La ricerca investigativa di Luigi Ruggieri s’incentra sul ciclo pittorico della parete meridionale della chiesa nocigliese di Santa Maria de Itri. Pur nel rispetto delle teorie apprezzabili del prof. Sergio Ortese, Ruggieri adduce riflessioni proprie suffragate da un’ampia documentazione bibliografica e Web, relativa all’originalità simbolica degli affreschi in sinergia
con l’iconografia figurativa delle immagini, in gran parte guaste, ma ancora leggibili. Sollecitato da un forte interesse di una sua personale interpretazione sugli eventi storici e culturali del corposo corredo iconografico, l’autore analizza gli aspetti più enigmatici e poco esaustivi della parete meridionale dell’edificio religioso. Attraverso un’analisi attenta e meticolosa, Ruggieri sovverte la precedente teoria relativa all’affresco di una figura femminile identificata come Santa Cesarea con quella della Sibilla Cumana, la traghettatrice dell’umanità pagana verso quella cristiana. A conferma di ciò, espone motivazioni di notevole spessore investigativo: il luogo, ossia Nociglia, zona di passaggio tra Oriente e Occidente; la titolazione, ossia il nome della santa difficilmente leggibile, ma verosimilmente attendibile tramite una elaborazione grafica computerizzata per la quale Ruggieri perviene ad una sua sorprendente versione. L’autore indaga gli attributi iconografici come il turbante, il nimbo ed il pugnale che la sibilla santificata tiene nella mano destra; inoltre l’abbigliamento e il volto dal malizioso sorriso che ricorda la Gioconda. Per meglio offrire una maggiore chiarezza dell’opera, sposta l’attenzione sui due santi posti a sinistra della problematica santa e, attraverso particolari e riferimenti storici, deduce che essi sono Sant’Ambrogio e Sant’Agostino. E qui mi fermo per non togliere il gusto al lettore che certamente sarà incuriosito della ricerca stimolante e, direi, persuasiva di questo giovane studioso al quale spetta il merito di dare voce al recupero storico-culturale della sua Nociglia (VINCENZO ABATI, Critico d’arte, già docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Lecce).
NUOVO SIGNIFICATO DELL’ICONOGRAFIA PRESENTE NELLA CHIESA DELLA MADONNA DELL’ITRI A NOCIGLIA (a cura di Luigi Ruggeri)
Lo studio sull’iconografia della chiesetta della Madonna dell’Itri a Nociglia mi ha stimolato a proporre un nuovo punto di vista storico-culturale, soprattutto partendo dall’osservazione del più antico ciclo pittorico della parte meridionale dell’edificio religioso. Tale parete è orientata in direzione del castello e dell’abitato, nonché a Sud dove avviene il transito in cielo del Sole, dall’alba (nascita di Gesù raffigurata sulla parete est) fino al tramonto (morte di Gesù raffigurata sulla parete Ovest). La mia ricerca interessa particolarmente i due personaggi presenti sul lato destro (di chi guarda) della porticina secondaria (ormai tamponata e decorata da un’immagine della Madonna che presenta Gesù Bambino alla Profetessa Anna) e sul lato sinistro di un San Leonardo (con tunica bianca, libro e catene in mano). Questi personaggi, ambedue santi, credo abbiano avuto una difficile interpretazione in quanto diversi elementi a loro correlati sono abrasi e poco distinguibili. Tale situazione ha portato, credo, ad una facile confusione interpretativa negli autori che hanno trattato l’iconografia in questione, convincendomi che la tesi attualmente in auge non sia la più ideale (foto sotto).
Da qui ho cercato delle nuove risposte che soddisfassero lo stile rappresentativo utilizzato, rapportato al periodo storico di realizzazione degli affreschi. Tale periodo, inquadrato intorno alla seconda metà del Quattrocento, è fondamentale per una sana e realistica definizione delle immagini coinvolte in questa mia nuova tesi. Tali figure sono quella di un santo vescovo non meglio identificato accostato ad una santa con il turbante della quale il Professor Sergio Ortese ne puntualizza l’importanza dicendo <<che nella posa falcata, nel taglio degli occhi e nello slancio del collo, presenta strette affinità lessicali con i soggetti mariani della parete settentrionale, riallacciandosi al contempo a esiti espressivi di cultura gotico cortese>>. Inoltre lo stesso professore osserva che la lettura del titulo latino (CA)ESAR(IA), consente di identificarvi, non già Santa Teresa o Sant’Agata come recentemente indicavano Michel Berger e André Jacob, <<ma la Santa Cesarea salentina, cui è intitolata la località costiera a Sud di Otranto, e della quale poche e confuse notizie si leggono in una biografia tardo medievale che riferisce dei suoi natali, da Luigi e Lucrezia Vinciguerra (foto sotto).
Stando al Galateo, la diva ascosa nella più cupa tenebra, per sfuggire alle insane attenzioni del padre, avrebbe abbandonato la casa natia per scomparire in una grotta della marina di Castro, il cui modellino – una sorta di trullo – compare sorprendentemente nella mano destra, ad avvalorarne l’identificazione>> (foto sotto).
Secondo Sergio Ortese, si tratta dell’immagine più antica della santa a oggi nota, un unicum per l’intera età medievale, se si esclude un evanescente lacerto di pittura murale presente nelle campagne di Vitigliano. Chiese rupestri dedicate alla santa sono menzionate a Santa Cesarea Terme, Cocumola, Andrano, Lucugnano, Francavilla (sua patria). (foto sotto).
Nel saggio “Nociglia, chiesa di Santa Maria de Itri”, sempre a cura di Ortese, compare questa frase: “Purtroppo, il punto controverso della questione non risiede soltanto nel mancato recupero dei dati archivistici o toponomastici, quanto nella esigua documentazione materiale a disposizione degli studiosi. In altre parole, la rarefazione del patrimonio artistico salentino non sembra permettere una analisi compiuta dell’iconografia di Santa Cesarea e, dunque, impedisce di seguirne correttamente i relativi sviluppi storici”. Da queste parole è nata la curiosità personale di saperne di più, investigando anche per vie trasversali e così ho intrapreso la lettura di saggi di pittura medievale e rinascimentale, nonché quella di poemi e cantici religiosi, approfondendo la storia dei Padri della Chiesa e dei monaci bizantini, e tutto riconduceva alla transizione avvenuta dall’età pagana a quella cristiana, passaggio che ha influenzato molto i secoli successivi al primo Concilio ecclesiastico. Al termine di questo studio spasmodico sono arrivato ad avere le idee più chiare e mi è giunta una illuminazione: la “presunta” Santa Cesarea non è altro che la fantomatica SIBILLA. (foto sotto).
