CANOSA, in età tardoantica, era una delle principali città di Puglia, in quanto vertice della provincia “Apulia et Calabria”, sede del governatorato e di un vescovo.
La storia dei suoi monumenti paleocristiani è legata a Sabino, un vescovo nato nella seconda metà del V secolo (461?), diventato santo, e residente a Canosa, dove mise in atto un ampio disegno urbanistico, tra il 514 ed il 566 anno della sua morte.
SABINO, amico di Benedetto da Norcia, e fedele osservante della disciplina benedettina “Ora et labora”, fu inviato come legato Pontificio a Costantinopoli per due volte e fu un portentoso costruttore di chiese ed edifici nella Puglia settentrionale. La sua epoca fu caratterizzata da una profonda crisi politico-istituzionale e dalla guerra greco-gotica (535-553), ma nella sua lunga vita egli seppe conservare salute e fama (famosa la leggenda del suo miracoloso scampato avvelenamento) così da conferire prestigio alla sua diocesi, estendendone i possedimenti fino alla Sicilia.
Ma la figura di Sabino è emblematica per quel che riguarda un aspetto peculiare del ruolo episcopale in età tardoantica e altomedievale, quello del “vescovo manager”, promotore di un vero e proprio “artigianato ecclesiastico”, che diverrà evidente nelle grandi “fabbriche” di S.Pietro a Roma, di Firenze, Milano, ecc. , làddove troviamo la diocesi proprietaria di numerose fabbriche artigianali di mattoni, laterizi, ceramiche, lucerne, vetri per uso quotidiano e liturgico, marchiati con il simbolo specifico (nella foto il monogramma di S.Sabino su un mattone) . Con essi la chiesa canosina, e San Sabino, rifornivano i numerosi cantieri attivi nella città e nella regione tra i secoli V e VI.
Costruito su un preesistente tempio romano circolare, il battistero è a pianta dodecagonale con quattro camere sugli assi principali, che costituiscono i bracci di una croce greca, e quattro corridoi ad essa alternati, che si affacciano tutti sul vano centrale rispettivamente con una e due porte. Nella parte antistante al battistero c’era un esonartece (o pronao) a forcipe ( con absidi ), ornato da pavimentazioni musive policrome, che confinava con un ampio atrio-cortile centrale rivestito da tasselli lapidei e in cotto che in seguito diventerà la chiesa di San Salvatore. L’atrio disponeva di due ali porticate ai lati.
Ingresso all’esonartece dal grande atrio esterno.
Esonartece.
Un’abside dell’esonartece a forcipe.
Lungo le pareti del poligono, su una doppia fondazione circolare concentrica, si conservano i blocchi di fondazione in calcare squadrato sul quale dovevano poggiare le colonne di sostegno della copertura.
Su alcuni di questi blocchi poggiavano anche le colonnine adiacenti alle colonne più grandi facenti parte dei protiri sulle porte archivoltate di accesso alle cappelle ed agli ambienti interclusi, ora sostituiti dai massicci pilastri ottocenteschi. I buchi nel pavimento sono i saggi eseguiti dagli archeologi.
Verso la fine dell’Ottocento la struttura subì profonde modifiche per essere adattata ad impianto molitorio.
L’utilizzo a fini industriali di antichi strutture era pratica assai comune in quegli anni, per cui lo spazio interno fu profondamente modificato con la realizzazione di quattro massicci pilastri centrali e di 8 pilastri perimetrali, posti all’imbocco delle 4 camere, coperti da volte a vela, il tutto ben diverso dall’antica copertura originale.
Al centro dell’edificio si trovano i resti di una vasca battesimale eptagonale, formata da tre gradini in laterizio con frammenti dell’antico rivestimento marmoreo. Sul fondo della vasca si è rinvenuto il sistema per lo scolo delle acque collegato ad una conduttura che attraversa il vano centrale in direzione nord-est. Questa piscina si inserirebbe nel tipo di vasca battesimale munita solo di un sistema di deflusso e non di adduzione, caratteristica comune alla maggior parte di questi edifici battesimali, con alimentazione affidata al personale di servizio.
