English-Italian version. Salento arcaico. Dolmen e Menhir, epicentri arcani di aree sacre primordiali dove venivano officiati riti alle divinità del cielo e della terra, si nascondono all’ombra di ulivi millenari.
Scenari rievocanti l’anima oscura del mondo si spalancano alla vista di dolmen, menhir e menanthol, che imperturbabili aspettano di risvegliarsi da un letargo atavico, dopo essere stati colpiti dal sortilegio del tempo che divora tutte le cose che crea.
Percorrendo il Salento in lungo e in largo si fanno incontri ravvicinati con questi giganti di pietra, depositari di antichi segreti, che si perdono nella notte dei tempi, allorquando risuonavano nel ventre della terra sonorità ancestrali riprodotte da inquietanti sciamani, che, oltre a praticare riti di guarigione, sovrintendevano a quelli di iniziazione segnati dall’impressione delle mani sulle volte delle grotte-santuario come quella dei Cervi di Porto Badisco considerata per il suo repertorio pittorico come la cappella Sistina della Preistoria.
Imponenti e maestosi con il loro fardello pesante come un macigno, dolmen e menhir ti aspettano al varco, immobili e silenziosi, incutendo un certo timore reverenziale, non solo per le loro forme stupefacenti e le loro dimensioni mastodontiche, ma anche per l’aura di sacralità che emanano.
Ad erigerli i popoli che si affacciavano all’alba della storia intrisi di miti cosmogonici e di superstizioni religiose, suggeriti da foschi presagi imprigionati nei lontani bagliori delle stelle, che rischiaravano le tenebre a gruppi di cacciatori intagliatori di ossidiana, destinati a trasformarsi da pastori in agricoltori, seppur condannati a rimanere ancorati ad un’economia di sussistenza basata sul ciclo delle stagioni per la semina e i raccolti. In un ambiente così ostile la sopravvivenza del singolo e della comunità era garantita non solo dai rituali di rinascita e fertilità della natura, ma anche dalle cerimonie di purificazione accompagnate da preghiere rivolte alla dea-madre per invocare la fecondità e la virilità umana.
Per ottenere la potenza fecondatrice si plasmavano nella pietra a volte organi sessuali maschili e femminili altre volte idoletti, come quello rinvenuto ad Arnesano,
anche se la scena era dominata dalle spettacolari statuine con il ventre prominente, identificate come Veneri, sulla scia di quelle venute alla luce sulle Serre di Sant’Eleuterio a Parabita.
Nel delirio mistico di liturgie e libagioni tra il Neolitico e l’età del Bronzo tra solstizi ed equinozi si delineò il volto della più antica architettura di pietra incentrata in qualche caso intorno a cromlech caratterizzati da cippi disposti a semicerchio quasi a demarcare i recinti litici in cui venivano officiate le cerimonie cultuali e funerarie.
Primitivi osservatori astronomici, intimamente connessi al culto del sole e della luna i monumenti megalitici furono innalzati per delimitare terreni, segnalare luoghi di culto, seppellire i defunti, assorbire l’energia vitale emanata dalle forze telluriche. In qualche caso, come le specchie, costituite da cumuli di pietrame informe, dall’alto delle quali si avvistavano i nemici che incalzavano verso il villaggio, forse vennero sopraelevate in atto di sfida verso il cielo, che colpiva la terra con la folgore, riducendo tutto ciò che sfiorava in cenere.
L’intervento millenario dell’uomo artefice di queste pietre fitte, incastonate nel terreno come le tessere di un mosaico, lentamente ma inesorabilmente trasformò il paesaggio, costellato di boschi e foreste, che divenne scrigno di queste meraviglie diaboliche che trionfavano prima del sincretismo tra culto pagano e cristiano sancito con il segno della croce.
A detenere il primato della più alta concentrazione di megaliti in Italia, dopo la Sardegna, si attesta il Salento che, a torto o a ragione, per molti rappresenta una Stonehenge in miniatura come suggerito dallo straordinario giacimento attestato nella rigogliosa campagna di Minervino di Lecce intorno allo spettacolare dolmen Li Scusi (foto sotto).