Nessun mito, come quello della Sibilla, ha attraversato i millenni, conservando il fascino della superstizione primitiva dalla quale trae origine. Dagli oscuri tempi pre-omerici, la Sibilla è giunta fino al Medioevo sostanzialmente immutata nel suo significato. Ha dato voce alle istanze profetiche di quattro grandi religioni fiorite attorno al Mediterraneo: il paganesimo greco, il monoteismo giudaico, la religione etnica romana e il Cristianesimo. I Padri della Chiesa hanno trovato un’alleata preziosa nella Sibilla che diviene colei che illumina il cammino dell’umanità pagana verso il Cristianesimo. I nomi delle sibille, derivati dal luogo che la tradizione assegna loro come patria, rivelano il ruolo della loro missione nelle nazioni: la Grecia è rappresentata dalla Sibilla Delfica, l’Asia dall’Eritrea e dalla Persiana, l’Africa dalla Libica e Roma dalla Sibilla Cumana, guida di Enea e origine dei Libri sibillini concessi a Tarquinio. Nel 1481 apparve a Roma il libro “Discordantie nonnullae inter sanctum Hieronymun et Augustum” del domenicano Filippo Barbieri. All’interno dell’opera è presente un trattato indirizzato integralmente ai detti delle Sibille e dei Profeti. L’innovazione del Barbieri, che enumera dodici Sibille, si propone come summa e riforma della tradizione antica oracolare, ascrivendo alle Sibille motti di inequivocabile derivazione cristiana, rafforzata dall’associazione con i Profeti canonicamente riconosciuti dalla dottrina della Chiesa, e offrendo un testo guida per le raffigurazioni pittoriche, offrendo dei modelli figurativi e descrittivi ben definiti (foto sotto).
Prima del 1481 va ricordata l’importante edizione (1465) del trattato “De divinae Institutiones” di Lattanzio (ispirato allo storico Varrone) che può aver rinnovato un interesse già diffuso per le profetesse pagane, nonché il contributo, erudito, preziosissimo sulla psicologia delle Sibille, indovini e profeti contemplato nel “De christiana religione” e nella “Theologia platonica” di Marsilio Ficino. Nel corso del XV° secolo tre correnti si sviluppano e si intersecano anche in uno stesso artista: la prima risente delle tradizioni apocalittiche giudeo-cristiane tramandate da Lattanzio e Agostino in cui vige il terrore della fine del mondo; la seconda corrente risente dell’oracolo sibillino presente nella IV° Egloga di Virgilio (che ha influenzato anche l’imperatore Costantino), in cui vige l’idea della rinascita; la terza ed ultima ha viva in sé una concezione storico-teologica dell’umanità, la Sibilla è l’anima dell’umanità che attraversa la fede giunge alla scienza e alle virtù cristiane. Perché nella chiesa di Santa Maria de Itri a Nociglia è presente proprio la Sibilla Cumana? La spiegazione sta proprio nelle varie motivazioni quali:
1) IL LUOGO
Nociglia, in Terra d’Otranto, si trova in una zona di passaggio che unisce l’Oriente all’Occidente, in quell’Italia Meridionale occupata dai bizantini, i quali conoscevano bene la Sibilla Cumana (in alcuni casi assimilata all’Eritrea). La Sibilla viene citata anche in quel libro (manoscritto bizantino del Monte Athos) che abbraccia tutta l’arte del dipingere, probabilmente opera di un artista orientale. Inoltre bisogna pensare che nel Sud Italia la tradizione profetica non è mai venuta meno grazie alla consistente presenza degli ebrei. Ci basta ricordare l’epigrafe di Glica, custodita nel Museo Diocesano idruntino e il Codice dio Parma opera degli ebrei di Otranto, dove compaiono note in volgare salentino. Ed ancora, Nociglia si trovava sulla via dei pellegrini/Crociati che erano diretti al Santuario di Leuca, pellegrini provenienti da vari luoghi anche lontani e quindi dalla cultura più disparata. Infine, la città di Cuma in cui risiedeva la Sibilla sta in una regione meridionale vicina, ossia la Campania.
2) LA TITOLAZIONE
Il titulo della santa è importante al fine dell’identificazione, ma in questo caso purtroppo è incompleto e poco leggibile. Attraverso un’attenta osservazione e tramite una elaborazione grafica computerizzata dell’epigrafe sono giunto alla formulazione di un parere personale a dir poco shoccante: Si riesce a leggere (B)SAB(A) che con le altre lettere mancanti potrebbe essere (SI)B. SABA o anche se fossero SABA(T) – SABA(TA) – SABA(A) – SABA(EA) – SABA(BA) sono sempre tutti termini riferibili alla Sibilla Babilonese/ebraica (foto sotto).