Dai saggi compiuti dagli archeologi dell’università di Foggia coordinati dal prof. G.Volpe è emersa una sepoltura con 2 scheletri di persone eccezionalmente alte.
Interessante è constatare il diverso livello dei piani di appoggio dei crani che in origine si trovavano allo stesso livello, mentre ora uno di essi è più alto del proprio scheletro, fatto dovuto al cedimento del pavimento della fossa.
Nell’esonartece (nartece esterno) si conservano tracce dei mosaici pavimentali, dove si notano le piccole tessere dei vani che erano coperti dalle volte e le grandi tessere delle superfici esterne non coperte.
I rappezzi dei mosaici con tessere giallognole testimonino un approssimativo restauro effettuato probabilmente in epoca longobarda.
Un altro splendido esempio dell’architettura paleocristiana canosina realizzata da San Sabino è la BASILICA DI SANTA MARIA al PIANO, che era ubicata, come quasi sempre accadeva per i complessi episcopali in età paleocristiana, in un’area periferica all’interno del circuito murario cittadino. A lato vi verrà di li a poco costruito il battistero di S. Giovanni. La chiesa aveva un’ampiezza di 20 metri per 40, era a tre navate, e fu realizzata tra il IV ed il V secolo (ricostruzione digitale dell’Università di Foggia).
Essa dovette avere una vita lunga, infatti, nell’alto medioevo (VIII – IX secolo d. C), e anche durante la dominazione longobarda, furono realizzate tombe all’interno delle navate, ognuna delle quali presenta numerose inumazioni sovrapposte.
Questo utilizzo funerario, che appare di dimensioni contenute, si configura come un processo alquanto secondario nella dinamica insediativa della fabbrica sabiniana.
Nel corso del medioevo (XI– XIII s. d. c.) il monumento, cessata la sua funzione liturgica, venne adattato ad abitazioni.
Una scala consentiva di superare il dislivello di circa un metro esistente tra il piano della chiesa e quello del monumentale battistero di S. Giovanni.
Il sito conserva numerosi lacerti delle pavimentazioni musive ( attualmente ricoperti ), il più significativo dei quali raffigura due cervi che si abbeverano ad un kantharos ( coppa per le libagioni ), realizzati con tessere di color arancio, rosso scuro e blu, in calcare, ciottoli e pasta vitrea.
L’iconografia di questi due animali non è mai stata attestata prima in Puglia ed è rarissima in altri complessi paleocristiani dell’Italia Meridionale.
L’Università di Foggia ha realizzato una pregevole ricostruzione digitale dell’interno e dei bellissimi pavimenti musivi della basilica di S. Maria.
In questi mosaici si riscontrano formule ampiamente note ed attestate tra i secoli IV e VI in area adriatica, e si potrebbe anche ipotizzare uno scambio con l’area dalmata e balcanica di maestranze che si occupavano della realizzazione dei mosaici stessi.
L’edificio presentava tre navate scandite da pilastri quadrati, l’abside ad est era impostata sulla preesistente struttura semicircolare.
All’interno di questa nuova chiesa è stata rinvenuta una fossa cruciforme per reliquie, che in origine doveva essere sormontata da un altare con quattro colonnine di supporto. Datata a partire dal secolo VI -VII, per lo stretto rapporto che lega l’altare alle reliquie poste in una struttura sottostante, e sulla base della contemporanea diffusione delle vasche battesimali cruciformi, questa tipologia avrà la sua massima diffusione a partire dall’Altomedioevo con i riti di deposizione delle reliquie e di santificazione della chiesa e dell’altare. Tradizioni che confermano una diretta analogia con l’area dell’Adriatico orientale e Costantinopoli.
© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e del dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a questa pagina). Tutto ciò che compare sul sito, soprattutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene di voler cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it
Leave a reply