Il Museo Archeologico di Carpignano Salentino, in Grecìa Salentina, all’interno del Palazzo Duca Ghezzi, è un prezioso scrigno che custodisce una fetta importante della memoria storica del Salento. Esso raccoglie i risultati delle attività archeologiche del territorio: il suo racconto ci parla di una storia di oltre 6000 anni, che ha inizio con le ceramiche neolitiche
dell’insediamento preistorico e si conclude con una bottiglia di gazzosa e la biglia di vetro degli anni ’60, ritrovate in un frantoio ipogeo.
Il Museo ci accoglie con la bellissima e fedele ricostruzione della famosa tomba a grotticella, del periodo neolitico…
La datazione delle ossa in essa ritrovate, calcolata dall’Università del Salento con il moderno metodo al radiocarbonio, pone la sepoltura a cinquemila anni prima di Cristo! Questo ha permesso, per comparazione, alla professoressa Elettra Ingravallo di retrodatare anche la tomba di Arnesano (sopra ne vediamo la sezione, tratta da Lo Porto, 1972), di cui ci pervenne il celebre Idoletto, ma non le ossa della sepoltura perchè furono all’epoca gettate via.
La tomba di Carpignano è una escavazione di forma ellettica, il cui accesso era sigillato da un lastrone di pietra locale. Fra i vari individui in essa sepolti è stato rilevato un uomo della statura di circa 1,60 m…
…ed insieme a essi, un’ascia, un’accetta in pietra dura, quattro lame di ossidiana, due punteruoli, tre frammenti di ansa, un piccolo amo in osso, un terminale di spillone, tre vaghi di collana e un pendente in corallo rosso.
Sulla base della quantità di alcuni elementi riscontrati nell’analisi delle ossa è stato possibili risalire alla dieta della comunità che in questo territorio viveva circa 7000 anni fa, e che era essenzialmente basata sui cereali. In questo senso, stupenda è la ricostruzione (sopra) che il Museo propone al visitatore, mostrando il primo insediamento di Carpignano.
Sempre in via Pasca, durante i lavori della fognatura urbana, venne scoperta una seconda sepoltura a grotticella. In piazza Giudeca, alcuni buchi da palo che sorreggevano le capanne neolitiche, e poi, una scheggia di selce (foto sopra, 1), alcuni frammenti di ceramica a impasto (2), lame di ossidiana (3) e una punta di freccia in selce (4): veramente un tuffo nella preistoria salentina! (Per approfondire vi rimando ad un altro articolo, sulla Tomba neolitica di Carpignano).
Il Museo, come si diceva spazia poi dal periodo Romano, al Medioevo, fin quasi ai giorni nostri…
Nel territorio fra Carpignano e i laghi Alimini potrebbe esserci stata una villa Romana, come testimoniano sopra alcuni frammenti di ceramica sigillata e una moneta di Costantino II.
Lo stesso contenitore di questo Museo è uno scrigno storico! Fu costruito in età Angioina, nella sua forma originaria (sopra vediamo le vasche che contenevano l’olio dei vari frantoi esistenti in città)…
…e sulla sua facciata, lateralmente, c’è ancora lo stemma degli Orsini Del Balzo, di cui Giovanni Antonio (il figlio della regina di Napoli Maria d’Enghien) fu il più importante esponente.
Appena fuori dall’attuale abitato, vi era il villaggio di Magordino, in cui recenti ricognizioni hanno restituito una moneta di Romano I e alcuni frammenti, sempre d’età bizantina (sopra).
Nella sua “Lecce sacra” del 1634, l’Infantino riferisce che nel 1192 re Tancredi nominò Baroni una serie di capitani leccesi che si erano distinti per valore militare, e fra questi c’era Anastasio Marescallo, a cui sarebbe stata affidata la baronia di Carpignano e Cursi. L’unico dato certo di questo periodo è una moneta (un denaro di Enrico VI e Costanza d’Altavilla, i genitori del grande Federico II) battuta nella zecca di Brindisi tra il 1194 e il 1196 (sopra), rivenuta proprio nel centro storico di Carpignano.
E qui arriviamo ad un periodo a me personalmente molto caro, l’epoca in cui il Salento illuminava l’Europa con l’olio lampante che qui si produceva, e che vide il sorgere di centinaia e centinaia di frantoi ipogei (qui il mio personale censimento che continuo a fare) che diedero lavoro a quasi ogni famiglia del territorio, fino a tempi relativamente recenti…
…dal frantoio di Santa Maria delle Grazie giungono questi reperti, fra cui spiccano le lampade, e le pipe, che quegli irriducibili frantoiani che lavoravano per sei mesi l’anno sottoterra, fumavano nei brevi momenti di pausa.
Interessante questa statua di San Diego, il santo popolare in Spagna e canonizzato nel 1588, e di cui fu introdotta la venerazione anche qui in Salento, verosimilmente dagli spagnoli che dominavano nel sud Italia.
Altri scorci del lavoro contadino, a sinistra (sopra) l’imboccatura di un silos sotterraneo, che custodiva derrate alimentari, e un mortaio con cui si lavoravano le granaglie.
Per avere un’idea del villaggio in età angioina si deve ricorrere ai dati provenienti dagli scavi condotti dal Laboratorio di Archeologia Medievale dell’Università del Salento nei vicini siti di Quattro Macine (Giuggianello) e Apigliano (Martano). Questi villaggi, organizzati già dall’VIII secolo furono costituiti da unità abitative molto semplici, disposte in ordine sparso, di cui a Carpignano non è stata ancora trovata traccia. Però, proprio durante il restauro degli ambienti di questo Museo, è stato individuato l’angolo di quella che doveva essere una casa, con annesso silos granario (sopra). Puntuale appare il confronto con Apigliano, laddove sono state rinvenute “tracce di edifici poco consistenti e delle piccole fosse circolari poco profonde utilizzate per la conservazione delle derrate” (prof. Paul Arthur).
Sopra, i materiali di età angioina rinvenuti…
…la ricostruzione di una sepoltura, sempre di età angioina…
…e i relativi reperti rinvenuti nelle tombe di questo periodo.
Come non restare affascinati da un viaggio così? Io ringrazio l’amica Stefania Bolognese, e Roberto De Rinaldis, che mi hanno accompagnato in questa visita (le notizie le ho tratte dai pannelli illustrativi del Museo), ma sopratutto per il loro impegno nella promozione e salvaguardia dei beni storico-artistici di Carpignano (come la meravigliosa Cripta di Santa Cristina), e ovviamente gli enti che hanno realizzato uno scrigno come questo Museo: un’opera NECESSARIA per la conservazione e la divulgazione ai nostri figli della storia dei nostri antenati.
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