La scultura in legno non è forse rinomata come quella nella pietra o nel marmo, è più “povera”, ma in alcuni casi è stata portata a grande espressione d’arte, spesso da autori sconosciuti, o umili fraticelli: è il caso di frate Angelo da Pietrafitta, che ha portato in diverse città pugliesi e lucane i suoi intensissimi Crocifissi, opere tali da valicare le vette dell’arte e trasmettere la più difficile delle immedesimazioni.
Della vita di Angelo da Pietrafitta si sa poco. Forse nacque a Pietrafitta, vicino a Cosenza, sui monti della Sila (Calabria), dove pure morì, nel 1699. Fu frate minore riformato, allievo di Umile da Petralia di cui subì l’influsso stilistico: insieme peregrinavano di convento in convento offrendo la propria opera.
La sua presenza è documentata in Lazio, Puglia e Lucania. Durante la sua evoluzione artistica si differenziò da frate Umile perché molto più misurato nella resa scenica del modellato scultoreo.
Nelle sue opere infondeva lo spirito della devozione e della pietà, facendo così percepire come Gesù indicasse all’uomo la via della Salvezza.
Nel 1693 Angelo giunge in Puglia su richiesta del confratello Gregorio Cascione del convento di Lequile. Anche qui ritroviamo una sua opera.
Padre Bonaventura Quarta da Lama scrive: “Un Crocifisso che muove tutti a pietà. Fu tutto ciò invenzione del padre Gregorio Cascione da Lequile, nell’anno del suo provincialato, fatto venire lo scultore della nostra religione, da Calabria, chiamato frate Angelo da Pietrafitta laico, al cui esempio, ogni convento della provincia volle il suo”.
Lo scultore riprendeva, com’era diffusa pratica del tempo, modelli spagnoli. Le differenti tradizioni artistiche: la spagnola e la napoletana, venivano a fondersi. Il Christus Patiens come concepito nel ‘600 meridionale ha un gusto narrativo spiccato, reso evidente dalla posizione delle palpebre e dalla postura delle membra.
Le dimensioni sono quasi a misura reale. I dettagli assurgono al naturalismo: si notino il rigonfiamento delle vene, il capo sanguinante, la spina sul ciglio sinistro, gli occhi socchiusi, la tensione delle labbra, i tendini tirati, le piaghe delle ginocchia, del costato, dello sterno, della spalla sinistra. Le braccia non sono parallele al legno, come l’iconografia classica seicentesca impone. Il Cristo appare impregnato di un realismo drammatico, dato dal movimento del corpo. Angelo è capace di rappresentare in modo tattile la figura e il corpo del Cristo morente.
Le ferite erano evidenziate con l’uso di vari materiali come stucco, cera candela, ceralacca, corde; gli occhi erano generalmente di vetro. I segni del martirio e la policromia accentuata del corpo erano rappresentati così realisticamente da spingere al potente sentimento della pietà.
Angelo da Pietrafitta, proveniente dai boschi della Sila, diventò scultore per amore di Cristo e sublimò nelle sue opere il momento in cui Cristo stesso compiva il suo sacrificio per la redenzione del genere umano. Chi al momento del trapasso, in solitudine, si apprestava a essere accolto nelle braccia di Dio Padre, indicava all’uomo la via della salvezza.
Le opere di frate Angelo, come egli stesso asseriva, non destano orrore ma pietà e devozione rendendo un Cristo che abbraccia e perdona. Esse si connettono allo spirito del poverello di Assisi, “humile repetitor” che ne seguì l’esempio a indicare quasi i riferimenti essenziali per ritrovare i contenuti più autentici del cristianesimo.
Angelo da Pietrafitta attraverso la sua produzione artistica indica la via per ridare una dignità verticale all’uomo quasi parafrasando Giovanni: “Venite e Vedrete”. Sembra quasi abbia voluto indicare la strada per arrivare a Dio attraverso l’arte: il soggetto che si fa oggetto nella sua casa definendo contenuto e contenitore nel senso di testimonianza di fede e memoria condivisa.
Oltre a questa serie qui raffigurata, ritroviamo i Crocifissi di frate Angelo anche a Ostuni, Taranto, e fuori il Salento, a Bari, Altamura, Santeramo in Colle, Turi, Gioia del Colle, Valenzano e Matera.
Qui sopra, vediamo il suo Crocifisso anche nel maestoso altare della chiesa di San Francesco, a Manduria. Un piccolo viaggio, in cui mi ha accompagnato l’amico Alberto Signore, che col suo solito modo diretto e ruspante invita, da cinquant’anni, la gente, a riscoprire la storia e l’arte di questo piccolo grande scorcio di mondo che è il Salento!
(fonte: Carmela Gentile, “Note su Angelo da Pietrafitta e la sua produzione scultorea”, un interessantissimo saggio disponibile sul web).
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