Nelle campagne di Calimera e Melendugno sonnecchiano invece i dolmen Gurgulante e Placa, mentre a Giurdignano cresce rigoglioso il “giardino megalitico d’Europa” che si perde nei meandri della ragnatela di San Paolo che liberava dal morso del ragno. A un tiro di schioppo dal fondo Quattro Macine, interessato da un insediamento medievale, in agro di Giuggianello troneggia il dolmen Stabile mentre tra Zollino e Martano si snoda un filare di megaliti che punteggiano un territorio un tratti selvaggio.
Benvenuti nel regno dei megaliti innalzati dall’uomo ed abitati in tempi lontani, secondo la superstizione popolare, da giganti, gnomi, ninfe e fate. Una dopo l’altra, infatti, non tardarono a fiorire le leggende come quella che avvolse nel mistero la collina incantata dei fanciulli e delle ninfe, dove furono scolpiti in età miocenica i “Massi della Vecchia”. In questo angolo remoto del Salento il silenzio è rotto soltanto dal rumore spettrale del fuso, che consentiva alla vecchia di filare la lana mentre rivolgeva domande da sfinge ai viandanti, che arrivavano nel suo antro sperduto. I malcapitati che non riuscivano a rispondere venivano pietrificati, mentre coloro che superavano brillantemente i suoi quesiti sibillini venivano ripagati con un gallina con sette pulcini d’oro come in una favola.
Eppure quella dei megaliti non è una favola, ma un’affascinante storia scolpita in un libro di pietra sfogliato dal vento e modellato dalla magia della natura (Lory Larva).
GALLERY. IL MEGALITISMO DEL SALENTO
Salento has a soul made of stone. The most ancient and authentic landscape of this millenary land, has been forged in stone since the Neolithic in the form of dolmens, menhirs and specchias. A panorama like this, with such a high number of artifacts, can be seen only in Sardegna and here.
The dolmen is the eldest of the monuments, consisting of two or three stone plates supporting a bigger plate placed horizontally on top of the vertical ones: the construction resembles a table, and this has given light to the belief hat they were prehistoric altars used for sacrifices by the cult of the Neolithic population. Actually the dolmen are tombs which were erected towards the end of the 5th millennium BC in the entire Mediterranean area. The biggest dolmen in Salento is found in the countryside of Minervino and is 3,80 metres wide and 1,10 metres tall. Between Maglie and Giurdignano you can find various other examples, though up until the end of the 20th century many of these monuments were destroyed by negligence and vandalism, even if already noted by scholars of the time. The term “dolmen” derives from two Breton words meaning “stone” and “table”.
Also when it comes to the menhir, the terminology comes from North Europe (where the first studies on megaliths were conducted), the word derives from the combination of the terms “stone” and “long”: It is a much more simple construction, but much harder to interpret. A very long monolith, in some cases very rudely cut, which was driven into the ground. The tallest menhir in Salento can be found in Martano, it is almost 5 metres tall and among the tallest in Italy. There are about hundred of them in Salento, but juts as many have been destroyed, as proved by the testimony of the scholar Cosimo De Giorgi in the end of the 19th century. There have been many theories as to dating and the meaning of the menhir, but to this day there is no unanimous agreement or common idea. They are generally said to go back to the late Neolithic.
Prof. Paul Arthur has a different theory when it comes to the menhir of Salento, he thinks they were erected in the early Christian time when this territory was evangelized and there was no economical possibility to construct churches: the monoliths then became the holy stones around which the early Christians communities began their worship. In any case, almost all the menhir were Christianized during this period, when a cross was affixed to them.
During the restoration of a sixteenth century church in Morciano di Leuca, a menhir was discovered incorporated into the apse and covered with a fresco of the Madonna.
