Emblematico esempio di arte e architettura della Lecce messapica di 2400 anni fa, l’Ipogeo Palmieri è un luogo che ha pochi paragoni nella città barocca, adorna di vestigia romane, ma di cui poco è rimasto del primitivo insediamento indigeno. Per questo, dunque, la discesa in questo luogo magico, posto a diversi metri sottoterra, ha il sapore di qualcosa di unico.
Custodito all’interno di un giardino privato di una storica dimora leccese situata lungo via Palmieri, l’ipogeo si apre con tre rampe di gradini, che portano verso il cuore di questo luogo di culto per i morti di importanti e nobili famiglie messapiche.
La discesa è stretta, poi la scalinata si allarga man mano…
Lungo il corridoio di accesso alla tomba corrono due fregi scultorei a bassorilievo di pregevole gusto artistico. Il fregio figurato si compone di due lunghe lastre figurate, marginate sul lato superiore da una cornice ed una file di ovuli. Il suo discreto stato di conservazione consente la lettura abbastanza precisa di ciò che vi è raffigurato, ovvero un combattimento tra guerrieri a piedi e a cavallo.
Il fregio floreale, incassato nella parete opposta, è costituito da tre lastre: al centro, emergente da un cespo d’acanto, un volto femminile con copricapo, associato a due steli che si snodano ai suoi lati occupando tutta la lunghezza del fregio. Sulla base di confronti stilistici e tipologici, per la tomba leccese, realizzata evidentemente per una famiglia locale aristocratica, gli studiosi hanno proposto una datazione che va dal IV al III secolo A.C…
L’ipogeo è composto da tre ambienti disposti intorno ad un vestibolo…
Le stanze presentano una decorazione pittorica bipartita: uno zoccolo di colore scuro delimitato da una doppia fascia di colore rosso, che continua anche sugli stipiti, ed una zona superiore decorata con due file di riquadri rossi…
Si conservano ancora i sei capitelli che decoravano gli stipiti delle porte. Il soffitto è ricavato con lastroni litici di grandi dimensioni.
Sopra, l’ambiente sulla sinistra rispetto alla discesa, coperto d’acqua per le piogge abbondanti, che i proprietari di casa aspirano con un’autoclave.
Fu rinvenuto fortuitamente nel 1912 da un appassionato di antichità locali, ma già all’epoca la tomba apparve già priva di corredo, depredata probabilmente nel corso del XVI secolo. A sostegno di questa ipotesi vi sono alcune iscrizioni graffite sulle pareti del corridoio d’ingresso e delle celle che risalgono proprio a quel periodo. Nella foto sopra ne vediamo una parte, ma ormai non sono facilmente leggibili.
Altra iscrizione particolare, questa volta però in lingua messapica, la si ritrova su un’architrave posta sopra il vestibolo (foto sopra).
Lasciando questo luogo silenzioso, non possono non apparire alla mente del visitatore le immagini di un tempo lontano, di usi e costumi perduti nel tempo, la cui pietà nell’onorare i defunti è però sempre viva negli eredi delle successive genti.
(che ringrazia calorosamente la Famiglia Guarini-Caputo, nella persona di Gustavo Caputo, eccellente professionista, per la gentilezza nel concedere questa visita)
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