Chi ama quei luoghi che emanano denso, come un tanfo di umidità, l’odore della Storia, ma anche un’aura di mistero, legata ad origini ed usi sconosciuti e misteriosi, non può che visitare, almeno una volta, l’ipogeo di Torre Pinta. Siamo a Otranto, nella meravigliosa Valle delle Memorie, in un contesto naturalistico quasi incontaminato, che ha dato casa e natali a genti e generazioni nei secoli.
Fu scoperto nel 1967, ed a tutt’oggi non c’è alcuna datazione sicura di questa monumentale struttura, interamente scavata nella roccia. Non si sa chi la fece, e perché.
Torno spesso qui, a salutare la proprietaria dell’agriturismo nel quale sorge il monumento (che ha preso anch’esso nome Torre Pinta), una cara persona molto socievole, che ha colto l’importanza di questo luogo, e non cessa di farlo scoprire a chiunque.
Ci entro, ancora una volta… perché, vi assicuro, se vi trovate davanti a questo ingresso, e lo varcate, l’esperienza resterà nei vostri ricordi… e ci ripenserete… e tornerete…
Un corridoio scavato nel banco roccioso, lungo 33 metri, si spalanca davanti… la lunga serie di cellette ricavate sulle pareti, subito riporta alla mente i colombari Romani, ossia quel tipo di costruzione funeraria composta da nicchie in cui venivano conservate le urne con le ceneri dei defunti. Sulla sinistra vediamo un grande arcosolio, dove immaginiamo dunque il morto, posto seduto, mentre si preparava il rito di incinerazione, che probabilmente avveniva nella stanza sulla destra…
…dove si entra abbassando il capo… e si trova anche un piccolo sfiatatoio, che serviva evidentemente a disperdere il fumo del fuoco…
…torniamo nel corridoio…
…seguito anche da un sedile laterale, da entrambi i lati, per tutta la sua lunghezza…
… il corridoio termina in prossimità di tre absidi, voltati a botte (esattamente come il corridoio stesso), alle quali si accede attraverso alcuni scalini. La cupola centrale crollò nel XVII secolo, e in quel momento fu costruita dagli abitanti della masseria superiore una torre colombaia, che si integra perfettamente con le decine e decine di cellette di cui si compone l’ipogeo.
Sulle funzioni, e sopratutto sulla datazione, si sono sbizzarrite le teorie nel corso degli anni. Alcuni dicono che potrebbe risalire al Neolitico, successivamente ampliato, e sfruttato dalle comunità paleocristiane, a cui risalirebbe la pianta a croce latina…
Qualcuno ci ha visto una contaminazione arcaica, o ellenistica, e ipotizzano che l’ingresso della struttura si allineasse col sole, al tramonto, nel solstizio d’estate. Quest’ultima ipotesi, considerando le variazioni degli equinozi nel corso dei millenni, lo daterebbe addirittura al X secolo a.C.
Ovviamente sono tutte congetture. Il problema è che nella struttura non fu mai rinvenuto alcun reperto archeologico, o un affresco, che ne consentisse uno studio scientifico. Questo è dovuto senz’altro alla diversa destinazione d’uso che se ne fece nel XVII secolo, quando l’ipogeo fu “ripulito”.
Tuttavia le sensazioni che trasmette al visitatore sono vivide. Accompagnando un’amica qui dentro, una persona che non vede troppi luoghi simili, mi confidava della sua sensazione, camminando nel grande corridoio, di una sorta di utero materno, di “nascita”, un’energia benigna e positiva, che l’ha avvolta per tutta la giornata. L’amico Elio Paiano mi raccontava invece del meccanismo naturale di “mummificazione” che subivano invece oggetti biologici (come ad esempio una mela) lasciati appoggiati al suo interno. Di certo, un luogo di “passaggio”… la vita e la morte, a braccetto ed in accordo…
All’esterno, un’altra struttura circolare che sembrava avere ai suoi tempi anch’essa queste cellette nella pietra… La Valle delle Memorie avrebbe tanto da raccontare!
(che ringrazia di cuore l’amica Maria Giovanna, per la cortesia e la solita visita che mi ha concesso nel suo meraviglioso agriturismo)
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