Ai santi Niccolò e Cataldo è dedicata una delle chiese più antiche di Lecce, uno scrigno medievale nella città barocca per eccellenza, un’autentico tripudio d’arte, che resta in gran parte nascosto alla moltitudine dei turisti che accorrono in questo territorio. Il monumento, che assieme all’ex convento forma un grande complesso architettonico, si divide oggi fra le sue funzioni religiose e l’attività dell’Università del Salento.
Fu fondata nel 1180, da Tancredi d’Altavilla, romantica figura di cavaliere normanno, che fu anche Re di Sicilia. Si tratta proprio di un voto che egli fece quando, mentre attraversava il canale d’Otranto, fu colto da una tale tempesta che sentendosi approssimare la morte si rivolse al cielo chiedendo la salvezza. Il miracolo avvenne, perché poi riuscì a sbarcare a San Cataldo…
Sorse così, alle porte di Lecce, nell’attuale zona del cimitero, questo grandioso e fulgido capolavoro architettonico…
Tancredi donò tutto il complesso ai monaci Benedettini, ma nel 1494, Alfonso II di Napoli vi trasferì i padri Olivetani, che in sostanza restarono fino alla soppressione degli ordini religiosi voluta da Napoleone.
L’esterno è decorato con ogni sorta di ghirigoro barocco, perché il complesso fu nei secoli risistemato e ampliato in più riprese.
La facciata della chiesa è un grandioso matrimonio fra romanico pugliese e stile barocco…
…della facciata originaria resta soltanto il magnifico portale ed il rosone. Nel 1716 fu risistemata dal grande artista leccese Giuseppe Cino.
L’epigrafe sopra l’ingresso ricorda la devozione di Tancredi…
Dopo aver ammirato l’ingresso, notiamo che anche l’interno è un trionfo di decorazioni…
Proprio appena entrati, notiamo le basi delle prime due colonne che si parano davanti…
…e non possiamo fare a meno di notare la sirena a due code, che ritroviamo anche qui…
…è posta proprio sotto l’acquasantiera cinquecentesca (che è opera del Riccardi)…
…mentre sulla colonna a sinistra si nota un’altra creatura marina, mostruosa, che tenta di divorare una fanciulla… ovviamente non ci esprimiamo, su questa simbologia, troppo ci sarebbe da dire!
Tutta la chiesa era completamente affrescata, in ogni suo centimetro, dalle pareti alle volte, e la gran parte di queste opere sono giunte fino a noi, tranne quelle che erano sopra le colonne, in quanto durante il 1600 furono imbiancate.
La chiesa si divide in tre navate, ai muri delle quale si addossano degli altari, alcuni dei quali sono attribuiti al grande Mauro Manieri.
Altari, tele ed affreschi si susseguono nelle navate, lasciando il visitatore letteralmente incantato…
Sopra vediamo Nicola di Myra, uno dei due santi cui è intitolata la chiesa.
Al XVII secolo risale il monumento sepolcrale di Ascanio Grandi, pregevole poeta epico leccese.
Sollevare lo sguardo nei pressi dell’abside e ammirare l’intreccio delle volte e degli affreschi fa girare la testa!
Di grande valore artistico la statua di San Nicola benedicente, un’opera attribuita a Gabriele Riccardi.
E qui sopra vediamo l’affresco dell’altro santo cui è dedicata la chiesa, Cataldo.
La chiesa nasconde una serie di graffiti e disegni in carboncino che sfuggono ad uno sguardo approssimativo: si trovano su alcune colonne. Sopra vediamo il fiore a sei petali, noto da diverse culture nel mondo, attraverso i secoli, e chiamato “fiore della vita”…
…e poi diversi animali, volatili, che pare curioso ritrovare qui.
Una delle volte pare raffigurare la grande tempesta che affrontò Tancredi…
Gli splendidi capitelli a foglia…
E poi, la visita procede nella sontuosa sagrestia…
…col soffitto interamente affrescato…
Si compone di diversi ambienti… e fra tele e affreschi, c’è da mozzarsi il fiato!
Ai lati della chiesa ci sono due bellissimi chiostri. Quello cinquecentesco lo inaugurò Gabriele Riccardi, poi adornato durante il 1600 con un baldacchino sovrastante il pozzo, tenuto in piedi da quattro colonne tortili. Verso il lato del cimitero c’è il chiostro ottocentesco.
Qui sopra notiamo la bellissima meridiana. Che non è l’unica del complesso, fatto veramente curioso, se ne contano tre: una è molto piccola…
…questa qui sopra…
…e la terza la vediamo in quel che ne rimane…
…della cui struttura si legge giusto qualche numero strizzando l’occhio.
Ce la riporta anche l’Infantino, in una sua incisione seicentesca del complesso.
Il cupolino, e gli archetti pensili, che corrono lungo i lati della chiesa…
Il chiostro, visto dal vivo, non può non colpire gli occhi ed il cuore: si respira l’aria meditativa dei padri…
Un’ampia scalinata ci accompagna al piano superiore, dove un tempo c’erano le cellette dei religiosi, ed oggi fervono le attività dell’Università. Un particolare curioso: l’artista che decorò questo scorcio di scala, con il suo angioletto, ne fece uno schizzo in carboncino, che si trova sul muro opposto (foto sotto)…
…è rimasto fino ai nostri giorni!
Particolari, dall’interno di altre sale…
Il complesso ospita altre sorprese, come una gigantesca cava… alla quale si accede dal chiostro cinquecentesco…
…porta ad un ambiente di difficile ricostruzione. Alcuni studiosi propendono per un grande serbatoio di acqua piovana, convogliata qui ingegnosamente. Ma anche per locali dove conservare le riserve di cibo, oppure un ninfeo.
Osservando il centro di questo ambiente colossale, si nota la struttura circolare dove certamente si faceva decantare l’acqua per purificarla.
Pare che questo ambiente sia stato utilizzato anche come rifugio, durante l’ultima Guerra Mondiale. Sotto, alcuni angoli del grande vano, in cui si vedono sedili di pietra.
Questo complesso, valorizzato dall’Università del Salento, rivive oggi, dopo quasi un millennio, col suo affascinante carico di Storia che trabocca generosamente da ogni pietra!
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