La necropoli è lo spazio destinato alle sepolture e al culto dei defunti. Lo studio sulla necropoli tarantina si estende alle migliaia di tombe rinvenute lungo tutto il territorio cittadino nel periodo che va dall’età arcaica a quella romana. Dalla fondazione della colonia Greca (706 a.C.) abitato e necropoli occupavano aree ben distinte.
La necropoli arcaica comincia da Piazza Immacolata, mentre non esistono tombe nell’isola e nella zona dell’istmo. Per quanto riguarda la tipologia, le tombe arcaiche sono in massima parte del tipo a fossa terragna, mentre, anche se in numero esiguo, si trovano tombe a camera ipogee, espressione di un nucleo familiare di ceto sociale abbiente.
(Mappa scaricata dal sito dei Musei di Taranto)
Di particolare impegno monumentale, alcune tombe a camera ipogee hanno sostegni centrali e sono costruite ad imitazione dell’andròn, la sala destinata ai simposi della casa greca, presentando sarcofagi disposti lungo le pareti in luogo delle klinai (letti) della casa reale. Taranto è uno dei pochi centri greci che abbia restituito ipogei funerari di questo genere (tomba “degli atleti” di Via Crispi 2, tomba di Via Oberdan 35, quest’ultima non più esistente), espressioni di élite sociali di sesso maschile accomunate anche dall’esercizio di attività sportive.
Nel V secolo a.C., una grave sconfitta militare subita ad opera dei messapi segnò il cambio di indirizzo politico della città. Con l’avvento della democrazia (473 a.C. circa) si operò una generale ristrutturazione urbanistica, e mutamenti si registrarono anche nel rituale funerario. La necropoli, a seguito della costruzione di una nuova cinta muraria fu inglobata all’interno dello spazio urbano; un nuovo quartiere basato su isolati regolari occupò in parte aree già utilizzate a scopo funerario, generando una curiosa “alternanza” fra tombe ed abitazioni che gli antichi spiegavano come segno di una precisa volontà dei tarantini di rispettare un oracolo che garantiva loro grande fortuna se avessero abitato “coi più” cioè con i defunti (Polibio, VIII, 30).
L’utilizzo di tombe a camera sembra interrompersi entro il primo quarto del V secolo, salvo rare eccezioni, per poi ricomparire dalla metà del IV secolo a.C. con tombe costituite da camere singole o da più vani affiancati. L’accesso a tali strutture architettoniche avveniva tramite un dromos (corridoio) a scivolo o a gradini, spesso assente nelle tombe di età arcaica. Le porte sono sovente di tipo dorico, cioè rastremate verso l’alto e con l’architrave sporgente rispetto agli stipiti; erano chiuse tramite una lastra a volte dipinta ad imitazione dei modelli lignei. Sono attestate anche porte a doppio battente, come documenta la camera funeraria conservata in via Umbria 136 (280 a.C.), dove le ante lapidee mostrano due specchiature sovrapposte; in quella superiore vi è uno scudo a rilievo con tracce di colore giallo.
Interamente cavate nella roccia, o in parte costruite, le tombe a camera della necropoli tarantina avevano solitamente il tetto piano, realizzato tramite grossi blocchi di pietra affiancati. Le celle di età arcaica e classica potevano presentare anche la copertura a doppio spiovente, retta da architravi poggianti su una o più colonne o pilastri. All’interno, i letti funebri in muratura, non di raro modanati e dipinti, sono addossati alle pareti e, se due, disposti ad L. Rari i casi di celle con più di due klinai. Soprattutto nel III e II secolo a.C. si diffondono le tombe a semicamera.
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