Luogo iconico dell’arte e della vita in rupe dell’Italia meridionale, la chiesa rupestre di Santa Margherita accompagna il visitatore in un affascinante viaggio indietro nel tempo.
Il tempio è interamente scavato nella roccia e presenta un’architettura tipicamente gotica, lontana dagli schemi tipici bizantini, che pure sono assai facili da ritrovare nel materano e nell’adiacente territorio pugliese. Qui, nei pressi di Melfi, siamo in una Basilicata che offre già altre soluzioni stilistiche, sia nella pittura che nell’architettura. L’ingresso è ad arco acuto, alto 2,60 e largo 4 metri. L’interno si presenta ad aula unica, lunga 12 metri, voltata a crociera e divisa a metà della navata da un arco ribassato.
In fondo all’aula si trova la cappella maggiore con l’altare dedicato a Santa Margherita d’Antiochia. Sui lati si aprono altre quattro cappelle voltate a botte e di diversa profondità.
La cappella dell’altare maggiore è incassata nella volta maggiore dell’edificio con una soluzione del tipo ad arcosolio. In basso a sinistra del sottarco esterno si trova la figura di San Vito, che tiene al guinzaglio dei cani (foto sotto).
Seguono le figure di Santa Elisabetta e San Guglielmo da Vercelli, il santo fondatore dell’Ordine dei Verginiani.
In basso a destra si inserisce la figura di San Basilio Magno, il vescovo di Cesarea.
La parete dell’arco è decorata con i simboli degli Evangelisti…
…il bue di San Luca…
…l’angelo di San Matteo…
…l’aquila di San Giovanni…
…e il leone di San Marco…
…mentre al centro si trova un Cristo benedicente.
Al centro della cappella si trova un altare parietale con scalino inginocchiatoio, sopra il quale è dipinta l’immagine di Santa Margherita con otto storie della sua vita…
è affiancata da San Paolo e San Pietro.
Sopra Santa Margherita, si staglia un maestoso Cristo in trono, racchiuso in una mandorla sollevata da due angeli. Qui, Cristo benedice alla maniera latina (in un’altra raffigurazione di questa chiesa è presente anche la benedizione alla greca) e con una mano tiene il Vangelo aperto sulle parole “Io sono la luce del mondo”. Le proporzioni dilatate rivelano le ricerche dell’artista verso una resa volumetrica della figura.
Le due cappelle laterali adiacenti all’altare maggiore non sono mai state affrescate, e sono corredate da sedili in pietra…
… quella a destra presenta un arco che dà accesso a un vano secondario, probabilmente la sagrestia, o il luogo del riposo per il monaco di stanza nell’edificio.
Un arco ribassato dal profilo acuto si innesta a metà della navata. Sulla parete sinistra del sottarco sono rappresentate Santa Lucia e Santa Caterina, riprese a figura frontale, con una posa ieratica: indossano vesti preziose e nei volti presentano dei tratti tipicamente bizantini.
Sulla parete opposta è rappresentato il Martirio di San Lorenzo: si nota l’imperatore Valeriano, che ordina l’esecuzione del supplizio a un vecchio soldato munito di spada. Il santo è disteso sopra un fuoco ardente, assestato da un carnefice con un arnese uncinato. In alto, un angelo lo benedice con un aspersorio e sul cielo stellato, in ricordo della santa notte del martirio, compare una Dextera Dei benedicente da un drappeggio di festoni concentrici, allusivo al Regno dei cieli. L’artista aderisce ancora al linguaggio bizantino ma mostra una capacità narrativa che si compiace di deformazioni grottesche…
…come si nota anche nella deformazione dei volti realizzati nella scena accanto.
Siamo sulla parete destra della chiesa, in prossimità dell’entrata dell’edificio, si apre un vano voltato a botte e privo di altare. Sulla parete sinistra del sottarco si staglia una figura di santo nel gesto dell’orante, probabilmente un santo martire a cui è legata la scena di battaglia raffigurata nel piccolo riquadro alla sua sinistra…
Nella lunetta centrale si inserisce la scena del martirio di Santo Stefano. Il santo, al centro, rappresentato come un diacono imberbe, subisce i colpi dei sassi lanciati dai suoi carnefici.