Questo non sorprende visto che i primi autori degli “Oracula Sibyllina” erano ebrei ellenizzati, che utilizzavano il mezzo profetico per esporre la propria fede ed esprimere i propri sentimenti nei confronti dei pagani, in uno stile letterario familiare e convincente per i lettori ellenistici. E cosa centra la Cumana in tutto questo? Nell’intreccio delle diverse tradizioni la Sibilla di Babilonia fu assimilata alla Sibilla Eritrea/Cumana e godette di particolare considerazione in ambiente giudaico e cristiano. Pausania, come già Varrone, chiama la Sibilla Cumana anche con altri nomi: Demo, Demofile o Erofile. Ma la Cumana è chiamata anche Amaltea e Taraxandra; è la stessa Sibilla giudaica/caldea denominata Sambethe (Sambeta), Sabbe o Saba. Tutti nomi di uno stesso personaggio! Un chiaro riferimento alla Sibilla e alle scritture profetiche antidiluviane (distrutte dal diluvio) si trova negli scritti di Berossus (Beroso), un sacerdote-cronista babilonese che dopo la morte di Alessandro compilò una storia dell’umanità per i nuovi padroni greci del Medio Oriente. Egli aveva evidentemente accesso a una biblioteca di antiche scritture in accadico (e probabilmente anche in antico sumero, visto che nel primo volume dei suoi scritti, descrivendo gli eventi dell’ammaraggio di Ea (Dio) fino al Diluvio, chiamava l’eroe del Grande Diluvio con il nome sumero Ziusudra). Nei frammenti degli scritti di Berossus resi disponibili dagli storici greci, si afferma che Ea/Enki aveva rivelato a Sisithros (= Ziusudra) che ci sarebbe stato un Diluvio, <<e gli ordinò di nascondere ogni scritto disponibile a Sippar, la città di Shamash. Sisithros, portò a termine il compito e fece vela immediatamente per l’Armenia, dopodiché ciò che il dio aveva annunciato si manifestò>>. Quelle scritture riguardavano <<gli inizi, le metà e le fini>>. Berossus prosegue riferendo che fra coloro che erano nell’Arca e sopravvissero al Diluvio c’era Sambethe (Saba), moglie di uno dei figli di Ziusudra/Noé – il suo nome è probabilmente una corruzione del sumero o dell’accadico “Sabitu” (La Settima). – Secondo Berossus <<lei era la prima delle sibille, e aveva profetizzato sulla costruzione della Torre di Babilonia e su tutto ciò che accadde alle imprese e ai loro progettisti; tutto questo prima della separazione delle lingue>>. A questa prima di una serie di profetesse oracolari fu attribuito il ruolo di intermediaria fra gli dèi e i sopravvissuti al Diluvio. Mormorò loro parole che erano <<una voce dall’aria>> che li guidò, insegnando loro come sopravvivere dopo il Diluvio e <<come recuperare da sippar i libri che descrivevano il futuro dell’umanità>>. Pausania, fermandosi a Delfi per enumerare quattro Sibille, menziona una “Sibilla Ebraica”: <<crebbe tra gli ebrei sopra la Palestina, una donna che diede gli oracoli di nome Sabbe, il cui padre era Beroso e sua madre Erymanthe. Alcuni dicono che era una babilonese, mentre altri la chiamano Sibilla egiziana>>. L’enciclopedia bizantina medievale, la Suda, attribuisce la sibilla ebraica come autore degli Oracoli Sibillini. A noi è
pervenuta una raccolta di oracoli sibillini giudaici e cristiani che consta di 4200 esametri (ivi compresi i frammenti) ed è tanto più preziosa perché sopperisce alla distruzione delle più celebri raccolte romane (di cui fin dal V° sec. d.c. non esiste più traccia). Tale raccolta, divisa in 15 libri, risale alla fine del VI° sec. d.c. e non è facile distinguere in essa le parti ebraiche da quelle cristiane , non solo a causa dei molti rimaneggiamenti delle versioni originali, ma anche per la stretta affinità del loro contenuto. La poesia sibillina ebraica, come la pagana, è considerata di ispirazione divina: Dio suggerisce alla Sibilla le parole da pronunciare e per bocca sua parla ai re e ai popoli. Essa è quindi soggiogata da Dio e non può sottrarsi alla forza che la tiene prigioniera e di quel che dice il contenuto è più importante della forma , la quale è in effetti non molto curata dai singoli autori anonimi dei vari libri. Il contenuto consiste innanzi tutto in racconti storici, a volte tanto minuziosi e precisi da poter essere assunti a fonti storiche. Ma la storia è narrata, come nell’Alessandra di Licofrone e negli scritti apocalittici, in forma di profezia; e le profezie – come quelle dei grandi profeti antichi – alludono a loro volta in prevalenza alle sciagure e al tremendo giudizio di Dio che incombono sull’umanità irretita dal peccato. Dal punto di vista dell’etica ebraica e del monoteismo ebraico la Sibilla inveisce contro gli orrori del paganesimo e la follia del culto idolatrico , nonché contro gli oppressori del popolo eletto , la cui superiorità morale e religiosa viene ampiamente illustrata esortando al pentimento e alla conversione. A fosche tinte sono dipinti i presagi della punizione divina e della fine del mondo; gli impenitenti saranno vittime di terremoti, inondazioni, epidemie e guerre. A tutto questo si contrappongono le promesse consolatrici dell’avvento del regno messianico, in cui domineranno sulla Terra benessere e pace e persino le bestie selvagge diverranno mansuete – una descrizione dell’età dell’oro che deriva da Isaia 11,6 ss. Così l’ebraismo, cosciente della propria missione, diffondeva il credo monoteistico in versi greci proferiti da una sacerdotessa pagana; e la Chiesa cristiana non solo accolse dall’ebraismo questo mezzo di propagazione della fede, ma ne fu imitatrice e continuatrice. Pausania, ponendo in successione la Sibilla di Cuma e quella Ebraica, ha voluto sottendere una certa continuità tra la rivelazione sibillina romana, espressa nei “Libri Sibillini”, e quella giudaica, espressa negli “Oracula Sibyllina” (generalmente catalogati tra gli apocrifi dell’Antico Testamento). Un’idea riguardo il possibile materiale utilizzato dal compilatore degli “Oracula Sibyllina”, ci rimanda a Lattanzio (250-327 d.c.), che, dopo aver riportato la lista Varroniana delle dieci Sibille, continua: <<I libri di tutte queste sibille sono nelle mani di tutti, eccetto i libri della Sibilla Cumana, che sono stati resi inaccessibili dai Romani e da nessuno, eccetto che dai quindicemviri è lecito che siano consultati. Ciascuno di questi libri è chiamato “Libro della Sibilla”, e pensano che siano stati scritti da una soltanto, senza che si possa distinguere a quale delle dieci possa essere attribuita; e sono infatti singoli libri delle singole sibille e non sono ordinati in modo che si possa assegnare ciascuno di essi ad una determinata sibilla; solo la Sibilla Eritrea nomina se stessa all’inizio del suo libro e dichiara di essere nata a Babilonia; ma anche noi disordinatamente diciamo sibilla, se dobbiamo usufruire delle loro testimonianze>>. Anche nel testo attribuito al santo e Padre della Chiesa cattolica Giustino di Nablus viene citata una sibilla (<<nata a Babilonia, figlia di Beroso autore della storia caldea>>). Molte volte la Sibilla Cumana è assimilata a quella Eritrea per vari motivi, uno fra questi perché originaria proprio della città di Eritre. Infatti lo Pseudo-Aristoteles in “De Mirabilibus Auscultationibus” (raccolta compilata nel II° sec. a.c.) dice: <<A Cuma in Italia viene mostrata, secondo quello che si dice, una camera sotterranea che sarebbe stata quella di sibilla la profetessa. Si dice che sia vissuta per lunghissimo tempo, rimanendo vergine, originaria dell’Eritrea, ma alcuni abitanti d’Italia la dicono di Cuma ed altri la chiamano “Melankraira”. Si dice che questo posto sia sotto il controllo dei Lucani>>. Anche Licofrone conosce la caverna di Cuma (vv. 1278-1280) ed utilizza solo lui, insieme allo Pseudo Aristotele, la parola Melankraira in un altro passaggio (v. 1464). La fonte per questo raro termine potrebbe essere Lycos di Reggio, il padre adottivo di Licofrone (vedi Parke, pag. 78 sg). Varrone a proposito sempre della Sibilla Cumana citava come varianti Amaltheia, Herophile, Demophile e Cassandra. Quindi un sacco di nomi tutti riferiti ad una unica sibilla, ossia la Saba ebraica.