A “taking possession” of ancient places which have been seen elsewhere in Salento as well, as in the case of the perforated stone in Calimera: a stone, or rather a protuberance of the bedrock, with a hole in the middle through which, on Easter Monday, a “passage” is practised as an auspicious rite, which recalls ancestral cults linked to the rites of fertilization and mother earth.
Also the menhir on the Manfio hill in Ruffano has a hole: for sure it has to do with this widespread idea of the ancient populations.
The stone of Salento has been shaped by rites, beliefs and religions, but it has never been abandoned by its people who has kept it in their memory as a genetic code written under the skin.
Sopra e sotto siamo in agro di Giurdignano, i menhir “Anfiano I e II, entrambi ritrovati dall’archeologo Cristiano Donato Villani, seguendo le descrizioni ottocentesche di Cosimo De Giorgi. Il secondo presenta una vistosa croce incisa sopra uno dei lati.
Another characteristic of the stony landscape of Salento are the specchie: small artificial hills of a height of 10-15 metres, constructed with extraordinary heaps of inform stones. They are believed to date back to the Neolithic, but were also used by the Messapi population to control the territory and the pastures of the animals. They can be found in strategic positions and for certain were used as lookouts. Recently an earlier dating has been proposed, as late as the Medieval Ages. The Normans for example, used to raise embankments to build small wooden forts on top of these artificial hills, as it happened in Salento as well (near Supersano). Still, the 15th century scholar, Antonio de Ferrariis, called the Galateo, who travelled this territory and left a book behind with his descriptions, seems very unsure on what the meaning of these specchie might be: near Casalabate the Specchia Calone was once found, 20 metres of height (destroyed in the twentieth century to cover ponds in the area), and he describes it as a castle in ruins or even a tomb of a hero, of the model that was used on the other side of the Adriatic. It seems strange that the memory and the purpose of its medieval function would have been lost already at his time.
But this is a passionate argument among a lot of people, so let us wait and see, as will I, for further discoveries and findings from the memory of our ancient forefathers, who founded their world on stones.
Sopra, il menhir di Stigliano (Carpignano Salentino), ritrovato dall’archeologo Cristiano Donato Villani e i suoi amici non più nel sito originario.
Latiano, lungo la via per San Vito dei Normanni: siamo presso Masseria Tarantini. Il menhir è alto e imponente, presenta la classica scanalatura sulla sommità, e una croce patente ben marcata.
Palmariggi, presso il Santuario di Montevergine, quindi non lontano dall’omonimo menhir: altro monolite.
Una lunga serie di monoliti costellano i dintorni di Maglie e la Grecia salentina (sopra, alcuni di essi), definirli menhir sarebbe forse eccessivo. Inoltre, un contadino mi raccontava che queste pietre furono infisse per delimitare le terre dove non si poteva cacciare, ed alcuni hanno anche conservato la banderuola in metallo sulla sommità. Hanno tutti la stessa forma di lavorazione.
Un discorso a parte invece per la teoria, sviluppata dal Prof. Paul Arthur, docente di Archeologia Medievale presso l’Università del Salento, che sostiene un’origine medievale di queste pietrefitte: una sorta di “chiesa”, di luogo di raduno per i fedeli, quando le chiese non si potevano costruire (si parla del periodo in cui il Salento era sotto il dominio bizantino), e questi monoliti sostenevano una croce sulla sommità. Come in questi esempi (ma ce ne sarebbero altri), nella foto sopra siamo all’interno della Madonna del Casale, a Brindisi. Sotto, il monolite davanti alla Chiesa Madonna di Costantinopoli, a Merine (Lizzanello).
Personalmente ho raccolto una testimonianza a Giurdignano, da “Mesciu” Giuseppe, che pascola le sue pecore in quelle campagne. Lui ricorda, dai racconti del padre 80 anni fa, che in quei tempi i menhir li usavano per segnalare il luogo, far orientare chi tornava al paese, quando non c’era illuminazione pubblica. É una testimonianza che ci permette di capire forse l’origine di quel taglio, a volte un foro, che si trova in cima a molti dei monoliti di questa terra. Sarebbero stati riconvertiti in epoca moderna a lampada a olio, nei luoghi strategici.
