Quando nella prima metà del IX secolo d.C. Palermo fu conquistata dagli Arabi, questi costruirono una fortezza difensiva sulle strutture preesistenti nel punto più alto della città. Nel 1072, con la conquista normanna, iniziarono i lavori che avrebbero portato alla trasformazione della fortezza in Castello Reale, nel quale dimorarono, sempre nel periodo normanno, le corti di Ruggero II,
di Guglielmo I (il Malo) e di Guglielmo II (il Buono).
Fu nel 1130 che re Ruggero II fece iniziare la costruzione, al di sopra di una chiesa preesistente, della Cappella detta Palatina, o del Palazzo, dedicata a San Pietro apostolo. Originariamente la Cappella Palatina era un edificio a sé stante; in seguito venne inglobata all’interno del Palazzo.
Ora il Palazzo reale di Palermo potrebbe essere scambiato per un edificio rinascimentale, in quanto fu ampiamente rimaneggiato dagli Spagnoli a partire dalla seconda metà del Millecinquecento.
La lungimirante e intelligente politica regnante di Ruggero II, che favorì tutte le diverse comunità religiose della città, fece si che alla realizzazione delle parti strutturali e decorative della Cappella Palatina partecipassero maestranze diverse per etnia e per cultura figurativa e costruttiva. E’ per questo, che, oltre a quelle locali, parteciparono alla realizzazione della fabbrica maestranze greco – bizantine e arabe, già presenti nell’isola o giunte al seguito dei Normanni.
Le varie influenze stilistiche che ne derivarono si intuiscono, oltre che dal vasto rivestimento musivo, anche negli apparati funzionali e decorativi litici, costituiti, oltre che dallo splendido PAVIMENTO A TARSIE POLICROME (opus sectile, nella foto ), dall’area destinata al SEGGIO REALE, dai rivestimenti delle pareti della Cappella, da un imponente AMBONE con leggio e da un CERO PASQUALE scolpito.
L’opus sectile è considerato una delle tecniche di ornamentazione marmorea più raffinate e prestigiose, sia per i materiali utilizzati (marmi tra i più rari e costosi) che per la difficoltà di realizzazione, dovendo sezionare il marmo in pezzi assai sottili (“crustae”), sagomarlo con grande precisione e comporlo tenendo conto delle diverse qualità, allo scopo di ottenere gli effetti cromatici desiderati.
Di antica origine, l’opus sectile si diffuse rapidamente insieme al mosaico in tutto il mondo romano, venne ripreso nel periodo paleocristiano dai bizantini e continuò ad essere utilizzato anche in buona parte del medioevo, soprattutto grazie agli splendidi esempi diffusi a partire dal XII secolo, nell’architettura romanica, dalla famiglia romana dei Cosmati. Nella Cappella Palatina, sono di opus sectile anche le fasce decorative verticali ed orizzontali che decorano l’ingresso esterno.
Le caratteristiche che misuravano la qualità dell’opus sectile erano la continuità del tessuto marmoreo (le cui commessure dovevano essere invisibili) e la ricchezza dei colori, per variare i quali si utilizzavano marmi diversi, ma anche trattamenti modificatori, come la bruciatura del giallo antico per crearvi sfumature, o l’uso di una specie di pietra artificiale bianca, chiamata “stracotto”, ottenuta con la cottura di calcare, che si presenta del tutto simile al palombino, pietra calcarea bianca, assai diffusa nel Lazio, ampiamente usata nell’opus sectile.
Inizialmente con le scaglie si componevano rivestimenti a motivi geometrici, ma nel tempo si svilupparono moduli iconografici naturalistici sempre più raffinati e variati nelle dimensioni, con una resa bidimensionale delle figure, che costituiva una vera e propria “pittura in pietra”.
Nella Cappella Palatina la decorazione rimane costantemente di tipo geometrico con un preponderante uso della stella ad otto punte, riprodotta più volte, ed in epoche diverse, sui vari apparati litici.
Sempre all’esterno, vicino all’ingresso, le fasce a tarsie sono accostate a larghe cornici scolpite a bassorilievo in sottili foglie d’acanto.
Le foglie sono alternate simmetricamente e ricavate nella pietra bianca, oltre con i piccoli scalpelli, anche con la tecnica del trapano, che facilita la lavorazione dei sottosquadri.
All’interno della cappella le pareti delle navate laterali sono tutte decorate con un alto zoccolo di riquadri di marmo bianco o di porfido, incorniciati da fasce divisorie orizzontali e verticali a tarsie policrome, con inserti nel centro di grandi tondi di porfido rosso.
Molto particolare l’opus sectile della grande fascia mediana decorata a fiorami – alberi costituiti da patterns di stelle, che riprendono, nella fascia inferiore, motivi arabeggianti.
Le decorazioni in opus sectile corrono per tutte le pareti della cappella e continuano sui gradini della scala e sulle strutture di marmo del presbiterio.
Molto bello, austero ed essenziale, e sempre in linea con lo stile generale, è il grande AMBONE a pianta quadrata, che sormonta parte della scalinata del presbiterio, e che è costituito da due elementi chiusi da balaustre : intarsiata la parte a destra, con una serie di 3 cerchi a guilloche contenenti 3 croci greche, mentre quella a sinistra, più sporgente, è composta da una lastra rettangolare di porfido rosso, racchiusa in una cornice doppia: a rilievo e ad intarsio.
