Una volta la vita passava di qua. Per le campagne. E avvertivi echi continui di corse e giochi di bambini, canti di lavoro e folli cantilene. L’odore delle piante. Dei cavalli. Del sudore dei contadini. Di noi, giganti di pietra silenziosi, solo la fisionomia, da lontano, mentre ti avvicinavi. Solo questo, senza farci troppo caso. Prendevi la nostra ombra o ti godevi il focolare, nei torridi pomeriggi d’agosto o le sere di gennaio.
Abbiamo preso il colore del panorama. La pietra non mente. Noi siamo il panorama. Perdiamo pezzi, ci sfaldiamo, ma siamo fatti di pietra, quindi franiamo. Da quando non ci abita più nessuno, e non udiamo più i rosari la sera, per mettere a nanna i bambini, o le urla energumene del mattino, dietro le bestie da soma.
Mostriamo il ventre molle della roccia buona, che un tempo era casa…
Gli olivi aspettano, che da noi esca qualcuno che rinnovi il patto di vita con loro…
Ma tutto intorno è quiete e silenzio…
Le mie volte, le mie invincibili volte a stella… si frantumano incredule sotto cieli azzurri…
Bastioni che non oppongono più niente a nessuno…
Muretti assorti, col pensiero della via dei pellegrini che avevano affollata accanto, una volta…
Ma scende sempre una sera serena, su questi campi… è vero, portavi allegria… portavi l’amore… ma sei andato via…
…ma io avvampo ancora, la sera… di tenero dolore, per un creato disfatto… una sorta d’amore, pure questo onesto…
E gli animali non belano più… e il gallo è scomparso con te, al mattino…
Ma l’erba cresce sempre verde intorno a me… e altri animali avvampano d’amore nei dintorni, li sento… un carnaio d’amore…
E mi vergogno, certo, ma perché non ammetterlo?… la sera manchi, alle mie pareti rosa…
Di giorno tornano impettite… troppo impegnate a non sfaldarsi col sole cocente…
Non dirmi niente. Non voglio sentire dalle tue parole quello che hai fatto alle mie pareti. Ti aspetterò, in questa quiete. Se tornerai, io sarò sempre qui…
…fino a quando l’ultima pietra non sarà caduta…
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