Come si viveva, un tempo, in Terra d’Otranto? Quali erano le fonti di sostentamento, l’antica economia di questo territorio? La rivoluzione agricola cominciò in età medievale, dopo l’abbandono secolare dei campi dovuto alla fine dell’Impero Romano, e disegnò un nuovo panorama agrario, ricco di peculiarità interessanti, anche proprio nell’aspetto. Come le torri colombaie
che divennero una caratteristica tipica dello sky line salentino. L’allevamento dei colombi risale ad epoca remota, ma a detta del prof. Antonio Costantini (Masserie del Salento, Congedo Editore) probabilmente la costruzione di edifici dedicati all’allevamento di questi volatili si può fare ricondurre alla metà del XIII secolo…
… periodo in cui l’Imperatore Federico II (che governava sopratutto dall’Italia meridionale) manifestò la sua passione per la caccia col falcone (di cui di seguito vediamo una scena tratta da un bassorilievo custodito all’interno del Castello di Taranto)…
…attraverso il suo De arte venandi cum avibus, nelle cui miniature si nota la caratteristica forma cilindrica della torre colombaia.
A partire dal ‘400 in poi, però, si comincia sistematicamente ad erigere questi grandi monumenti, che divennero quasi opere d’arte nel ‘500, che consentivano una facile nidificazione dei volatili, che entravano nella torre dall’alto (priva di copertura), alloggiando nelle centinaia di nicchie predisposte…
…una porticina consentiva all’uomo di entrare all’interno, ed una serie di scalette ricavate dagli stessi conci in fase di costruzione sulla parete, accompagnava l’allevatore in alto…
… accedendo così alle uova, ed ai giovani volatili, prima che questi potessero volare.
Per via delle alte qualità nutritive, la carne di colombo veniva utilizzata per l’alimentazione dei bambini e degli anziani, ed un brodo preparato con essa era il cibo prediletto delle donne che avevano appena partorito. Inoltre la columbina, ossia gli escrementi dei volatili, era utilizzata nella concia delle pelli, ed era ritenuta un ottimo fertilizzante per i campi.
La torre colombaia era legata al nome di un nobile proprietario terriero, ed anzi per motivi di prestigio ci teneva anche a “firmare” la costruzione…
…in territorio di Carpignano ne vediamo una, fra le più grandi e antiche, che risale addirittura al periodo angioino, e conserva ancora lo stemma degli Orsini Del Balzo, posto sulla porta di accesso.
Di parecchie masserie del Salento essa è la sagoma inconfondibile… spesso di forma cilindrica…
…ma anche quadrata, decorata ad arte nel piano superiore, come vediamo qui sopra a Masseria Doganieri (Galatone).
In alcune masserie si trova, quasi nascosta dall’esterno, in una piccola stanza posta al piano superiore dell’insediamento agricolo (qui sopra siamo in agro di Salve, a Masseria Don Cesare).
Se ne sono conservate di tanti tipi: qui sopra, ne vediamo una rimasta intatta all’interno del moderno complesso dell’Università del Salento, presso Monteroni.
Ma personalmente continuo a riscontrare una sorta di tipologia a parte, ad incasso sulla parete, come qui sopra, a Masseria Gianferrante (Ugento)…
…simile a Masseria Limbitello (presso Roca Nuova, Melendugno).
Dell’allevamento dei colombi se ne occupò persino la regina Maria d’Enghien, che nel suo Codice dichiarava, quasi minacciosa “che nulla persona ausa occidere, o menare con balestra, oy con archi alli palumbi de palumbaro. Né pigliare dicti palumbi con riti, oy costule, excepto se fusse patruno. Et chi nde fara lo contrario cadera alla pena de uno augustale”.
Concetto ripreso in toto nei Capitoli della Bagliva di Galatina (1496-1499), ma anche nei Bandi Pretori di Torchiarolo (1667) e Novoli (1716), dove si elencano le severe punizioni per chi cerca di catturare o uccidere i colombi allevati, che partivano da un minimo di 15 giorni di carcere.
Tutto questo ci fa capire il grado di considerazione che aveva questo allevamento, ed il commercio che ne conseguiva. Commercio che girava nelle mani del nobile o del potente ecclesiasta proprietario terriero di turno.
Soltanto nel 1789, con la caduta dei privilegi feudali ancora vigenti fin allora in Terra d’Otranto, i contadini acquisirono il diritto di uccidere i colombi che vedevano razzolare sui loro campi seminati.
Riporto la teoria di un amico, Alberto Signore, per il quale la costruzione di così tanti colombai in Terra d’Otranto risale al periodo in cui Bisanzio comandava su questa parte d’Italia, ed utilizzava i colombi per le comunicazioni attraverso il canale d’Otranto, fra una sponda e l’altra dell’Impero. Personalmente non ho alcuna prova per sostenere l’idea dell’amico, che fa risalire le colombaie più arcaiche del territorio (Ugento e Otranto) proprio a quel periodo. Magari questo spunto illuminerà qualche dotto, o illuminerà noi! Allego QUI una ricerca fotografica completa delle colombaie in Salento.
