Il microclima temperato che caratterizza le gravine Pugliesi, sorta di canyons scavati nella calcarenite, ha favorito, soprattutto nel periodo medioevale, lo sviluppo dell’habitat in grotta e la nascita di una vera e propria cultura rupestre dedita alla coltura e all’allevamento. Le gravine erano infatti ricche di acqua che favoriva la crescita di erba e di piante, già disponibili, quindi,
per fornire foraggio alle greggi, frutta e verdura come cibo e piante officinali per la farmacopea del tempo. Una volta però le pareti delle gravine, abitate e vissute, erano tenute pulite e le piante venivano tagliate appena spuntavano. Questi siti non si presentavano quindi, all’occhio del pellegrino o dell’ospite di passaggio, così ricche di vegetazione spontanea come le vediamo adesso.
Le piante venivano tagliate, perchè negli Insediamenti Rupestri gli alberi non sono amici, ma sono subdoli nemici, infatti le loro radici si insinuano nella roccia, crescono, si allargano e pian piano la crepano, la indeboliscono e la spaccano, facilitando il fenomeno erosivo da parte dell’acqua che vi si insinua quando piove. Per tutto questo, lo strato calcareo, già vecchio di migliaia d’anni, si sfalda e crolla. E’ ciò che è successo alla Chiesa di SANTO STEFANO a CASTELLANETA, pv di Taranto, una chiesa dove il vandalismo dell’uomo e degli alberi, cresciuti sulla sommità, ha contribuito a farne crollare la facciata, ed ora le radici delle piante che vi crescono sopra, continuando la loro azione disgregatrice, rischiano di farne crollare anche il soffitto.
Un peccato, perchè la chiesa ha già subito gravi danni nel corso del tempo, ed è ormai precaria la condizione degli affreschi che vi rimangono. Infatti al suo interno sono visibili resti di affreschi raffiguranti Santo Stefano, San Michele, e, ormai praticamente distrutti, una Madonna con Bambino e altri santi. All’interno sono presenti anche graffiti incisi sugli affreschi e sulle pareti.
La Chiesa di Santo Stefano fa parte dell’insediamento rupestre, databile intorno all’ XI secolo, più articolato ed esteso del territorio di Castellaneta, quello che si estende lungo il fianco occidentale della Gravina omonima di S. Stefano.
Vi si accede tramite un’ampia scalinata, più volte rilavorata, che inizia sul ciglio della gravina in prossimità della masseria omonima.
Poco oltre la fine della scalinata c’è la chiesa. Tipica dell’architettura rupestre sviluppatasi in Puglia nella seconda dominazione bizantina ( che si era insediata, per simbiosi antropologica, sulla preesistente cultura rupestre locale ), la chiesa è interamente scavata nel fragile banco di tufo calcarenitico e presenta una vasta apertura, alterata notevolmente nel corso del tempo. Solitamente, infatti, queste chiese rupestri presentavano un solo piccolo ingresso, che veniva chiuso con una porta di legno e sormontato da una lunetta semicircolare cieca scavata, a scopo decorativo, nella parete superiore.
Lo schema planimetrico della chiesetta è irregolare, originariamente diviso in aula e presbiterio da una recinzione – iconostasi, a forma di biforio, ora andata completamente distrutta.
Nel corso dei secoli la chiesa è stata ripetutamente vandalizzata e interessata da interventi quali l’abbassamento del piano pavimentale e l’allargamento della base inferiore lungo le pareti.
All’interno la parete a sinistra dell’ingresso presenta due finestrelle, di cui forse la più alta è originale in quanto perfettamente allineata al grande rincasso dell’arcata scavata nella parete sottostante. Questa struttura pare avvalorare l’ipotesi di qualche studioso che attribuisce questa zona all’antico presbiterio, in quanto rivolta ad est secondo l’orientamento liturgico, e allineata longitudinalmente parallelamente alla parete, sistema abbastanza frequente nelle chiese rupestri ( come ad es. nella Chiesa di Lama d’Antico a Fasano ). Questa considerazione porta a congetturare che la chiesetta sia stata realizzata in due momenti, con la costruzione della primaria cappella parallela al versante della montagna, seguita dallo scavo dell’iconostasi e della sala più interna, che hanno fatto mutare l’allineamento della chiesa rendendolo perpendicolare rispetto alla rupe.
La parete a sinistra presenta un grande nicchione circolare ( in origine forse un arcosolio ) e più avanti un arcosolio che porterebbero ad ipotizzare la funzione sepolcrale della chiesa, da cui deriverebbe il toponimo di Cripta con cui molti la chiamano.
