Quando un museo riesce coi suoi contenuti a raccontare la storia di un’intera terra, attraverso secoli e millenni di distanza, non si è più all’interno di un semplice contenitore, ma nella migliore scuola per formare le nuove generazioni: questo è il Museo Archeologico di Taranto, uno dei più importanti a livello nazionale. Fu fondato nel 1887, all’interno del precedente Convento
di San Pasquale Baylon (XVIII secolo). Il primo piano ospita la sezione greco-romana inerente alla società tarantina. Il secondo piano, inaugurato nell’estate 2016, ospita la sezione Preistorica e dell’età del Bronzo inerente all’intero territorio pugliese.
Personalmente, durante la mia ultima visita ho vagato quasi 4 ore in queste sale, in preda ad una vera e propria estasi di sapere, perciò mi risulterebbe molto difficile cercare di ricreare questa esperienza in un breve articolo web. Nel tentativo di indirizzare il lettore ad una visita di persona mostro qui solo una minima parte del mondo qui ricreato, certo che egli subito comprenderà! Qui sopra, questa testa di donna in terra cotta (IV secolo a.C.) ci introduce in quel favoloso mondo che doveva essere la Taranto greca, centro del Mediterraneo e della cultura di allora, come la madre patria…
Le varie sale che si susseguono mostrano la ceramica proveniente dalla necropoli, secondo un percorso cronologico che va dal periodo della fondazione di Taranto fino all’età arcaica, tra cui spiccano le opere protocorinzie e corinzie realizzate nella città di Corinto e poi esportate. Dalle necropoli di età arcaica provengono i vasi con illustrazioni di personaggi e scene mitologiche, di grande suggestione, perché come uno scatto fotografico ci riportano alla cultura ed al vissuto dell’epoca. Di grande rilievo è la collezione di oggetti in oro risalenti al periodo che va dall’età arcaica a quella bizantina, realizzati con incredibili abilità tecnica…
…anche piccoli oggetti di uso comune, come specchi, scatole porta trucco e spilloni. Alcune sale del museo sono dedicate ad una mostra permanente sulla società aristocratica a Taranto tra VI e IV secolo a.C.
Fra le meraviglie del Museo c’è lo Zeus di Ugento…
Meraviglia assoluta dell’arte magno-greca è una stupenda statua bronzea, proveniente dalla grande città messapica di Ugento, che ci riporta al 530 a.C. e dentro uno spaccato fondamentale della cultura messapica e del suo Olimpo: il culto per Zis Batàs: lo Zeus saettante.
Alto 74 cm, poggia su un capitello in stile dorico, e rappresenta il dio colto nell’attimo in cui sta per scagliare un fulmine.
Il secondo piano del Museo, inaugurato nell’estate del 2016, ospita la sezione preistorica del Paleolitico e dell’età del Bronzo inerente all’intero territorio pugliese. Qui vediamo alcuni dei reperti provenienti dalla celeberrima Grotta dei Cervi di Porto Badisco…
…fra cui spicca questo volto figurato dipinto della Divinità Madre. Da un orlo di vaso del VI millennio a.C.
…oltre ad altri reperti ritrovati in grotta.
Il ricco panorama archeologico del Salento preistorico si fregia le sue bellissime Veneri di Parabita, due piccole sculture di donne incinte, datate attorno ai 14.000 anni, che nel 1965 il prof. Giuseppe Piscopo ritrovò all’interno della grotta, in località Monaci a Parabita, che ora porta il loro nome. Sono ricavate da due frammenti ossei di animale, forse di cavallo, alte una 9 cm e l’altra 6,1.
La Valle della Cupa, la grande depressione alluvionale del Salento centrale, ha restituito nel 1968 la più antica scultura in pietra del Salento: il cosiddetto Idoletto di Arnesano. Presso l’attuale Comune, in località Riesci, già Cosimo De Giorgi aveva individuato alla fine del 1800 l’esistenza di un villaggio del Neolitico, catalogando egli stesso numerosissimi reperti, fra armi, utensili in selce e ossidiana, oltre a tantissime terre cotte. Qui sopra, i vasi ritrovati nella sepoltura…
…oltre ovviamente alla statua, di grande suggestione visiva…
Nella grande collezione numismatica, una moneta che raffigura il mito di Taras, il fondatore spirituale dell’antica colonia spartana: circa 2000 anni prima di Cristo, mentre sulle rive italiche del mar Ionio Taras compiva sacrifici per onorare suo padre Poseidone, gli sarebbe apparso improvvisamente un delfino, segno che avrebbe interpretato di buon auspicio per fondare una città da dedicare a sua madre Satyria, da cui deriva il nome della odierna località di Saturo.