3) GLI ATTRIBUTI ICONOGRAFICI PRESENTI:
a) IL TURBANTE
Molte sibille vengono raffigurate con il turbante che copre i capelli, i quali sono spesso raccolti sulle tempie e sulla nuca, segno evidente dello “status di virgo”. La Sibilla Cumana qualche volta è stata anche dipinta con il capo scoperto, ma il turbante è l’elemento più consolidato (foto sotto).
b) IL NIMBO
Il nimbo (o aureola in generale) è ingemmato di perle come avviene nella rappresentazione iconografica dei Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri e delle Vergini. Quindi la presenza del nimbo richiama la verginità del personaggio, tanto decantata dai Padri della Chiesa e nel Medioevo. (foto sopra)
c) IL PUGNALE
Un pugnale (nel fodero) spunta nella mano destra della sibilla santificata. Questo è un elemento fondamentale per l’attribuzione del personaggio studiato alla Sibilla Cumana (foto sotto).
L’artista Michelangelo che affrescò la volta della Cappella Sistina, riempendola di sibille dice: <<Guardate bene nella parte bassa del riquadro e noterete la presenza di una borsa contenente cartigli e un pugnale nel suo fodero. La Sibilla Cumana predice eventi sanguinosi e con il pugnale volli sottolineare questa sua peculiarità. Il sempre vostra Michelangelo Buonarroti e i suoi racconti>>. Secondo lo studioso Emile Màle l’opera maestra del Buonarroti, la Sistina, dipenderebbe, nel momento della sua concezione artistica, da un testo di argomento sacro diffusissimo in epoca medievale, ossia il “De Civitate Dei” di Sant’Agostino, ma anche dall’opera del Barbieri (foto sotto).
d) L’ABBIGLIAMENTO
Oltre alla sofisticata ricercatezza dell’ampio scollo e agli inserti in pelliccia di vaio, si può notare che la santa in esame veste di colore rosso porpora, un altro elemento questo che ricorda il significato espresso nell’iconografia ortodossa per quanto riguarda la colorazione dei vestiti delle Vergini. Il rosso è simbolo della natura divina , il collegamento diretto con Dio: di rosso è vestito Gesù e Maria, così come rosso è il colore degli abiti dei Santi martiri, quindi tutte figure di alto rango. Poiché l’abito è legato anche alla vita terrena, il colore rosso sta a significare che la Sibilla santificata era divina già nella sua vita terrena in nome della leggendaria tradizione sulla profetessa che la vedeva “longaeva virgo”. Inoltre, nel Quattrocento si sviluppa una tipologia comune di veste e sopravveste femminile, ossia gonnella e mantello. Il tessuto spesso prezioso dell’ampia gonnella medievale viene decorato con ornamenti. La tunica rossa allude al mistero dell’incarnazione, la voce di Dio incarnata nella Sibilla per proferire respondi (acrostici). Rosso e marrone si assimilano alla stessa sfera simbolica: colore del sangue e simbolo della vita, colore della terra e simbolo delle energie terrestri (foto sotto).
e) IL VOLTO
Il sorriso malizioso della figura femminile in esame ci porta a riflettere sulla peculiarità della sibilla, ossia del suo tratto enigmatico. L’immagine di Sibilla è eternata in numerose opere sparse in tutto il mondo, e “con la bocca della follia dà suono a parole che non hanno sorriso né abbellimento né profumo, e giunge con la sua voce al di là di mille anni, per il nume che è in lei” (Plutarchus, “De Pythiae Oraculis”: 6, 397 a-b). Il taglio degli occhi è di tipo orientale e la bocca è chiusa in quanto la Sibilla Cumana (propriamente detta) non dava oracoli verbalmente, ma per iscritto anche su foglie che poi volavano via sparse dal vento. Inoltre, dalle fattezze del volto si può desumere la giovane età della fanciulla dalla bellezza ammaliante, bellezza che aveva incantato il dio Apollo, il quale invaghitosi della profetessa iniziò a corteggiarla, ma questa prima di cedere alle sue “avances” chiese che venisse esaudito un desiderio e, prendendo un pugno di sabbia, chiese di poter vivere tanti anni quanti i granelli. In realtà dimenticò di chiedere anche l’eterna giovinezza. (fig.12a) Ecco perché spesso nelle opere affrescate da grandi artisti viene rappresentata pure vecchia e decrepita. (fig.12b)
4) I PERSONAGGI AFFIANCATI:
Figure correlate alla Sibilla Cumana sono i Santi vescovi coevi, presenti al suo fianco nel registro inferiore della stessa parete meridionale. Tali vescovi potrebbero essere anche collegati fra loro. Uso il condizionale in quanto uno dei due è completamente abraso pur notandosi il pallio tipico della carica vescovile. Tale vescovo semi-cancellato si trova a sinistra della porticina (quella in direzione del castello nocigliese), mentre a destra della stessa è raffigurato il Santo vescovo meglio conservato e visibile, ma non identificato dal Professor Ortese. (fig.13)
Si tratta di un vescovo perché ha il pallio ed il caratteristico copricapo vescovile. Inoltre, mentre con la mano destra benedice nella maniera romana, nella mano sinistra ha il pastorale. Ordunque chi è questo Santo? Inequivocabilmente si tratta di Sant’Ambrogio perché vicino al braccio sinistro vi è un elemento , scambiato per un modellino di grotta dal prof. Ortese, ma che invece è un alveare con tanto di apertura per il passaggio delle api, le quali sono anch’esse dipinte sopra al cono dell’alveare stesso. Anche se si trattasse di una grotta, l’immagine resterebbe sempre connessa con la figura della sibilla (il famoso antro della Sibilla), ma in questo caso ritengo (proprio per la presenza delle api e della sovrapposizione compositiva) che sia un alveare, attributo tipico dell’iconografia di Sant’Ambrogio. (fig.14)
Lo stile dolce e misurato nel parlare e nello scrivere di questo vescovo venne definito “dolce come il miele” e così venne considerato il protettore degli apicultori. Sant’Ambrogio, ad esempio, paragonò la Chiesa all’alveare e i membri di una comunità alle api, le quali sono in grado di cogliere il meglio da ogni fiore, lavorando con zelo e fedeltà. Ricordiamo inoltre la leggenda di Ambrogio neonato, il quale fu risparmiato dalla puntura delle api che entravano e uscivano dalla sua bocca iniettandogli il miele. (fig.15a, b, c).