Un’altra caratteristica architettonica del paesaggio rurale di questa terra, anche se non così appariscente a colpo d’occhio sono gli apiari, le “bocche da api” ampiamente registrate nei catasti onciari settecenteschi…
Le api venivano allevate in Terra d’Otranto fin dai Romani. Nei loro versi immortali, Virgilio (ma anche Orazio) esaltava il miele prodotto a Taranto…
…anche quest’attività, dunque, era parte integrante dell’economia della zona, e lo fu fino a quando la produzione del miele fu soppiantata dall’importazione dello zucchero, e quella della cera d’api (che serviva per le candele) dai nuovi derivati moderni.
Le bocche d’api le troviamo ormai in disuso da tempo, nei giardini di diverse masserie, ricavate da semplici blocchi di tufo…
…che andavano a formare una parete a cassettoni, nella quale i laboriosi insetti costruivano i loro preziosi alveari. Fonti storiche, come la Mensa Vescovile di Castro, attestano nel ‘500 questa fervente attività, alla quale i dotti di allora indirizzavano i proprietari terrieri con tutta una serie di consigli nella costruzione degli allevamenti, che dovevano tenere conto della posizione nel cortile, dei venti, e diversi particolari per farla crescere in maniera redditizia.
I villaggi rupestri di Terra d’Otranto erano luoghi ideali per l’allevamento delle api, gli animali godevano di un ambiente ideale, ricco di fiori e piante su cui proliferavano: qui sopra, ero nella gravina di Statte (Taranto), molti anni fa. Gli amici del Gruppo Speleo Statte mi fecero notare il luogo dove c’era l’apiario…
… ricavato ovviamente in rupe! Le comunità che vivevano in questi villaggi di pietra sapevano benissimo adattare se stessi e le loro attività in qualunque situazione.
Qui sopra invece sono nel villaggio rupestre di Ugento: come già studiato da Stefano Calò, anche qui c’era un apiario. L’ambiente è stato ulteriormente “costruito”, e voltato, in maniera sempre più perfetta e adatta allo scopo. Un altro mi è segnalato presso Otranto, in direzione valle dell’Idro.
Sia i colombi che le api erano riforniti di acqua, dai loro allevatori, in queste vasche monolitiche studiate appositamente per loro.
Altra importante attività salentina era il commercio della neve. In una terra senza montagne e di scarse precipitazioni, fondamentale diventava la scorta del prezioso materiale…
…per conservare il quale venivano costruite le neviere, grandi camere interrate, scavate nel banco roccioso e coperte con una volta a botte (qui sopra vediamo una delle neviere di Torcito, a Cannole), per impedire alla neve di sciogliersi, per poi utilizzarla, specialmente in campo medico.
L’importanza di queste strutture è evidenziata anche dalle grandi arterie che vi passano spesso accanto.
Un libro del 1716 riporta queste righe: “Porto Sancataldo … la sua entrata dalla parte del castello è assai ingombra di scogli a fior d’acqua, ma le navi vi trovano sempre sicurezza contro i venti del primo e secondo quadrante. È da quel porto che gli abitanti dei vicini villaggi di Aramagna, e di Acquarica partono per andare in Albania e da colà trasportarvi la neve, della quale si fa grande consumo in questa remota parte d’Italia, colà in iscambio lasciandovi denaro o merce”. Sopra, la mappa dell’Archivio Congedo, mostra questo settore, ed il fantomatico paese di Aramagna (sopra citato come Aramano, oggi forse corrispondente a Masseria Romano), dove gli abitanti di questa parte del Salento vivevano facendo commercio di neve.
Fra le attività più importanti in assoluto dei campi di Terra d’Otranto era la lavorazione dell’uva e delle olive. Fin da epoca bizantina restano tracce di palmenti scavati nella roccia, utilizzati per schiacciare l’uva (sopra un esempio, in agro di Carpignano)…
…qui sopra, un esempio che forse risale proprio ad epoca bizantina (agro di Alessano)…
…per finire poi agli esempi successivi, fra cui spicca questa grande costruzione appena fuori Collepasso…
…che reca la data 1749…
…rimasto intatto, all’interno, con tutte le sue vasche: era forse un esempio di utilizzo “comune”, da parte degli abitanti del borgo…
…esternamente vi sono ancora le pietre cui legavano asini e cavalli. A proposito di palmenti, vi rimando ad un altro articolo per comparare la lavorazione delle uve con la Basilicata.
Ma l’attività principe fu la produzione dell’olio, imbarcato in quantità inimmaginabili dal porto di Gallipoli per il resto d’Europa, a testimonianza della quale sono da anni in continua recensione dei frantoi ipogei disseminati a centinaia in Terra d’Otranto! Questa è una ricerca ancora in corso.
© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e del dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a questa pagina). Tutto ciò che compare sul sito, soprattutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene di voler cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it
Leave a reply