Come si diceva, le scene raffigurate su vasi e ceramiche varie riportano la quotidianità della vita di allora ma anche il mito: qui sopra vediamo quello di Prometeo (“colui che riflette prima”). Era un titano amico degli uomini e del progresso: rubò il fuoco agli dei per darlo all’umanità e subì per questo la punizione di Zeus che lo incatenò ad una rupe ai confini del mondo, dove un aquila andava ogni giorno a mangiargli il fegato, perché essendo egli comunque immortale, ogni giorno gli ricresceva. Fu poi sprofondato nel Tartaro, al centro della Terra. Ha spesso simboleggiato la lotta del progresso e della libertà contro il potere.
Qui sopra siamo davanti alla monumentale Tomba dell’Atleta, un uomo vissuto a Taranto presumibilmente nel V secolo a.C. e divenuto una leggenda…
…campione di diverse Olimpiadi, nei vasi accanto a lui vediamo scene di gare sportive…
…come la corsa coi cavalli o il pugilato…
…e grazie ad un gioco di specchi, guardando in alto, si può vedere il suo scheletro: era un uomo alto 1,70 m, un vero gigante per l’epoca.
Le sale che ospitano i reperti della sezione greco-romana mostrano una grandissima varietà di oggetti, sculture in marmo, mosaici pavimentali, tombe monumentali, sculture in pietra tenera, ceramiche delle necropoli, oreficerie. Due sale sono dedicate alle sculture in marmo risalenti all’età ellenistica. Un’altra sala espone sculture, mosaici ed epigrafi provenienti da edifici pubblici e privati, tra cui figurano le teste in pietra di carparo risalenti al periodo romano.
I mosaici pavimentali sono di estrema bellezza!
Fra i reperti più enigmatici c’è la statua di basalto del dio egiziano Toth, proveniente da Hermopolis e riferibile al periodo Saitico della XXX dinastia del VI sec. a.C., rimasta impigliata nelle reti di alcuni pescatori nel 1934 in prossimità dello scoglio della Malva, a Porto Cesareo. Quasi sicuramente il simulacro del dio della scienza, raffigurato nelle sembianze di babbuino, doveva far parte del carico di una nave oneraria romana, che rischiò il naufragio lungo le coste dell’antico porto di Sasina.
Un’altra grande scoperta del XIX secolo, che qui è custodita, sono le splendide statue delle Cariatidi di Vaste, che gettarono nuova luce sulla magnificenza dell’antica Basta, città messapica e poi romana, dove una ricca famiglia fece costruire questo monumentale ipogeo per accogliere i suoi morti. La struttura era costituita da tre ambienti, uno dei quali a cielo aperto, e gli altri da due camere accostate. L’ingresso era abbellito da 4 splendide statue di donna. Le 4 cariatidi sostenevano un sontuoso fregio, decorato da un bassorilievo che raffigurava la corsa di un carro trainato da leoni e guidato da guerrieri. Questa era una terra “ricca”, dalla preistoria in poi sempre ha dato la possibilità di crescere alle genti che l’hanno abitata. Osservando questo splendido Museo si comprende appieno anche questo! Da visitare, per chiunque voglia arricchirsi coi valori che servirebbero adesso, al mondo di oggi.
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Non fa piacere però vedere che i legittimi luoghi del ritrovamento non godano del poter esporre i reperti, invece conservati nell’accentratore museo di Taranto. Non vuole essere polemica ma conseguente osservazione sul dare diritto ai comuni e agli abitanti dei luoghi in cui sono stati trovati i reperti di poter detenere ed esporre in luoghi adibiti (sale dedicate o piccoli musei diffusi) le proprie origini e la propria identità rappesentata da questi ritrovamenti. Taranto dovrebbe cedere un bel po’ di manufatti ai luoghi di origine… Ci vorrebbe una legge aggiornata ma soprattutto giusta.