L’altro vescovo, quello più abraso, verosimilmente potrebbe essere Sant’Agostino in quanto figura di grande eloquenza , successore di Ambrogio, il quale fu suo precettore. Inoltre una leggenda dell’VIII° sec. d.c. sosteneva che il famoso inno cristiano in prosa “Te Deum laudamus” fosse stato composto a due mani da Sant’Ambrogio e da Sant’Agostino il giorno di battesimo (veniva dato da adulti) di quest’ultimo, avvenuto a Milano nel 386 d.c. (per questo è stato chiamato “inno ambrosiano”). (fig.16 a, b)
Anche Sant’Agostino del resto fa più volte riferimento all’oracolo cumano (si tratta della stessa sibilla microasiatica trasferita dai coloni ionici da Eritre a Cuma) della IV° Bucolica e ne “La Città di Dio” è fatto esplicito richiamo all’avvento di Cristo a cui i versi virgiliani sembrano preludere. <<Infatti Virgilio nel quarto verso dell’Egloga dichiara che non è una sua affermazione personale quando dice: “E’ giunta già l’ultima età dell’oracolo di Cuma” (Bucolica 4, 4). Da ciò appare indubbiamente che il fatto (della venuta del Salvatore) fu preannunciato dalla Sibilla di Cuma>> (La Città di Dio 10, 26). Oltre all’avvento e all’incarnazione le sibille preannunciavano anche diversi episodi della vita di Cristo. Lattanzio riferisce quelli relativi alle guarigioni che avvenivano <<non con le mani o con qualche medicina ma con la forza del verbo; la sibilla infatti, “operando tutto con la parola, curava ogni morbo”>> (Le divine istituzioni 4,15; pl 6, 492 = <<OrSib>> 8, 272). E’ ancora Sant’Agostino a citare altri annunci di fatti miracolosi come la moltiplicazione dei pani e dei pesci (ib; pl 6, 493 = <<OrSib>> 8, 275-278), la tempesta sedata (ib; pl 6, 494 = <<OrSib>> 8, 273-274), la rianimazione dei morti e la mitigazione di molti dolori (ib; <<OrSib>> 6, 14-15). Ricordando ancora l’inno “Te Deum” prima citato bisogna fare una legittima considerazione; in esso compare la frase latina: Tibi omnes àngeli, tibi caeli et univérsae potestàtes: tibi chérubim et séraphim incessàbili voce proclamant: Sanctus, Sabctus, Sanctus Dòminus Deus Sàbaoth. Pleni sunt caeli et terra maiestàtis glòriae tuae.
Te gloriòsus Apostolòrum chorus, te prophetàrum laudàbilis nùmerus, te màrtyrum candidàtus laudat exércitus. Te per orbem terràrum sancta confitétur Ecclésia. Interpretando un po il linguaggio poetico, la si può tradurre, senza allontanarsi troppo dal testo, in questo modo: “come in cielo tutti gli angeli, le potestà, i cherubini, i serafini, la gloriosa schiera degli Apostoli, il grande distaccamento dei profeti e l’esercito dei martiri acclamano tre volte Santo, così in tutta la Terra anche la Chiesa ti riconosce tale”. E’ interessante che i tre termini usati per descrivere l’assemblea degli apostoli, dei martiri e dei profeti (tra cui la Sibilla) abbiano tutti anche un significato bellico: chorus significa schiera, nùmerus anche distaccamento militare, infine exércitus è evidente. Del resto, anche Deus Sàbaoth significa “Dio degli eserciti”. Da qui la rappresentazione della sibilla col pugnale, ma anche il titulo SABA(OTH) in cui la prima “A” sembra accentata e nella parte inferiore dell’epigrafe (meno visibile a capoverso) sembra intravedersi una possibile “TH”. (fig.17)
L’ebraica voce Sàbaoth “nell’arabica favella” diventa SABA (non più eserciti, ma esercito). Sàbaoth è uno dei tanti attributi di Dio (assimilabile o spesso associato ad Adonai). Per questo la parola Sàbaoth dovrebbe essere ripresa nella sua forma originale anche come amen, osanna, alleluia, Kyrie eleison e maranathà: sono parole difficilmente traducibili e per secoli sono state lasciate nel loro linguaggio originale nel quale hanno una pregnanza di significato ineguagliabile da qualsiasi traduzione. Queste difficoltà di traduzione ci insegnano ad avere grande rispetto per la parola liturgica. Gli inni ambrosiani e i canti liturgici di Sant’Agostino sono un gridoproclamazione, addirittura un fragore di ali secondo Ezechiele, dei vigorosi e virili canti innalzati da schiere militari (la milizia di Dio). Il significato militare di Sàbaoth, mentre ci fa cantare con gli angeli, ci riporta anche alla dura realtà: la vita cristiana è una battaglia (soprattutto nei primi secoli della cristianità con le persecuzioni) e la liturgia, fonte e culmine della vita cristiana, non è e non può essere da meno. Il linguaggio bellico appartiene alla nostra fede sin dalla Sacra Scrittura. Per completare l’asserzione riguardante i personaggi affiancati alla figura della sibilla manca da descrivere il loro collegamento con essa. Soprattutto per quel che riguarda Sant’Ambrogio (il più vicino spazialmente), la correlazione sta nella tematica della Verginità. Infatti la sibilla era una Vergine ed il vescovo milanese fu un moralista esaltatore della castità. Ad esempio il suo “De virginibus” (le vergini), dedicato alla sorella Marcellina che si era fatta suora, è un’occasione per esaltare il valore positivo della verginità e della castità, quest’ultimo atteggiamento viene raccomandato anche a chi vive lo stato di vedovanza (“De viduis”, i vedovi). Nel trattare questi argomenti Ambrogio evita i toni eccessivamente duri ed è ben lontano da posizioni ascetiche. Secondo Ambrogio, come il limes doveva proteggere la chiesa dal resto del mondo, la verginità doveva essere la barriera insuperabile che difende l’essere da ogni commistione. Ambrogio conclude i passi sulla verginità facendo riferimento quasi ogni volta alle porte della chiesa. Nei suoi Commentari sopra la prima lettera ai Corinzi scrive delle sibille, ma anche nel suo “Hexameron” vengono trattati argomenti vaticinati da Sibilla. Questa opera si configura come un commento al libro della Genesi, riprendendo l’Hexameron del greco Basilio di Cesarea. Il testo ambrosiano mostra anche il commosso entusiasmo cristiano per le meraviglie dell’universo create da Dio. Un altro fattore in comune con la sibilla è anche l’utilizzo di allegorie e “carmen”. Ambrogio può essere considerato quale effettivo fondatore dell’innologia occidentale. Gli inni sono concepiti da Ambrogio come strumento di catechesi. Attraverso i “carmina”, coralmente cantati nell’assemblea dei fedeli, tutti potevano