Di graffiti nascosti sono certo che sono ancora colme le contrade del Salento, un territorio talmente ricco di storia che per forza di cose chissà cosa cela ancora ai nostri occhi. Questi scoperti però dal Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico nel 1994 restano però ancora sconosciuti alla stragrande maggioranza dei salentini, anche per la loro l’attuale inaccessibilità.
Il Gruppo Speleologico cercava le tracce dell’antica condotta delle acque reflue di Lecce, quando, nel terreno accanto alla Torre di Belloluogo rinvennero l’accesso ad uno sconosciuto vano ipogeo. E’ con grande riconoscenza verso il Gruppo, e a Francesco De Natale che me l’ha fornita, che posso qui condividere la cronaca di questa avventura, testimonianza evidente dei tesori che si celano sotto i nostri piedi.
Seguendo tracce archivistiche, sulle tracce della cloaca medievale, i nostri si imbattono in un consistente banco di roccia affiorante celato da un cumulo di sterpaglie, rovi e canne, e un taglio nella roccia basso e orizzontale che a mala pena permetteva il passaggio di un uomo disteso.
Una volta entrati, tale apertura li ha condotti all’interno di un vero e proprio ambiente ipogeo scavato artificialmente. Nonostante il buio e le difficoltà di movimento, notarono altre feritoie, probabili finestrature, anch’esse intagliate nella roccia, e quasi completamente intasate dal terriccio. E’ a pianta trapezoidale, nel lato maggiore lungo 10,30 m.
L’ambiente presenta 4 aperture, due sul lato minore (larghe 1,20 m) e due sul lato maggiore (larghezza 3,75 m), alte appena 20 centimetri, mentre l’altezza interna è di circa 70-80 cm, ma queste ultime sono misure fittizie in quanto determinate dall’ingente deposito di terra e sassi che ha colmato l’ipogeo.
Sopra una delle pareti, spiccarono in un secondo momento agli occhi degli scopritori, i numerosi graffiti rimasti nella memoria del misterioso ipogeo (di cui ad oggi si possono fare solo congetture sul suo utilizzo): la luce troppo forte li rende invisibili, per cui, indirizzando il faro dalla giusta inclinazione, con somma pazienza, è stato possibile “ricostruire” l’immagine consegnata ai posteri dall’ignoto artista…
…un’immagine, per certi versi sorprendente! La parete interessata, come tutte le altre, presenta i segni dei picconi e gli attrezzi con cui è stata ricavata dal banco roccioso, ma questa in particolare presenta una superficie più liscia, come se fosse stata preparata, prima di essere incisa. La rappresentazione si compone di 14 disegni, pare essere fatta da mano almeno un minimo esperta e dal tocco preciso, riconducibile al periodo medievale. Il tema riportato è un insieme di forme simboliche riguardanti una precisa intenzione da parte dell’esecutore, anche se ha fatto largo uso di personaggi fantastici, tipici di un bestiario medievale. L’artista ha inteso realizzare in chiave satirica qualche avvenimento a noi purtroppo non sufficientemente chiaro.
Nella parte alta è presente un’iscrizione a caratteri greci ed in corsivo, simile ad altre presenti nel complesso di Belloluogo. Andrebbe tradotta dagli esperti.
Balza all’occhio il grosso animale legato ad un albero che parrebbe di melograno (sopra la foto, ma nella riproduzione più in alto si evidenzia molto meglio): l’ipotesi più plausibile è che si tratti di un cane, ma non è da escludere che il tentativo dell’autore fosse stato invece quello di rappresentare un orso, secondo la tradizione per la quale la famiglia Orsini del Balzo li possedesse nelle sue proprietà. L’albero di melograno starebbe a dimostrare la ricchezza dei giardini di Belloluogo.
Curioso che sopra allo stemma araldico (che sembra raffigurare l’arma degli Orsini del Balzo, in maniera però volutamente incompleta, quasi uno sfregio) si intraveda un fallo: parrebbe quindi che l’intera rappresentazione voglia dichiaratamente alludere al dissenso dell’autore nei confronti degli Orsini del Balzo!
Al centro compaiono tre figure riconducibili per le loro inconfondibili sagome ad elementi avicoli, ossia la nostra tipica avifauna palustre: si tratta di trampolieri. Sono rivolti a destra, verso una terza ed insolita figura: un uccello dalla testa umana, quasi una caricatura, o un giullare. Chi sia il personaggio raffigurato in quel modo, non è dato sapere. La scena fa supporre che i due trampolieri vogliano prendere a colpi di becco l’intruso, al quale, per la sua goffaggine è impedita la fuga rivelando un’espressione di mesta rassegnazione. Tra le altre figure animali anche due serpenti (o due anguille).
Sulla destra la composizione è stata rovinata dalla presenza delle acque stagnanti, sembra mostrare tre teste belluine che ringhiano con la lingua di fuori. Potrebbe essere il cane cerbero?
La parete mostra altri graffiti, che però sono stati irrimediabilmente deteriorati. Questo ambiente meriterebbe di essere ripulito e svuotato da ogni detrito, potrebbe persino offrire altre scoperte agli occhi di archeologi che ne vogliano affrontare lo studio. Io ringrazio infinitamente Francesco De Natale e Marcello Lentini per avermi permesso di visionare la loro relazione, e di condividerne qui il sunto, tutto il Gruppo Speleologico Leccese ‘Ndronico e il loro encomiabile lavoro, di cui voglio qui riportare tutti i nomi: Antonio Adamo, Francesco De Natale e Riccardo Rella (ricerca storica), Francesco De Natale e Armando Nuzzone (rilievi e disegni), Bruno Perrone (foto). Che ringraziano: Luigi Antonio Montefusco, Patrizia Erroi, Liliana Giardino, Michele Romano, Archivio Comunale di Lecce, Associazione Culturale “I Messapi”.
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