Sono l’enigma del Salento più nascosto. Costruzioni, anche abbastanza rare, che si ritrovano in luoghi isolati, spesso dimenticati, che hanno in comune questa particolarità architettonica che ci riporta indietro nel tempo, ai cosiddetti “colombari” d’epoca romana.
Ma si ritrovano anche fuori da contesti riferibili ad insediamenti d’epoca classica. Dunque? Qual è il loro significato? E l’utilizzo? Facciamo innanzitutto un viaggio visivo, come sempre, fra le pagine di questo sito, per poter dare lumi anzitutto ai nostri occhi. Degli antichi romani sappiamo che sistemavano le sepolture, o meglio le ceneri di esse, all’interno di piccoli loculi, denominati colombari per via della somiglianza coi semplici piccionai. All’interno del Museo del Teatro Romano, a Lecce, una struttura che merita in pieno una visita, se ne può apprezzare un esempio.
Da notare la precisione dell’arcosolio, ossia la lunetta scavata nella roccia, che doveva ospitare l’urna. Anche l’arcosolio è un espediente architettonico che assume molta importanza durante l’epoca romana. Era sempre collegato ai monumenti funebri e durante il medioevo, quando era in vigore l’abitudine di seppellire nelle chiese, spesso erano creati grandi altari, in onore ai personaggi sepolti, addossati ad una parete laterale, che sfoggiavano una grande opera ad arco.
In questa bellissima chiesetta rupestre (rinvenuta casualmente, in tempi anche abbastanza recenti, vedi qui approfondimento) nel centro storico di Grottaglie, si possono ammirare la precisione di queste opere, scavate manualmente nel banco roccioso. Nicchie e arcosoli, che ospitano le immagini sacre.
E’ certamente raro però vedere questa parete, con queste nicchie quadrate…
Sempre restando in agro di Grottaglie, lasciando la città per inoltrarsi nella Gravina di Riggio, si incontra ben nascosta quest’altra struttura, ricavata in un’ampia sala fra le pareti della gravina…
Da notare che, sotto la lunga fila delle cellette, una larga apertura rettangolare…
Una struttura identica a questa si trova, sempre in gravina, in agro di Massafra. Qui la chiamano la “caverna del Mago Greguro”, un fantomatico personaggio medievale che in questi piccoli vani accumulava le erbe officinali (di cui si forniva in gran quantità nell’ambiente che lo circondava) che crescevano spontanee.
Ovviamente, il personaggio è leggendario, ma in gravina crescono veramente una gran quantità di erbe mediche. Come si vede, le due strutture sono quasi identiche, anche nelle dimensioni. Forse un allevamento di colombi.
Siamo nel villaggio rupestre di Ugento, un luogo non molto noto, ma che pure custodisce sue proprie e autentiche peculiarità…
Una grotta che pare del tutto naturale ospita un altro ambiente a cellette, queste un pò più grossolane, arcaiche, forse perché più antiche…
Sulla volta si apre una cavità, anche questa parrebbe non artificiale. A fianco di questo ambiente, ce n’è un altro, più piccolo, comunicante tramite una strettoia…
A poche decine di metri c’è un’altra struttura (sotto), questa volta costruita pietra su pietra, ma anch’essa assai particolare: una parete intera ricoperta di cellette, un ambiente lungo e stretto, solo per una persona, ed un letto di pietra ricavato e addossato sul muro. Probabilmente, un apiario. come ho notato in altri villaggi rupestri delle gravine tarantine: era un’attività molto praticata.
Ora viaggiamo fra la Valle dell’Idro e quella delle Memorie, emblematici luoghi che si aprono nell’entroterra di Otranto. Qui, questi ambienti sono straordinariamente variabili, per forme e dimensioni degli edifici scavati nel banco tufaceo. Una piccola apertura, dall’esterno insignificante, rivela poi la sorpresa…
E poi, ancora… e chissà quante se ne potrebbero trovare, con escursioni più lunghe e approfondite…
Vorrei fare un paragone con le cellette che si trovano in Sicilia, nell’antica Siracusa… me le ricordano molto!
Siamo nel Parco della Neapolis, lungo la Via dei Sepolcri (foto sopra). La strada costituiva l’accesso al Teatro Greco. Sulla parete si scorgono numerose cellette, scavate nella parete rocciosa. Secondo gli studiosi si tratta di incavi votivi dedicati al culto dei defunti eroizzati. Ma torniamo in Salento…
…in questa imponente struttura, di cui non possiamo rivelare l’ubicazione. Uno studio ha rivelato che siamo davanti ad una grande cisterna di epoca romana, intonacata col loro classico sistema che la rendeva impermeabile. La presenza delle cellette, però, è successiva: indica che questo luogo fu riutilizzato in epoche successive, e l’unico utilizzo che riesco a immaginare è quello funerario. La deposizione delle urne con le ceneri dei morti…
La struttura più complessa del Salento è forse l’Ipogeo di Torre Pinta (Otranto), all’interno dell’ospitale e omonimo agriturismo. Un vero enigma archeologico, visto come ha diviso gli studiosi (o mantenendo nel riserbo altri) circa il suo significato. Qualcuno ha affermato si tratti di un luogo di culto messapico, dove si inumavano i morti, altri lo fanno risalire ai romani, ad opere medievali o semplici colombaie d’epoca rinascimentale. La verità è che qui non si è mai ritrovato alcun reperto archeologico, quindi l’ambiente resta inclassificabile. Probabile che questa “pulizia” sia da imputare all’epoca in cui si costruì la torre colombaia superiore, in cui l’edificio fu completamente ristrutturato.
Certo è che camminando lungo questo corridoio si avvertono sensazioni positive. Una donna, assolutamente nuova a questi luoghi, mi confidò di aver vissuto come un cammino di “rinascita”, un ritorno al ventre della madre, attraversando il corridoio e giungendo nella grande sala circolare che c’è in fondo…
Aldilà di tutte le sue suggestioni storiche e interpretazioni archeologiche, un luogo veramente da visitare…
Ed ora, in linea d’aria ad appena un paio di chilometri, arriviamo in un posto se vogliamo ancora più misterioso. Siamo ad un tiro di schioppo da Masseria Santa Barbara, agro di Otranto. Questo piccolo ingresso nascosto dalla vegetazione, ci invita ad entrare…
Il piccolo corridoio d’accesso s’inabissa verso il basso, facendoci entrare in un luogo buio, nel ventre della terra…
C’è un primo vano. Tutte le pareti sono scavate a cellette. Sulla sinistra, in basso, all’apparenza una tomba… un letto di pietra…
…sulla destra, si intravede un piccolo raggio di luce, che penetra da un’apertura che non si capisce se praticata apposta oppure è da riportare ad un crollo. Fatto sta che ha invaso l’ambiente di terra, portata dalle acque piovane. Il fondo, così, risulta coperto, le nicchie proseguono ancora, verso il basso…
Poi si entra nel vano successivo, ancora più buio. Le pareti sono sempre coperte da questi vani…
…e sul lato sinistro, si apre una nicchia di dimensioni più grandi, quadrata, posta al centro della sua parete…
Un piccolo schizzo per dare un’idea di insieme della planimetria di questo ambiente stranissimo. Che certamente, nel suo buio, non poteva ospitare uccelli d’allevamento.
E poi, c’è una tipologia di celle che ho riscontrato (finora) solo a Otranto e Acaya, e per questo vi rimando ad un altro reportage!
Lasciamo agli studiosi l’ultima parola per decifrare il significato di questa misteriosa opera dei nostri progenitori!
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