turchi. Portò la sua famiglia più al sicuro, al riparo dentro le mura di Lecce, dove annotò gli eventi drammatici che stavano scatenandosi nel Salento.
Vittorio Zacchino, nel suo libro “L’ombra di Cassandra”, riporta l’amore che Antonio aveva per una sua casa di campagna situata presso Trepuzzi, dove personalmente si dedicava a piantare l’olivo, impugnando la falce e la zappa, elogiando la vita rustica e la vera pace che può dare solo la campagna. Purtroppo, la tenuta gli diede molti dolori, come le scorrerie portate dai turchi nel 1480, e quelle dei mercenari veneti pochissimi anni dopo, che portarono il Galateo in gravi difficoltà finanziarie.
Alla morte della moglie, divenne prete di rito greco. In un altro dei suoi rari viaggi oltre la sua terra, giunse a Roma, presso Papa Giulio II, a cui donò una copia dell’atto della celebre “Donazione di Costantino”, prezioso documento che era conservato dai monaci di San Nicola di Casole, e salvatosi dopo la distruzione operata dai Turchi. La Donazione di Costantino è un documento conservato in copia nei “Decretali dello Pseudo-Isidoro (IX secolo) e nonostante fu classificato inequivocabilmente come “falso” dall’umanista Lorenzo Valla, esercitò una grande influenza in tutto il Medioevo. Recita parole attribuite all’imperatore Costantino (recando la data 30 marzo 315), con le quali egli investiva la Chiesa romana di poteri immensi. La parte del documento su cui si basarono le rivendicazioni papali recita: “In considerazione del fatto che il nostro potere imperiale è terreno, noi decretiamo che si debba venerare e onorare la nostra santissima Chiesa Romana e che il Sacro Vescovado del santo Pietro debba essere gloriosamente esaltato sopra il nostro Impero e trono terreno. Il vescovo di Roma deve regnare sopra le quattro principali sedi, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme, e sopra tutte le chiese di Dio nel mondo… Finalmente noi diamo a Silvestro, Papa universale, il nostro palazzo e tutte le province, palazzi e distretti della città di Roma e dell’Italia e delle regioni occidentali”.
Nel bagaglio culturale del Galateo troviamo Aristotele, Platone, Omero, Senofonte, Plutarco, Catullo, Ovidio, Seneca, Virgilio, Orazio e la lista si potrebbe allungare di parecchio, ma a suo onore, nonostante questo fertile humus, non trascurò di studiare gli usi e i costumi della sua terra, che descrisse in termini molto particolareggiati. E non sfuggì all’intellettuale il quadro generale della società dei suoi tempi e della corruzione morale e politica che la attanagliava, di cui denunciò e criticò la diffusione delle pessime consuetudini spagnole.
Il suo libro più famoso ci ha lasciato quadri descrittivi molto profondi, come quando parla della sua gente “…pacifica, dal tratto amabilissimo, piena di buon senso e per nulla ingannatrice e subdola; ma, per la natura del luogo, non molto bellicosa, sebbene coraggiosissima quando si tratta di mantenere la fede promessa e difendere l’onore”.
Qui sopra, segnalatomi dallo studioso Mario Cazzato, un ipotetico ritratto del Galateo. Scoperto nel 2016 fu riprodotto da Pietro Cavoti da un originale custodito dalla famiglia Tanza nel proprio splendido palazzo di Galatina. Questa famiglia era stata imparentata alla lontana con il Galateo. Antonio Tanza, il celebre abate vicario del vescovo Capecelatro era uno studioso del Galateo. L’originale di questo ritratto non è al momento reperibile.
Riporto un altro passo del suo libro già citato, circa una tradizione che ai nostri tempi è diventata puro svago per turisti: “Questa provincia genera gente assai tranquilla e per nulla assetata di sangue umano; ma ad alcuni sembra che la natura abbia guastato questi suoi pregevoli doni. Essa infatti fece nascere qui una specie di ragno pericolosissima, gli effetti del cui veleno possono essere inibiti dal suono dei flauti e dei tamburelli; non lo avrei ritenuto possibile, se non lo avessi visto di persona, facendone esperienza moltissime volte e se non avessi letto in Aulo Gellio esservi alcuni serpenti il cui veleno è reso inefficace dal canto e dal suono dei flauti”. Desta quanto meno “immagini”, questa descrizione! Il buon De Ferraris doveva amare molto la sua terra, di cui descrive minuziosamente tutti i frutti prodotti dalla terra, tanto da citare le parole di Orazio, con le quali chiudo anche io: “Ripiegherò nelle campagne di Taranto… quell’angolo di terra più degli altri mi sorride, dove ritrovi il profumo dell’Attica nel miele, il verde di Venafro negli ulivi, dove il clima alterna a miti inverni lunghe primavere…Con me su queste colline ridenti ti vorrei, anche se qui un giorno dovrai piangere sulle ceneri ardenti di questo tuo poeta”.
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