Secondo la leggenda in qualche scrigno occultato da secoli in un angolo remoto di Cavallino non ha mai smesso di pulsare il cuore di una marchesa molto devota a S. Domenico di Guzman. Nel desiderio di venerare quel santo, venuto da lontano, la nobildonna Beatrice Acquaviva d’Aragona tra il 1626 e il 1635 fece erigere una splendida chiesa
a suggello di un voto sublimato dall’amore che la legò indissolubilmente in vita come in morte al suo amato consorte, don Francesco Castromediano. Abbandonati nel loro tenero abbraccio, cristallizzato nella pietra, i due munifici feudatari sembrano sussultare e par che accennino ad un inchino, quando nel tempio sacro, da loro fortemente voluto, riecheggiano come una melodia antiche litanie e solenni prediche, sulla scia di quelle officiate ai loro tempi dall’alto del pulpito ligneo dai frati predicatori invitati per evangelizzare i contadini del loro feudo.
Nel rinnovamento spirituale medievale l’aura dei Domenicani si propagò a macchia d’olio, entrando in simbiosi con quella dei Francescani sino a forgiare la grande famiglia degli ordini mendicanti determinati a svolgere la loro missione di evangelizzazione, confidando nelle offerte dei fedeli e nella divina provvidenza. Con impeto infinito quell’aura mai affievolita è ritornata a rifulgere a Cavallino nella ricorrenza liturgica di S. Ludovico re di Francia patrono dell’Ordine Francescano Secolare conosciuto anche come Terzo Ordine Francescano.
E così nell’humus della fraternità un ramo della trilogia francescana si è innestato nel tronco dell’albero piantato nella casa domenicana, per riaffermare gli ideali di povertà e mendicità esaltati da austere esperienze di penitenza e di predicazione itinerante.
L’omelia al richiamo evangelico alla povertà francescana, illuminato dalla fiaccola della scienza, alimentata dall’olio della fede per combattere gli errori dei tanti caduti nel peccato e nella rete delle eresie contro cui si scagliarono i Domenicani, considerati i cani del Signore, è tornata prepotentemente a riecheggiare non da un pulpito, ma da un altare. A dominare la scena mons. Bruno Musarò, nunzio apostolico in Egitto e delegato presso l’organizzazione della Lega degli Stati Arabi, che ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica.
Nel corso della liturgia, intensa e partecipata, è stata evocata la figura carismatica di Luigi IX, per la Chiesa: Ludovico, il re santo, paladino di giustizia, del rispetto e della pace seppur crociato per ben due volte in Terra Santa nel disperato tentativo di liberare il Santo Sepolcro. Protettore degli Ordini Mendicanti S. Ludovico, definito dai Saraceni il sultano giusto, da laico condusse una vita incentrata sulla preghiera, sulla mortificazione della carne e sulla carità verso i poveri, invitando ad adoperarsi alla costruzione del Regno di Dio, così come emerge ancora oggi dal testamento spirituale lasciato in eredità al figlio.
Il re con il cilicio che invitata i mendicanti alla sua mensa è stato additato come esempio da imitare dall’arcivescovo Musarò, che da sempre si spende per combattere le ingiustizie e le povertà nelle terre di nessuno, dove è inviato come ambasciatore dal Vaticano. Ramingo per il mondo nelle rappresentanze pontificie di Corea, Repubblica Centroafricana, Bangladesh, e Spagna e come nunzio apostolico a Panama, Madagascar, Mauritius, Guatemala, Perù e altre terre d’oltreoceano, nonostante il forte attaccamento alle proprie radici salentine, l’alto diplomatico plenipotenziario del Santo Padre, ha contribuito al disgelo storico tra Cuba e gli Stati Uniti d’America prima di essere inviato come nunzio in Egitto con l’obiettivo di gettare un ponte tra le popolazioni in tumulto, che hanno visto cadere il gelo sull’effimero tepore della primavera araba.
Al termine della cerimonia di commemorazione di S. Ludovico i fratelli e le sorelle della fraternità ecclesiale francescana si sono stretti attorno al presule, per ringraziare di aver colto per grazia il dono di un’esistenza in Cristo e con Cristo, nutrendo la speranza di vivere sempre nella perfetta letizia con il creato. Coloro che hanno accolto l’invito ad aderire al Vangelo, così come Gesù anelava in modo semplice e scevro da interpretazioni mentali e orpelli materiali, hanno scelto di trascorrere, con fedeltà alla vocazione terziaria, una vita all’insegna della preghiera quotidiana e alla protezione di poveri, diseredati ed oppressi in sintonia con l’insegnamento del comune padre serafico: Francesco. Ma non solo, nel solco del poverello di Assisi che, affidandosi allo spirito del Signore, rispose all’invito: “vai a riparare la mia casa”, ossia la Chiesa, hanno costruito una dimora sulla roccia e non sulla sabbia per continuare a svolgere in maniera incondizionata la missione apostolica di restauro di quella Chiesa sposa mistica di Cristo in bilico tra luci e ombre.
Questi cristiani laici, evangelicamente impegnati nella propria condizione di vita secolare, senza se e senza ma, proseguono con umiltà sulla strada di un cammino di rinnovamento spirituale tra preghiera e servizio al fine di promuovere uno stile di vita più consono nella sfera delle relazioni umane, sforzandosi a favorire il dialogo, a costruire la pace e a spalancare le porte alla mediazione, così come perseguito a tutte le latitudini da mons. Bruno Musarò.
Nello spirito delle beatitudini con purezza di cuore e semplicità in piena aderenza al pensiero francescano si prodigano per continuare ad annunciare il Vangelo a tutte le creature, traendo linfa vitale dal messaggio del santo fondatore che continua a bussare alle porte del cuore.
di Lory Larva
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