capire. Quindi Ambrogio si rivela un grande comunicatore, capace di trasmettere messaggi, convincere, stimolare la partecipazione, di coinvolgere le masse, in tutto molto affine a quello che era capace di fare la sibilla (ma nel modo più misterioso). Accennando nuovamente all’alveare quale attributo del Santo in questione, bisogna ricordare che l’eloquenza di certi predicatori fu spesso assimilata alla dolcezza del miele, come nel caso di San Giovanni Crisostomo detto “bocca d’oro” (anch’egli presente nella chiesetta di Nociglia sulla parete occidentale). Il dolce miele servì anche per dare un’idea concreta dell’infinita clemenza di Cristo; allo stesso modo il pungiglione sembrò adatto a simboleggiare il castigo divino nel momento del giudizio finale (vedi il pugnale della Cumana). Bizzarra è poi la ragione per cui l’ape diventa simbolo della Vergine: si tratta di un’immagine derivante dalla credenza popolare secondo cui non sarebbe direttamente l’ape regina a generare la prole, ma le api bottinatrici la trarrebbero dai fiori che visitano. In ultima analisi, fra i personaggi rappresentati nel registro inferiore della parete meridionale su cui è affrescata la sibilla ritroviamo anche un Sant’Antonio (ciquecentesco, quindi postumo alla realizzazione della profetessa) e non sorprenderà che lo stesso Santo entusiasticamente rammenti nei suoi scritti il mito sibillino, forte della citazione, riportata nel secondo sermone dedicato alla Natività di Gesù, da papa Innocenzo III°, pontefice che governò la Chiesa nel periodo di vita del Taumaturgo (1198-1216) (foto sotto).
Anche papa Benedetto XVI°, nel suo studio a “L’infanzia di Gesù” (2012) cita la IV° Egloga di Virgilio definendola “un testo che come un presagio del mistero del parto verginale, ha fatto riflettere la cristianità fin dai primi tempi” (p.66). Dopo una breve trattazione, conclude: “Si può far dire che la figura della Vergine e quella del bambino divino fanno, in qualche modo, parte delle immagini primordiali della speranza umana, che emergono in momenti di crisi e di attesa, senza che vi siano in prospettiva figure concrete” (p.67).
Desidero chiudere questa relazione trattando un’altra mia idea (supportata da fatti) riguardante la dedica della chiesetta alla Madonna dell’Idri. Ecco quanto dice il professor Ortese nel suo libro: <<l’intitolazione della chiesa alla Madonna dell’Itri, attuale padrona di Nociglia, sia dando credito agli studiosi più avveduti e sia per una vasta tradizione territoriale, appare riconducibile al culto bizantino della Madonna “Odigitria”. Infatti, soprattutto in puglia (basti pensare la Valle d’Itria e la chiesa leccese di Santa Maria dell’Idria) il termine greco Odegitria (colei che mostra la via) ha subito nel corso dei secoli un’indubbia metamorfosi linguistico-semantica per semplificazione di pronuncia, mutando in “Idria – Itria – Itri” e, a volte, generando anche uno stravolgimento di senso. In particolare, nel caso di Nociglia dovette registrarsi una parallela rettifica del culto verso una “Madonna dell’acqua”, più congeniale alla comunità alla regolarità delle pioggie. Resta immutata nei secoli la cointitolazione a San Nicola di Mira, antico patrono di Nociglia>> (fig.19). Secondo me, proprio per le tante metamorfosi subite nei secoli, la denominazione “Madonna dell’Idria” ha cambiato la figura di riferimento. Oggi ci si riferisce ad una “possibile” Odegitria o Madonna di Costantinopoli, in passato, almeno parlando di periodo medievale nocigliese, ci si poteva riferire ad altro. A chi? Proprio alla Sibilla Cumana che faceva da padrona di casa. Infatti, guarda caso, l’immagine della profetessa si trova, come da tradizione iconografica, presso l’entrata della chiesa, pronta ad accogliere il devoto. Perché dico ciò? Perché, innanzi tutto, la chiesetta in questione è situata su una via di transito dei pellegrini i quali erano alla ricerca di una guida (spirituale) per il proprio cammino salvifico. E chi, se non la Sibilla, portava fama di guida e sostegno? Infatti, l’autore che forse ha maggiormente contribuito alla fortuna della Sibilla in tale ambito è Virgilio, il quale dedica il VI° libro dell’Eneide (che richiama il libro XI° dell’Odissea) alla discesa agli inferi di Enea, guidato e consigliato dalla profetessa di Cuma. (fig.20)
Quindi la Sibilla, scambiata alcune volte per Madonna (che significa “la signora o la padrona”), è la Vergine del cammino. Forse anche del cammino nell’aldilà delle anime dei defunti che erano conservati nella cripta centrale sottostante all’edificio. (fig.21)
Le inumazioni medievali in varie chiese, hanno restituito un corredo tradizionale, costituito da manufatti che si collegano al concetto del viaggio inteso nel senso più consueto del termine come, ad esempio, le brocchette (sia in ceramica che in vetro) che dovevano contenere l’acqua necessaria al defunto. E ciò, malgrado un eccesso di “cristianizzazione” abbia indotto a interpretare la brocca come oggetto simbolico dell’iniziazione cristiana in quanto potenzialmente usata per versare l’acqua sul capo durante il rito del battesimo. Ma, al di là di questi casi, i manifatti rinvenuti nelle sepoltura situate in vari edifici religiosi, lasciano intravvedere una permanente presenza di superstizione, che in ambito bizantino accompagna la ritualità funeraria dall’alto fino al bassomedioevo. In ambiente bizantino, l’uso degli amuleti (ad esempio la moneta depositata in bocca per proteggere il morto dalle forze del male) iniziò a diminuire soltanto intorno al XV° sec., pur senza scomparire del tutto. Inoltre bisogna descrivere un fatto importante che riguarda sempre la cumana: questa avendo ricevuto il dono e la maledizione di una straordinaria longevità, continuava ad invecchiare e a diventare sempre più fragile (come la rappresentò Michelangelo nella Sistina), piccola e disperata, mentre la sua vita ed il suo corpo si disfacevano ad un ritmo terribilmente lento. Petronius e Servius descrivono come la Sibilla piangesse il suo fato e desiderasse morire, con “il corpo rinsecchito sospeso in una ampolla”; c’era chi credeva che il suo desiderio fosse stato esaudito, perché Pausania riferisce che le sue guide a Cuma mostravano ai visitatori un’urna in cui, così dicevano, erano conservati i resti mortali della profetessa. Tale urna in pietra conservata nel tempio di Apollo era una hydria o idra, ossia un grande recipiente (in genere in terracotta o metallo) usato dagli antichi Greci per tenervi l’acqua. Questa aveva due anse laterali orizzontali, e una terza più grande e verticale, dietro, che serviva per versare; era spesso ornata con figure dipinte o in rilievo. (fig.22)