Sulla parete destra è rappresentata la scena del Martirio di Sant’Andrea. Distinguendosi dalle rappresentazioni canoniche, il santo è legato a una croce a stampella e rispetta un’iconografia simile a quella di una miniatura germanica del XIII secolo. Le scene di martirii del ciclo e la rappresentazione dell’Incontro sono state attribuite allo stesso artefice.
La prima cappella che si apre, entrando, sulla sinistra, è quella dell’Arcangelo Michele. Vi si trovano raffigurati San Bartolomeo, l’Arcangelo e la Vergine, che sorregge il Bambino che con una mano benedicente alla latina, mentre nell’altra reca il cartiglio aperto.
Accanto si trova la figura di San Giovanni Evangelista. La figura stringe sul petto un Vangelo dalla copertina gemmata e con una mano indica la vicina Madonna in trono, instaurando un senso dinamico alla composizione.
Sulla parete di fondo si inserisce Santa Margherita, la santa titolare della chiesa, nella posa dell’intercessione verso l’Arcangelo Michele al centro, sopra l’altare.
Segue San Giovanni Battista, vestito di pelliccia, che intercede verso il Cristo in trono sulla parete destra.
Cristo, assiso su un trono bizantino, benedice solennemente alla latina mentre con un mano tiene il Vangelo.
Accanto a queste si inserisce un’opera dal tema macabro, tipicamente medievale (anche se non ne sono giunte tantissime fino a noi): rappresenta il tema dell’incontro dei tre vivi coi tre morti. Come narra la leggenda, tre nobili cavalieri, di ritorno da una battuta di caccia si imbattono in tre scheletri che ammoniscono sulla caducità della vita con la frase “noi eravamo quel che voi siete, voi sarete quel che noi siamo”. L’affresco rappresenta tre nobili e due scheletri (il terzo era forse presente nella parte di intonaco caduta). La leggenda viene tramandata da un poemetto della seconda metà del XIII secolo di Baudouin de Condé, menestrello alla corte di Margherita II contessa di Fiandra (1244-1280). L’opera di Melfi si distingue dalle rappresentazioni italiane dell’Incontro, dove spesso compare la figura dell’eremita o dove i cadaveri giacciono a terra nelle bare aperte. La scena è schematica e immediata e segue l’impostazione propria delle miniature che adornavano i codici dei poemetti sull’Incontro, diffusi a partire dal XIII secolo. Tali miniature sono le prime raffigurazioni relative al tema e costituivano un modello iconografico anche per le rappresentazioni murali. La corte angioina era un motore di miti laici e cavallereschi e la sua presenza a Melfi può spiegare l’influenza diretta di un modello miniatorio.
Alcuni studiosi hanno intravisto in questa scena un ritratto dell’imperatore Federico II (che a Melfi era particolarmente di casa), riconoscibile dalla barba rossiccia che richiama il suo predecessore Barbarossa…
…e il falco, a lui tanto caro.
Con lui sarebbero la moglie, Isabella d’Inghilterra, che le fonti raccontano bionda e con gli occhi azzurri come in questa scena, e il figlio, che tiene con sè la borsa tipica dei cacciatori, sulla quale è raffigurato un fiore a otto petali, che ci fa venire facilmente in mente l’emblematico Castel del Monte.
Al di la delle suggestioni, una visita in questo luogo lascia letteralmente incantato il viandante. Lo stile delle pitture indica l’intervento di diverse maestranze, avvicendatesi nella prima metà del XIV secolo e portatrici di diverse esperienze artistiche, oscillanti tra la tradizione bizantina e le novità giottesche che giungevano da Napoli…
…quindi ne consiglio caldamente la visita! La chiesa è gestita dalla Proloco (le informazioni mi sono giunte dalle guide turistiche abilitate che mi hanno accompagnato) ed è facilmente visitabile nonché geolocalizzata. Buon viaggio!
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