Molto particolare il monolite di Trepuzzi.
…mi ha fatto venire in mente le croci monolitiche che si trovano presso un cimitero medievale, nel villaggio di Kalugerica, Regione Shumen, Bulgaria (foto sotto).
La mia personale caccia al tesoro nel Salento megalitico ha molti amici e studiosi da cui prende spunti, aiuti e segnalazioni: sotto, condivido con tutti voi il monolite fallico custodito dal prof Alfredo Calabrese nella sua casa di Campi… una pietra veramente emblematica…
Ma responsabile in modo particolare di questa mia galleria, oltre la mia innata passione, è Alberto Signore, vecchio cavaliere d’altri tempi, che mi ha aizzato come un segugio nelle mie ricerche e passeggiate sul territorio (Alberto gestisce un’interessante Associazione turistico-culturale, www.amicideimenhir.it). Qualcosa potrei averla trovata, di cui non ho trovato traccia fra le fonti (ma non pretendo di essere affidabile!)…
Sempre in tema di ipotesi: la collina del Casale a Ugento, nasconde dietro la chiesetta alcuni monoliti, questi due sopra di grandezza impressionante, utilizzati come colonne di un ingresso. Non sappiamo se fossero semplici pietre o monumenti asportati dal luogo originario. Poco distante, un cippo (?) posto sul bordo di una via campestre…
…non è molto alto, e presenta sulla sommità dei canaletti (foto sotto).
Sopra, Castrignano dei Greci, un altro monolite, circondato da un rivestimento di chianche. Si trova di fronte ad una strada carraia, in cima ad una piccola altura dal fondo roccioso affiorante.
Alberto Signore ha trovato molto di più. Nei pressi del famoso Dolmen Li Scusi, c’è quest’altro dolmen, enorme, crollato su se stesso, e che conserva sulla lastra che doveva essere quella di copertura un foro…
…oltre ad un menhir che pare essere stato abbandonato sul momento della sua costruzione, perché la lastra si era lesionata.
Un menhir nella zona industriale di Melpignano, che conserva ancora quei tagli sulla parte superiore della lastra, che abbiamo visto già in diversi altri megaliti…
La “Venere di Giuggianello”, scolpita su un enorme monolite fra i Massi della Vecchia. Passa del tutto inosservata perché si trova un pò defilata rispetto al maggioranza dei massi, posti al centro. Ma a guardarla bene, già in questa foto si nota sulla parte alta la riproduzione del viso, e poi le braccia che scendono lateralmente, e le mani che convergono sulla pancia, decisamente gravida! Le gambe sono più minute, come nella più classica rappresentazione delle Veneri preistoriche. Pare esserci persino un foro, là dove si trova la vagina… Non meno importante questo gigantesco e quasi ancestrale menhir che si trova nel sito del villaggio preistorico di fronte all’isola di “Pazze”, Ugento: alto svariati metri, dalla forma arcaica, simile a quelli che si trovano in Gran Bretagna, è caduto in chissà quale epoca, rompendosi in tre enormi blocchi…
E’ impressionante la somiglianza con il grande menhir caduto in Bretagna, a Locmariaquer, di cui sotto vediamo una foto tratta da Wikipedia (broken menhir, Wikimedia Commons), in cui si vede il gigante rotto in 3-4 tronconi.
Nel Salento di megaliti se ne contano parecchi oltre il centinaio. Quelli che furono distrutti, purtroppo, altrettanto. La cosa che rincuora è che ce ne sono diversi altri che attendono di essere catalogati. La caccia continua, caro Alberto!
(English text by Alessandro Romano, translation by Annalisa Nastrini).
Dolmen: 28. Menhir: 81. Presunti: 20. Scomparsi: 1.
I dati, in aggiornamento costante, si riferiscono al materiale documentato in questa galleria.
Per tutti gli appassionati di Preistoria seguiamo l’aggiornamento costante anche di un altra galleria.
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