Sulla parete sinistra, subito dopo l’intradosso dell’arco divisorio, c’è un affresco di S. Nicola, ormai molto danneggiato, databile verso la fine del XIV secolo.
Sul manto rosso qualche vandalo, poco rispettoso delle immagini sacre, ha inciso due cavalli, uno dei quali montato da cavaliere, interpretabili come ex voto per viaggi terminati felicemente.
Molte nicchie, probabilmente portalucerne, sono ricavate nei muri; mentre qualche vandalo iconoclasta ha scavato una panca proprio sull’affresco di S.Nicola.
La chiesa, pseudo – rettangolare, era ripartita in due zone da due arcate ( biforio ) separate da un pilastro di cui rimane solo l’imposta degli archi. Una particolarità è costituita dal livello del soffitto della sala più interna, che è più basso rispetto a quello d’ingresso. Questo dislivello porterebbe a confermare la costruzione in due fasi della chiesa e allo spostamento del presbiterio.
Sulla parete di fondo, in una niccha a destra, è collocato l’affresco di S. Stefano, databile verso la fine del XIV secolo, con l’ iscrizione esegetica che indica il nome del santo.
Purtroppo la condizione degli affreschi è molto precaria, per cui, per evitare la loro scomparsa come è successo per gli altri affreschi della chiesa, andrebbero strappati e conservati nel Museo cittadino. Questo della conservazione degli affreschi è un tema spinoso in Puglia, in quanto le Sopraintendenze alle Belle Arti e molti Critici sono contrari allo strappo, ma, dopo il degrado avvenuto negli ultimi 30 anni, non c’è più tempo per tergiversare e buona parte di quel che resta degli affreschi delle Chiese Rupestri va strappato, se vogliamo che ne godano anche le prossime generazioni.
Sul muro molti simboli descrivono quanto fosse importante l’uso della simbologia nella devozione popolare.
La caligine sul soffitto dimostra come la chiesa sia stata utilizzata per lungo tempo, probabilmente per usi diversi da quelli sacri originali.
L’insediamento di S.Stefano si sviluppò nel tempo per parecchi secoli, e venne certamente sfruttato da pastori e popolazione povera anche dopo che terminarono le funzioni originarie dei siti, ad es. della chiesa.
L’insieme di grotte ricavate nelle pareti della gravina, la cui origine è datata intorno all’ XI secolo, costituiva un villaggio di notevoli proporzioni ed era costituito da insediamenti disposti su almeno tre livelli sovrapposti, con alcune grotte che furono interessate da un riuso, anche recente, come ricoveri per animali.
Sul soffitto di una grotta, annerita dalla caligine dei fuochi usati per secoli, si vedono i solchi prodotti dai picconi dei cavatori : le lunghe scanalature orizzontali dei blocchi della sgrossatura e i segni della prima finitura.
Alla fine del sito il sentiero scompare tra i massi che impediscono il cammino …
Non rimane che riempirsi lo sguardo con la vista del crinale, che sale sul colle lungo la gravina, e della splendida natura intorno.
Un pensiero però ritorna al pericolo che corrono questi siti densi di storia e di arte che ci auspichiamo vengano sistemati al più presto e resi facilmente agibili, affinchè, se vogliamo che il turista vacanziero o l’ospite straniero li visitino, dobbiamo far si che questi monumenti siano tenuti in sicurezza mediante la ripulitura dagli alberi delle pareti intorno alle grotte e gli affreschi restaurati o tolti.
Questo è un fico, ma potrebbe essere un leccio o un ulivo, o una robinia, o un lentisco … Alberi splendidi che caratterizzano la meravigliosa flora della macchia Mediterranea delle Murge Pugliesi, ma che in certe situazioni diventano armi micidiali in mano al degrado. Guardate l’immagine : l’albero si fa largo, creando una fessura tra le rocce calcarenitiche, e si libra verso il cielo in tutta la sua fiera natura. Una situazione consueta sulle rupi delle gravine, ma pericolosissima per gli Habitat Rupestri che costituiscono un Patrimonio Mondiale dell’Umanità, come è per i Sassi di Matera e i villaggi scavati in Cappadocia, in Turchia.
Un sentito ringraziamento al sig. Vito Lavarra, presidente della Proloco, ottimo ospite e guida nella mia visita agli Insediamenti Rupestri di Castellaneta.
© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e del dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a questa pagina). Tutto ciò che compare sul sito, soprattutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene di voler cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it
Leave a reply