Le campagne intorno a Lecce, nonostante in gran parte abbandonate, mostrano un mondo rurale ancora oggi affascinante, che un tempo nutrì letteralmente la città coi prodotti della sua terra. Questo è l’ennesimo viaggio alla sua riscoperta. Partendo dall’antica chiesa del Crocifisso, sorta sul sito di un casale romano e che custodisce un affresco di S.Oronzo, iniziamo…
…una passeggiata domenicale che come sempre consiglio a tutti gli amanti dell’aria aperta, la natura, i suoi odori e suggestioni, impregnati della storia minima di cui emergono tracce da ogni pietra.
Nel PPTR della Regione, questa masseria viene denominata “Monticello”, e da il nome a tutta la località.
Doveva essere importante ai suoi tempi, c’è una grande chiesa, purtroppo gravemente lesionata dall’abbandono…
E’ molto alta. Mi avvicino cautamente, perchè tutta la struttura, come segnalato dai cartelli, è seriamente a rischio crollo.
L’interno è veramente alto… tutto spoglio, senza più traccia di altari…
…le volte sono veramente maestose… e solo per il prodigio della bravura di quegli antichi muratori la chiesa è ancora in piedi, pur con tutte le spaccature…
Anche il campanile fu fatto con molta maestria.
Osservando la masseria, si nota il piano superiore, senza più il tetto, da cui si intravede il camino che riscaldava gli inverni dei suoi abitanti.
Sullo sfondo si intravede Masseria Miele, una struttura miracolosamente rinata a nuova vita, grazie alla tenacia e l’amore dei suoi gestori. Questo frantoio doveva far parte di essa un tempo: credo che il nome originario fosse “Cannole di sopra”, per distinguerla da “Cannole di sotto”, posta più innanzi.
Il frantoio è purtroppo seriamente in pericolo. Così, prima del suo disfacimento, mi arrischio a discendervi, per lasciare traccia della laboriosità dei suoi secolari lavoratori…
Ne ho visitati oltre un centinaio, in Salento, ma ogni volta che scendo in questi ambienti provo sempre la stessa emozione di… intimità, di famiglia, di cuccia umana: qui dentro, una “ciurma” di omacci uniti da un tenacissimo spirito di sopravvivenza, stringevano un patto fraterno di lotta e comunione, fino alla primavera successiva, quando, dopo i mesi invernali, sarebbero tornati a vedere il sole…
Qui sopra, altra prospettiva, dalla stalla degli animali: curiosamente, questa pietra per la macina non è forata…
…da qui si vedono le mangiatoie…
…e qui, sopra gli stipi di porte e finestre (di tutto il frantoio) che danno alle sciave (i depositi in cui da sopra riversavano i carichi di olive) si vedono ancora le “tacche” che incidevano i frantoiani, probabilmente intenti a fare i conti, del loro lavoro.
Molte di queste grandi vasche che un tempo contenevano l’olio, sono finite distrutte, nel maldestro tentativo di qualche ladro che ha provato a portarsele via: ve lo sconsiglio, malintenzionati, è praticamente impossibile, tentare di trafugare questi grandi blocchi monolitici, scavati ad arte con pazienza certosina.
Qualcuno però, mosso da buon cuore, ha messo insieme moltissimi cocci…
…i resti, dei vasi e utensili che per tanto tempo hanno aiutato i frantoiani a vivere qui sotto…
Fra tutti i reperti, moltissime ossa di animali, certamente resti dei loro pasti, e qui sopra un piccolo teschio di una bestiolina che non riesco a figurarmi. Forse, un gatto…
L’abbandono non ha tolto il fascino, ai miei occhi, di questo antico tempio del lavoro.
Non molto lontano, una bella pagghiara…
…che subito, all’ingresso, mi ha attirato per i suoi graffiti. C’è la data 1863. A pensarci, l’Italia era appena stata fatta!
Moltissime croci, sono ovunque…
…incise più o meno profondamente, e da mani diverse…
Qui sopra, accanto ad una figura umana molto schematizzata, c’è la data 1869.
La cupola è crollata, ma mi arrischio a entrare…
Ci sono tre stipi ricavati nella parete.
In uno degli stipi c’è un curioso graffito, accanto ad un’altra croce… la testa di un uomo…
Mi viene incontro il classico contadino salentino, col suo berretto, l’inseparabile coppula…
Era quella che usava anche mio nonno. Infondo, venire in questi luoghi, è sempre come tornare a trovare gli antenati, i nostri cari da cui discendiamo, e che non ci sono più.
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Nel PPTR della Regione la masseria viene denominata Masseria Monticello e da il nome a tutta la località.
Grazie di cuore, Salvatore, per questo aiuto: aggiungo subito questa precisazione al testo!