La presenza di una hydria nel tempio di Apollo era pure giustificata dal fatto che a Cuma in epoca antecedente a Febo (epiteto di Apollo) esisteva un santuario dedicato alla dea Hera, ricordata per il leggendario bagno nuziale che ogni anno le restituiva la verginità. Il rinvenimento di brocchette in terracotta in miniatura, le cosiddette “Hydriskai”, recuperate in molti siti di epoca greca in tutto l’Occidente ci rivela un culto incentrato sull’offerta di acqua, dono dei devoti alla divinità. Una hydriaska è infatti la riproduzione in miniatura di una hydria. Grandi quantità di vasetti per l’acqua sono state ritrovate anche in santuari dedicati alla dea Atena. Tutto questo indica che l’idria era un oggetto assai conosciuto e utilizzato. Nel nostro caso quindi potrebbe trattarsi inizialmente di una “Vergine dell’idria” (e la Sibilla Cumana lo è stata), poi trasformata (anche per la sua bellezza e santità) in “Madonna dell’Idria – dell’Idri – dell’Itri (rafforzativo dato dalla pronuncia dialettale). (fig.23)
Col passare del tempo però è avvenuta una commistione tra la figura della “Santa dell’Itria” con la Santa Odigitria riferibile alla venerazione della Madonna che guida e conduce verso un cammino, confusione verosimilmente accaduta durante tutto il peregrinare fra XV°, XVI° e XVII° secolo. Ricordiamo che la Madonna Odigitria viene venerata in molti paesi del Sud dell’Italia, in particolare in Sicilia e Calabria e secondo l’iconografia cristiana diffusa in particolare nell’arte bizantina, la Madonna ha in braccio il Bambino Gesù seduto in atto benedicente e con in mano una pergamena arrotolata che la Vergine indica con la mano destra (da qui l’origine dell’epiteto). Ma la particolarità iconografica più specifica sta nel fatto che la Madonna col bimbo è recata a spalla da due monaci di rito
bizantino (basiliani), cosa che non compare fra gli affreschi della chiesetta nocigliese. (fig.24) Quindi ciò ci porta a supporre una mescolanza di pareri secolari che hanno apportato una certa confusione interpretativa, facendo cadere nel mistero la “verità primaria”.
Per concludere, a titolo di curiosità, vorrei fare una digressione all’argomento puramente tecnicoiconografico proponendo all’opinione pubblica una mia azzardata ipotesi, a dir poco sconvolgente, riguardante una possibile committenza dell’affresco della sibilla. Dichiarando che la figura della “Santa” apparterrebbe all’età tardo-quattrocentesca, va ricordato che in quel periodo Nociglia era fra i possedimenti della famiglia nobile dei Ferro e precisamente di Nicola Antonio Ferro e suo figlio Anghilberto. I Ferro a Lecce loro patria, godettero sempre di particolare stima e ricoprirono incarichi di una certa importanza. Ad esempio Anghilberto Ferro nel 1492 fece parte dei baroni per i quali la città di Lecce chiese che “sieno dal Re Ferdinando aggraziati della metà de’ Regi pagamenti di quell’anno per le guerre passate”. Ma Anghilberto non partecipò solo a guerre e battaglie, fu anche uomo di mondo, ricercato pure per la bella moglie Sibilla, con la quale andò a rendere omaggio ad Isabella del Balzo, moglie di Federico d’Aragona, che nell’autunno del 1496 fu a Lecce. Da qui, poi, Anghilberto, insieme con altri feudatari, la scortò sino a Campi Salentino. Nel 1501 Anghilberto in cambio di alcuni possedimenti nelle vicinanze di Lecce, dalla cui vita cittadina veniva attratto, cedeva alla sua zia paterna e a suo cugino Andriolo Lubelli quella quota del feudo di Nociglia che sarà nota, prima come “Le Masserie di Nociglia” e successivamente come “Nociglia del barone di Sanarica”. Da questo si evince che Anghilberto e Sibilla erano attratti dalla bella vita, dai salotti della cultura e quindi dall’arte. Verosimilmente entrambi avrebbero potuto (come spesso si usava fare) commissionare ad un bravo e sapiente pittore dell’epoca (probabilmente proveniente dal cantiere tardogotico di Santa Caterina d’Alessandria di Galatina) la realizzazione dell’immagine della bella profetessa di Cuma in virtù del ricordo del nome e dell’importanza che la Sibilla ricopriva fra il XV° e XVI° secolo ed in virtù anche dell’aggraziato aspetto della moglie del Ferro. Quest’ultimo fatto è testimoniato nel IV° libro de “Lo Balzino” scritto dal neretino Rogeri de Pacienza (Pacientia) nel 1498. Si tratta di un poema epico in ottava rima, composto di 8 libri, per un totale di 1022 ottave di endecasillabi, ognuna con i primi sei versi a rima alternata (A-B-A-B-A-B) e gli ultimi due versi a rima baciata (C-C). Il poema è molto simile per stile e struttura al genere del cantare, in salentino volgare; l’autore narra le vicende della famiglia balzesca, e in particolare di Isabella del Balzo, moglie del re di Napoli Federico d’Aragona, dalle origini del casato, discendente secondo la leggenda da Baldassare (uno dei re Magi), passando per il rifugio della regina nel Salento durante la “guerra francese”, per giungere a narrare nel finale del trionfale ingresso di costei a Napoli il 15 ottobre 1497. L’opera, composta dopo questa data, rielabora appunti di viaggio dello stesso Rogeri, appunti presi dall’autore al seguito della corte errante per il Regno di Napoli; l’opera, tramandata come “Codice” con segnatura ms Pg BC F27 (conservato nella Biblioteca Comunale Augusta di Perugia), è dedicata alla sorella di Isabella, Antonia del Balzo (cfr. Marti 1977, 11-12). Fra le tante annotazioni del poeta di Nardò riguardanti l’abbigliamento e l’aspetto fisico dei vari nobili locali è da precisare che il viso ammaliante della santa Vergine dell’idria assomiglia alla descrizione che Rogeri fa di Sibilla, la bellissima feudataria nocigliese (fig.25). Sarà un caso? Ai posteri l’ardua sentenza!