La parete laterale è divisa anch’essa in due sezioni, di cui la prima presenta 3 cerchi e la seconda 4 cerchi a guilloche contenenti croci greche.
Molto raffinate le tarsie policrome che formano le varie bande della guilloche.
La lavorazione è perfetta ed in sintonia con la committenza e la funzione regale del luogo. Infatti nessuna finitura è affrettata o lasciata al caso, per cui diventano elementi di una bellezza squisita anche particolari meno visibili come le cornici negli angoli.
L’ambone è sorretto da sottili colonne di marmo, di diversa forma e materiale, sormontate da capitelli diversi tutti dipinti d’oro. Alcune colonne di marmo pregiato sono tornite, altre sono scolpite con striature a zig-zag e due pilastrini a sezione quadra, collocati verso la parete esterna, sono scolpiti a bassorilievo con greca centrale a motivi fogliacei.
Sul parapetto frontale sono presenti due protomi d’animale, aggiunte probabilmente nel XVII secolo, a sostegno dei leggii, che rappresentano l’aquila ad ali spiegate di S. Giovanni ed il leone di S. Marco, quest’ultimo privo della tavoletta d’appoggio.
Da sotto l’ambone si accede alla piccola absidiola destra. Questo passaggio, articolato da bassi gradini e racchiuso ai lati da balaustre, è molto elegante, perchè completamente decorato da motivi ornamentali in opus sectile.
Un cenno particolare merita il candelabro monolitico in stile romanico alto quattro metri e ventisei centimetri che si vede sulla destra accanto all’ambone.
Esso venne realizzato probabilmente per l’inaugurazione della Cappella o verso la fine del XII secolo e ancora oggi viene utilizzato il giorno di Pasqua, allorchè il sacerdote sull’ambone legge il vangelo con la luce del cero.
Il candelabro è costituito da un fusto di un solo blocco di marmo, ottenuto dalla lavorazione di una colonna antica, diviso in tre sezioni, separate da corone di foglie. Le figure umane ed animali tra foglie e viticci si alternano nei 3 vari piani con somma eleganza.
Questo capolavoro scultoreo in marmo bianco poggia su quattro leoni che azzannano due uomini e due quadrupedi, raffigurazione del dolore del peccato ; i leoni sono il simbolo dei Normanni.
La prima delle tre sezioni, quella inferiore al di sopra dei leoni, contiene aquile e una scena di caccia al leone, ispirata dai sarcofagi romani.
Mirabile per il nitore e la raffinatezza ornamentale delle forme snellissime e per l’alternarsi di motivi fogliacei a quelli figurali, questa è forse l’opera più antica della scultura romanica in Sicilia che, come afferma il Salvini, ha le sue origini nella scultura romanica della Provenza.
Lo conferma il Cristo benedicente, della seconda sezione, chiuso nella mandorla, raffigurato con la barba pronunziata come nelle figure provenzali, che siede su un cuscino e tiene in mano un libro.
La figura dell’offerente al lato del Cristo è identificata con quella di Ruggero II per la mitria che porta in testa, ma, dal momento che ha addosso anche il pallio, è più probabile che si tratti della figura del donatore. Se è così il candelabro potrebbe essere stato donato dall’arcivescovo Ugo in occasione dell’incoronazione di Guglielmo I che ebbe luogo nella Pasqua del 1151.
Nella sezione superiore quattro aquile con prede strette negli artigli allungano il collo per beccare le code dei pavoni sovrastanti.
Il fusto si conclude con un piatto decorato in cui si poneva il cero pasquale. A questa struttura, dalla forte coerenza stilistica, si sovrappone un bocciolo con tre telamoni che sorreggono una tazza decorata, di fattura differente dal resto, probabilmente, secondo il Venturi, aggiunti in un secondo tempo.
La tribuna addossata alla controfacciata di fronte all’abside centrale, quindi sul lato opposto all’altare, viene ipotizzata essere stata il soglio reale, l’area del trono, area che comunque fu rifatta in epoca aragonese. Rimane controversa la questione sulla destinazione d’uso di quest’area, che probabilmente era utilizzata nel periodo normanno-svevo per il trono, quando la chiesa diveniva una sorta di sala per le udienze (secondo la moda europea), considerando pure la presenza del mosaico col Cristo assiso in trono sulla parete di fondo a riconoscere l’autorità del sovrano.
Certamente i sovrani normanni e i loro familiari assistevano alle funzioni liturgiche da questa tribuna regia, una sorta di osservatorio privilegiato da cui godevano appieno della vista dei mosaici.
Questa tribuna è sollevata di cinque gradini rispetto alla navata ed è composta da un opus sectile pavimentale formato da piccole tessere di pietre dure .
Questa è una delle parti più controverse della cappella Palatina, perchè probabilmente è stata sottoposta a più interventi di restauro, che hanno visto il posizionamento dei plutei laterali, il rifacimento delle lastre marmoree originali della parete di fondo, e, probabilmente, l’innalzamento del piano di calpestio con la creazione del quinto gradino.
Molto belle le tarsie sectili che ripropongono sui plutei laterali gli elementi decorativi ( quinconce, stelle a otto punte, ecc ) delle fasce che troviamo sulle pareti dell’intera Cappella Palatina.
La parete di fondo è comunque un tripudio di decorazioni, composte da fasce di tarsie policrome e mosaici, che si alternano a lastre di porfido porporino. Una visione scenografica che sottolinea la meritata appartenenza della Cappella Palatina al Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
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