L’anima della Lecce barocca nota nel mondo è Romana, e si chiamava Lupiae. Nel III secolo a.C. l’antica Lecce messapica latinizzò il suo nome e dopo l’89 a.C. passò da statio militum a Municipium, retto da un Quadrumviro. L’applicazione delle leggi municipali, ed in particolare il divieto di seppellire all’interno dell’abitato, impone infatti l’abbandono delle aree
funerarie poste all’interno delle mura, permette una continuità d’uso di quelle esterne e causa la formazione di nuove necropoli. Successivamente, Lupiae divenne colonia, guidata da duumviri.
Quando Ottaviano sbarcò nel porto di Lupiae (foto sopra, vedi qui reportage completo), il futuro imperatore verificò certamente di persona l’amicizia e la fedeltà degli esponenti dell’aristocrazia locale, e questo ha posto le basi per un ulteriore e più profonda trasformazione della città, motivata dalla decisione da parte di Augusto di assegnare a Lupiae un ruolo eminente rispetto alle altre città messapiche, all’interno di un più ampio progetto di riorganizzazione territoriale del Salento.
Lupiae era servita da importanti assi viari: sopra vediamo un tratto, che si trova oggi interrato nei pressi del Tar, nel cuore del centro storico…
…mentre qui sopra (scoperto recentemente) è la strada che arrivava da Brindisi, a sua volta essa collegata alla famosa Appia.
In questo bellissimo plastico custodito all’interno del Museo del Teatro Romano di Lecce, possiamo meglio apprezzare una ricostruzione di Lupiae…
…uno scorcio veramente suggestivo!
L’anfiteatro è il monumento più espressivo dell’importanza raggiunta da Lupiae tra il I e il II secolo d.C. La datazione del monumento è ancora oggetto di discussione e oscilla tra l’età augustea e quella traiano-adrianea. Il monumento venne scoperto durante lavori cittadini nei primi anni del ‘900. Le operazioni di scavo per riportare alla luce i resti dell’anfiteatro iniziarono quasi subito, grazie alla volontà dello studioso Cosimo De Giorgi e si protrassero sino al 1940. Attualmente è possibile ammirare solo un terzo dell’intera struttura, in quanto il resto rimane ancora nascosto nel sottosuolo.
Qui sopra la ricostruzione completa del monumento (clicca qui per approfondire).
Gli siamo invece davanti al teatro (diametro esterno 40 m; diametro interno 19 m), ricavato in un banco di roccia, fu rivestito in opera quadrata. Essa è divisa in sei cunei da cinque scalette radiali dei cui gradini ogni coppia corrisponde ad uno di quelli riservati agli spettatori. Ogni cuneo è costituito da dodici gradoni (altezza 0,35 m; profondità 0,75 m circa), molti dei quali restaurati. Davanti all’orchestra, pavimentata a lastre rettangolari di calcare bianco, si notano tre larghi gradini che girano a semicerchio sui quali venivano, all’occorrenza, collocati seggi mobili riservati ai notabili. Dietro i gradini è presente un muretto e, dietro l’orchestra, oltre al canale destinato a raccogliere il sipario, è presente la scena (altezza dal piano dell’orchestra 0,70; profondità 7,70 m; larghezza 30 m). Il monumento è datato al periodo augusteo, al quale apparterrebbero alcuni frammenti della decorazione fittile del balteus, mentre all’età degli Antonini si vuole risalgano le statue marmoree che adornavano il teatro. Si suppone che fosse capace di ospitare un pubblico di oltre 5.000 spettatori.
Anche per il teatro c’è una bella ricostruzione di come doveva apparire ai suoi tempi (clicca qui per approfondire).
Fra i resti della civiltà Romana non possiamo non citare la colonna che oggi sostiene la statua di Sant’Oronzo: in origine si trovava a Brindisi, accanto ad un’altra colonna che, per lungo tempo si è creduto essere il terminale della Via Appia, ma ad oggi non tutti gli studiosi sono d’accordo. Il 20 novembre 1528 una delle colonne crollò e i vari pezzi marmorei rimasero a terra per oltre un secolo. Nel frattempo nel 1657 la peste riprese a seminare morte nel sud Italia, ma fortunatamente non toccò il Salento. A Lecce, dove si credette ci fosse stata un’intercessione del santo patrono, il popolo volle realizzare un monumento al santo patrono e l’allora sindaco di Brindisi Carlo Stea decise di offrire i pezzi della colonna caduta, danneggiati e in stato di abbandono. Il lavoro di rastrematura che ne fece l’architetto Zimbalo l’hanno resa molto più snella dell’originale, e stessa sorte toccò al capitello. La vera immagine originale si può vedere oggi solo a Brindisi (vedi qui).
In Vico dei Sotterranei, un luogo posto oggi sotto il livello stradale, si conservano una serie di mosaici pavimentali appartenenti ad una ricca domus romana del V secolo…
…a testimonianza della ricchezza raggiunta dai suoi abitanti…
…Lecce conserva i suoi mosaici, testimoni di un florido passato.
A un tiro di schioppo da qui, a Rudiae, nacque Quinto Ennio, che Cicerone definiva “il padre della letteratura latina”: in un luogo simile, Ennio si era formato nell’olimpo culturale dei Greci e dei Messapi, e diede linfa vitale alla letteratura della nascente e sovrana nazione del mondo. Anche l’Imperatore Marco Aurelio Antonino si definiva di origine salentina, ritenendosi discendente di Malennio, un personaggio praticamente mitologico, che secondo la tradizione fu il fondatore di Lecce, nel XIII secolo a.C., re dei Salentini e discendente di Minosse.
Oggi è tornato alla luce (grazie al prof Francesco d’Andria e al lavoro dell’Università del Salento e della Soprintendenza) anche l’anfiteatro di Rudiae. Lecce è l’unica città al mondo che possa vantare due anfiteatri romani, anche se duemila anni fa lo spazio urbanistico attuale non esisteva, e Lupiae e Rudiae erano due città distinte, che forse proprio per antagonismo si vollero dotare entrambe di un monumento simile…
…di cui, grazie al prezioso lavoro degli studiosi, esiste anche una ricostruzione ben dettagliata. Che si unisce agli altri monumenti, per mostrare al mondo una città che tanta importanza ebbe nella grandiosa epopea dell’Impero Romano.
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