Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Il Castello e il Museo di Copertino

Il Castello e il Museo di Copertino

Gloria dell’architettura di Terra d’Otranto, il castello di Copertino vide la sua nascita nel XIII secolo, attorno alla svettante torre quadrangolare che da esso è inglobata.

Divenne poi di proprietà di Ladislao d’Angiò di Durazzo, e nel 1419, sua moglie Maria d’Enghien lo diede in dote a sua figlia Caterina Orsini, che andava sposa a Tristano Chiaromonte. La nipote di Caterina, Isabella, portò a sua volta il castello in dote al marito Federico d’Aragona che donò la città di Copertino, e il suo castello, alla famiglia albanese Castriota Scanderbeg. L’aspetto attuale della fortezza è un’opera cinquecentesca dell’architetto militare Evangelista Menga, che lo dotò di tutti gli accorgimenti dei tempi nuovi. Il committente dell’opera, conclusa nel 1540, fu Alfonso Castriota, il cui nome campeggia sulla cortina orientale del castello. Un simile spiegamento di altisonanti nomi storici della zona rispecchia l’importanza che il maniero rivestì nei secoli. Il castello fu oggetto di descrizioni in ogni epoca, lo ritroviamo nelle litografie ottocentesche. Si tratta, per estensione, di uno dei più grandi castelli pugliesi. Vi si accede tramite un ponte in pietra, inesistente nel periodo in cui il castello aveva ancora funzione difensiva. Il portale d’accesso, di gusto catalano-durazzesco, è decorato con figure mostruose e vegetali, con motivi collegati alla guerra e pezzi di armi ed armature. Il fossato è praticamente intatto. Lungo la facciata corre un’iscrizione, su cui si legge bene il sigillo della famiglia Castriota. La svettante torre normanna si può paragonare alle “gemelle” che si trovano a Lecce e a Leverano. All’interno della piazza d’armi c’è un pozzo. Il castello è gestito dal Ministero della Cultura, Direzione Regionale Musei Puglia. Fra le scoperte più importanti, durante i lavori di restauro, questa splendida cappella gentilizia, in origine completamente decorata con affreschi quattrocenteschi. Era dedicata a Santa Maria Maddalena, e nonostante alcuni affreschi siano andati perduti o rovinati nel tempo, si intuisce comunque quanto dovessero essere di fattura assai pregevole. All’interno del castello è oggi nato un Museo, che fra le altre cose ospita alcuni lacerti di affreschi che provengono da questa cappella. Qui vediamo due stemmi relativi ad altrettante unioni matrimoniali, quello di Tristano Chiaromonte e Caterina Orsini Del Balzo (1416), e poi quello di Francesco del Balzo e Sancia Chiaromonte (1426). Figurano anche altri stemmi, fra cui quello della contessa Maria d’Enghien, mentre qui un frammento di quello che probabilmente era lo stemma della stessa Maria dopo il suo matrimonio col re di Napoli Ladislao di Durazzo, nel 1407. Sempre dalla cappella provengo questi particolari di donne in preghiera, l’ascensione della Maddalena e l’Ultima Cena. Restiamo nel Museo, e scopriamo il patrimonio archeologico qui custodito. Si tratta una una vasta esposizione di produzioni della cultura Daunia e Peuceta, ossia le popolazioni indigene che vivevano nelle attuali province di Foggia e Bari a partire dal VII secolo a.C. A questa data, e fino al III secolo a.C. risalgono tutti i reperti, fra cui si segnala anche una trozzella della cultura messapica. Destano meraviglia i ricami geometrici, via via sempre più accurati, che si possono ammirare in questa carrellata. Ricorre il simbolo della svastica, tristemente noto in epoca nazista, quando invece nelle culture antiche, e non solo europee, rappresentava la luce del sole. Dal IV secolo a.C. i vasi rifulgono di rappresentazioni umane, di storie e di Miti di cui era zeppa la vita e l’immaginario del Mediterraneo di quegli anni, immortalati vis-à-vis, e tramandati per l’eternità. Stupendo questo vaso per bere, a testa di ariete. Come pure l’occhieggiare della classica civetta, una raffigurazione che non mancava mai. O le maschere teatrali, nelle ceramiche in stile di Gnatia. Il maialino, tanto caro alla cultura messapica. Percorrendo le gallerie del castello si scoprono altre interessantissime tracce storico-artistiche. San Nicola di Myra svetta qui affrescato, e dal lato opposto di questo corridoio, si incontra invece l’Arcangelo Michele che trafigge il demonio. Nel corridoio posto fra gli affreschi, lungo tutta la parete si susseguono interessanti graffiti di imbarcazioni, le galee sottili che solcavano i nostri mari in quel periodo, alcune sono perfettamente riconoscibili, altre bisogna osservale bene. Ma si incontrano anche uomini armati a cavallo. Le navi sembrano essere state graffite da gente di mestiere marinaresco, perchè dotate di tutti i dettagli delle imbarcazioni, che un semplice viandante non poteva conoscere. Fra i luoghi più suggestivi del castello c’è un’altra cappella, dedicata a San Marco, interamente affrescata dal pittore manierista Gianserio Strafella su incarico della famiglia genovese degli Squarciafico, che avevano acquistato il castello nel ‘500. Imponenti, due monumenti tombali che risalgono a quel periodo. La volta della cappella è un tripudio di scene e colori, qui vediamo Santa Caterina d’Alessandria, raffigurata con la ruota del suo martirio. Qui invece San Sebastiano, che in questa zona, fra Nardò e Galatone, vanta una venerazione particolare. Le gallerie del castello ospitano anche una grande collezione di carrozze, accumulate fra l’Ottocento ed il Novecento dalla famiglia Telesio, che ci fanno fare un viaggio, è il caso di dirlo, nella storia più recente ma dal fascino lontano. Ma entrare in questo castello è così, in ogni senso.

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

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