FONTI BIBLIOGRAFICHE E WEB
• NOCIGLIA. Chiesa di Santa Maria de Itri, a cura di Sergio Ortese – Lupo Editore (2011);
• Il Foglio dell’arte – Articolo del 19/07/2014, a cura di Annarita Mazzei;
• L’iconografia delle sibille da Ghiberti a Michelangelo, a cura di Vittoria Caputo (Dipartimento di
Studi Umanistici – Bari 1/12/2016);
• Gli esordi critici di Emile Màle: la tesi in latino sulle sibille, di Giulia Giustiniani (école française
de Rome – 2013);
• Il Codice del cosmo, di Zechalia Bitchin – fonte WEB: https://books.google.it
• La profezia di Sibilla e sibille nell’antichità classica, di Herbert William Parke;
• Veggenti. Sibille e saggi nel giudaismo ellenistico-romano, di John Joseph Collins;
• Storia della letteratura giudaico-ellenistica, di Clara Kraus Reggiani;
• L’iconografia medievale della Sibilla Tiburtina, di Arianna Pascucci, edito nella collana
“Contributi alla conoscenza del patrimonio tiburtino”, Volume VIII° – Liceo Classico Statale
<<Amedeo di Savoia>> (Tivoli 2011);
• La Sibilla, di Alberto Pincherle e Nicola Turchi – Enciclopedia Italiana (1936);
• I colori della Natività, a cura di Sara Piccolo Paci (17/12/2008);
• L’ape nell’iconografia dei Santi, di Renzo Barbattini e Stefano Fugazza (Apitalia maggio 2007);
• Deus Sabaoth. L’aspetto bellico della liturgia, a cura della “Fraternità San Filippo Neri”- fonte
WEB: www.opusmariae.it (8/02/2016);
• Opere del Conte Giulio Perticari, Vol. 2. Fonte WEB: https://books.google.it;
• Ambrogio, Santo – Enciclopedia Treccani online;
• Ambrogio e la Milano del suo tempo: aspetti archeologici e artistici, di Marco Sannazzaro (da
Zetesis – 1998 n. 2);
• La nascita di Gesù e la profezia delle sibille, di Alfredo Pescante;
• La sibilla nella tradizione oracolare – Tesi di dottorato (capit. 3), di Bibiana Borzi;
• Feste religiose calabresi: Odigitria e culti magnogreci – dal sito WEB di mysticacalabria.it;
• La versione greca della IV° Egloga di Virgilio e il commento di Costantino – Tesi della Dott.ssa
Melania Giardino (dottorato di ricerca in Filologia classica, cristiana e medievale-umanistica,
greca e latina A.A. 2011-2012), Università degli Studi di Napoli “Federico II°”;
• Le sibille di Cristo, nell’antica letteratura cristiana – L’Osservatore Romano online (3/08/2017);
• Una <<sibilla>> nei Papiri Magici? Per una riletturadi PGM VI a cura di Mariangela Monaca
(Università di Messina (2011);
• NOCIGLIA. Storia Tradizioni Documenti, di Fernando De Dominicis (pag. 66-67) – Editore
Capone 2001;
• Profezia di Virgilio, da Cathopedia – Enciclopedia Cattolica online (9/05/2015);
• La Calabria Bizantina e la morte: aspetti topografici e culturali a cura di Giorgio Di Gangi e
Chiara Maria Lebole (da pag. 141 a 163);
• Lo Balzino. Il viaggio attraverso la Puglia di Isabella del Balzo a cura di Mario Marti (edizione
anastatica e introduzione di Eleonora Carriero). Edizioni digitali del C.I.S.V.A – Pensa
MultiMedia (anno 2010);
• Quattrocento napoletano a cura di Arturo Bascetta – ABEdizioni (anno 2012)
• Fonte fotografica: galleria immagini WEB di www.google.it e dall’archivio personale dell’autore.
RINGRAZIAMENTI
• Un sentito grazie va al prof. Vincenzo Abati di San Cassiano, il quale sin da subito si è interessato all’argomento storico-artistico trattato nel saggio, interesse dovuto sia al suo legame affettivo con il paese di Nociglia, sia per il suo ruolo di critico d’arte ed esperto di Storia Patria. Scrivendo una prefazione all’opera, il professore ha espresso magistralmente la funzione che ha questo studio, ossia arrivare a dare, tramite una minuziosa ricerca, un nuovo significato all’arte iconografica utilizzata anche nei piccoli borghi salentini;
• Un ringraziamento va ai miei famigliari che sempre mi sostengono in ogni mia iniziativa e a tutti coloro, esperti locali e non, che hanno creduto nel mio contributo culturale, utile all’arrichimento e all’integrazione delle fonti storiche già presenti.
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