Il mio personale censimento dei frantoi salentini è giunto con questa visita al numero 134 (vedi) e stavolta la discesa nel suo sottosuolo mi ha portato davanti al nome di Dio inciso sulle sue pareti, dal “capitano” di questa nave sotterranea, come era immaginata dai frantoiani-marinai che vi lavoravano. Un pensiero che non ho mai riscontrato altrove, ma che certo doveva essere ricorrente fra le persone che qui svolgevano un lavoro durissimo per 6 mesi l’anno.
Il frantoio si trova in agro di Lizzanello, a poche decine di metri dalla strada che attualmente collega la cittadina a Lecce…
…lo vedete al centro dell’immagine sopra, tratta da Google Maps: pare non fosse noto, e non risulta possedimento di alcuna masseria… si trovava da solo, all’epoca della sua attività, in mezzo ad un grande oliveto.
La sua caratteristica è che, sopra l’ingresso (preceduto da un ambiente voltato a botte) c’è una torretta, a cui si accede dalla scaletta che vedete qui sopra.
Scendendo le scale per accedere, a metà di esse, sulla sinistra, si trova un ambiente con dei sedili di pietra posizionati davanti a questo grande camino: era certamente la “cucina” del frantoio.
La sala centrale è molto grande, voltata a botte, si tratta quindi di un frantoio nato dopo il ‘600, visto che quelli interamente scavati nella roccia erano i più antichi.
Tutto attorno alla sala centrale è un seguirsi di ambienti di vario genere e svariata destinazione.
Mi ha colpito questa iscrizione, molto grande, situata in alto, sulla parete nel cuore del frantoio: “Iddio mi vede”, seguita dalla data 1823, abbellita da due disegni che richiamano due occhi. Il pensiero del divino non abbandonava il nachiro, il capitano di questo posto, e certamente anche la sua “ciurma”, pure se era abituata all’infernale lavoro che qui svolgeva per mesi al buio. A Dio rivolgevano preghiere per resistere. Nella nostra tradizione non mancano rimandi a questo lavoro massacrante: in vari luoghi del Salento ho riscontrato, anche se qua e là cambia qualche parola, questa sorta di filastrocca che in dialetto locale rende meglio di qualsiasi cosa, per descrivere la vita del trappitaro a chi non sapeva di che si trattasse…
“Se vuoi conoscere le pene dell’inferno, devi fare tre mesi e mezzo di trappeto. In mezzo alla nave c’è un uomo steso, che misura sette palmi e mezzo, che per non addormentarsi deve essere ogni mezz’ora toccato. La prima notte persi il sonno, la seconda il sonno e l’appetito. La terza notte mi finsi malato: padrone, lavora tu al trappeto”.
Sempre nella sala centrale vi sono anche altre iscrizioni: qui sopra leggiamo “abbondanza”, posta sopra l’ingresso ad una “sciava”, la sala dove si raccoglievano le olive che dall’esterno calavano all’interno del frantoio tramite una condotta.
Il trappeto è stato purtroppo depredato, nel corso del tempo, ma conserva ancora molte strutture, che grazie a Dio (è il caso di nominarlo!) sono troppo pesanti per essere prese e trasportate…
…come questa enorme cisterna per olio, ricavata come sempre con perizia da un unico blocco di pietra, probabilmente lavorato in loco!
Nel frantoio vi sono tre mangiatoie per gli animali che aiutavano gli uomini a tirare la macina.
Qui sopra vediamo l’unica iscrizione che purtroppo non si legge più.
Qui sopra, l’ultima iscrizione, recitava la parola “speranza”.
A scorrere questi ambienti sempre ammiro la grande perizia architettonica di quelle persone! Tutto è stato pensato per una funzione, un lavoro, uno o più uomini.
Questa data che si legge appena mi pare la più antica e forse data il frantoio stesso: 1778. Ma non posso avere certezza assoluta.
Questa è la veduta che si ha dalla torretta che dicevo all’inizio…
…ancora oggi si affaccia nel mondo circostante degli olivi, oggi dimenticato dagli uomini, ma certamente non da Dio.
(che ringrazia il caro amico Vico Malorgio e la sua Famiglia per questa visita!)
© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e del dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a questa pagina). Tutto ciò che compare sul sito, soprattutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene di voler cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it
Leave a reply