La produzione e il commercio dell’olio in Salento era una realtà già conosciuta dai Romani, e prima ancora dai Greci e i Messapi, ma è in età tardo medievale che qui nasce una vera e propria industria, che pose la Terra d’Otranto al centro di questo traffico, con un’importanza di spessore europeo. Il porto da cui si imbarcava “l’oro verde” del Salento era Gallipoli.
Qui giungevano imponenti strade carraie. Nel 1594 sotto il viceregno del conte Della Miranda su deliberazione del Decurionato gallipolino fu approvata la gabella di un grano per ogni staio d’olio che si immetteva in Gallipoli, poiché l’Università doveva continuamente rifare mura, passi e ponti, rovinati per lo continuo trasporto di ogli. “Qui infatti espongono le loro mercanzie gli abitanti d’Italia, della Britannia, del Belgio e tutti quelli che si trovano nel mare degli iperborei. Qui caricano le loro navi con l’olio che si raccoglie di tutta la provincia”, recitava un antico documento in latino. Gallipoli già nel Cinquecento era riconosciuta quale la maggiore piazza europea in materia di olii.
Qui sopra, una visione di Gallipoli come era nel ‘500, tratta da una tela di quel periodo custodita oggi nella Chiesa del Rosario. L’artista volle raffigurare oltre l’isola di Sant’Andrea anche i monti della Calabria. A proposito dell’importanza assunta dalla città, ricordiamo che il celebre sapone vegetale di Marsiglia, naturale al 100% e indicato a detergere tutti i tipi di pelle, nacque a Gallipoli intorno al 1600, miscelando la soda con lo scarto ottenuto dalla spremitura delle olive. Ma la città francese ne acquisirà la paternità, in quanto ne creò la sua industria produttiva.
Nel 1484 la cittadina-isola fu presa a cannonate dai Veneziani, anche se i Gallipolini opposero una eroica resistenza (alcuni raccontano che quando morirono tutti gli uomini, salirono le donne sugli spalti per continuare la resistenza): il bottino di guerra per i veneti contò fra l’altro “cinque mille ducati de ogli”. Nel Cinquecento si portarono a Gallipoli i più ricchi commercianti d’Italia, ma a beneficiarne furono tutte le categorie sociali: gli scaricatori di porto, ad esempio, avevano così tanto lavoro che costruirono la meravigliosa Chiesa della Purità con il loro denaro.
Nonostante Gallipoli non fosse provvista di un porto sicuro, i traffici non cessarono di crescere. L’olio prodotto in Salento era considerato il migliore, non per uso alimentare, ma per accendere le lampade di case popolari come di corti europee. Ad un mese di distanza da Napoli, Gallipoli ebbe nel 1741, seconda nel Regno, il “Consolato di mare”. Cosi si esprimeva il Galanti nel 1791: “Quando fui in questa città, io vi trovai intorno a 70 bastimenti di diverse nazioni settentrionali che attendevano il tempo di caricare sopra una spiaggia”.
Durante l’annata dal 1 dicembre 1766 al 30 novembre 1767 si esportavano 46.952 salme d’olio, cioè 77.000 quintali circa, di cui 11.459 per porti nazionali e 35.493 per porti esteri. La seguente è una statistica che riflette l’andamento degli imbarchi dalla Terra d’Otranto. Taranto: 3.658.741 staia. Otranto: 643.021 staia. Brindisi: 1.950.838 staia. Gallipoli: 8.218.326 staia.
Il porto di Gallipoli (sopra) alla fine del Seicento, con le navi alla fonda, pronte a caricare le botti d’olio…
…qui sopra si notano le pile regie di caricamento e la folla dei curatoli che assistono alle operazioni di carico. La scena è tratta da una preziosa tela seicentesca custodita nel Museo Civico di Gallipoli.
Il Salento intero era ricolmo di frantoi ipogei dove si lavorava l’olio (vedi qui) ma a Gallipoli, nel centro storico antico, se ne contavano tantissimi. Questo qui sopra si trova sotto Palazzo D’Ospina, appartenuto anche alla famiglia di Antonietta De Pace…
…ma per avere un’idea, di ciò che era questa realtà, vi consiglio la visita ai due frantoi ipogei custoditi dall’Associazione Gallipoli Nostra (foto sopra e sotto), che ancora conservano gli arredi originali, e sono comunicanti fra essi.
Sul finire dell’Ottocento, il commercio dell’olio a Gallipoli entra in crisi. La causa principale, cambiati i tempi, era l’assenza della ferrovia, che avvantaggiava le città che ne erano fornite. L’olio di Gallipoli veniva quotato alla borsa di Napoli D.29, mentre si pagava D.36 nel circondario per spedirlo nei paesi di consumo. Il mezzo di trasporto su rotaia arrivò a Gallipoli solo nel 1885, quando ormai il declino era irreversibile.
(Grazie all’amico Elio Pindinelli, dal cui testo “Frantoi ipogei”, dell’Associazione Gallipoli Nostra, ho tratto molte delle notizie presenti qui. Vi lascio ad un video dedicato alla città!)
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