Vi sono città che hanno una memoria talmente lontana nel tempo che tramite essa, quando i suoi resti sopravvivono al tempo e alla dimenticanza degli uomini, assume quasi un’immagine leggendaria, attraverso le sue pietre, i suoi luoghi, i ricordi di tutto ciò che fu la sua storia: Oria.
E’ difficile ricostruire tutta la storia di Oria, per via dell’assenza di fonti che aiutino gli archeologi nel grande lavoro di ricerca svolto negli ultimi anni. Le dolci colline attorno alle quali si raccoglie la città ancora oggi hanno visto l’insediamento umano in queste contrade sin dal Neolitico. E’ dal VII secolo a.C. che l’abitato assume i connotati di una vera e propria città, certamente influenzato dalla cultura ellenica, ma che ben presto innalza una propria civiltà, quella messapica, crogiolo di genti indigene e migranti d’oltremare. La città dovette ricoprire un ruolo estremamente importante, per via della sua posizione geografica, posta nel cuore del Salento, a metà strada fra Taranto e Brindisi. Tanto, che Strabone, geografo greco nato nel 60 a.C., riferisce che qui ai suoi tempi si notava ancora la reggia di un dinasta messapico, i cui resti si possono oggi ammirare nel sottosuolo della cattedrale oritana. Si tratta di mura veramente imponenti, che rendono subito l’idea della potenza del personaggio, che istallò il suo basileion proprio sull’acropoli, la parte più alta della città. Lo scavo archeologico ha riportato alla luce un raffinato mosaico a ciottoli raffigurante la scena di un leone che assale un cervo. L’alto livello artistico del mosaico confrontabile solo con le più grandi produzioni greche (Pella ed Eretria), rimanda proprio ad un edificio di prestigio, che era enormemente grande. Questo mosaico è stato ritrovato nel sottosuolo del vescovato: in pratica tutta l’acropoli era occupata quasi del tutto da questa sontuosa reggia. Tuttavia, la città intera è diventata oggi un libro di pietra, che il visitatore può scorrere incantato, camminando sulla sua Storia, grazie ad una rete che sta nascendo per mettere insieme tutti i siti e le emergenze culturali. Sotto lo sguardo della fortezza federiciana, nell’area archeologica “Salvatore Pasculli”, negli anni 90 del Novecento uno scavo archeologico riportò alla vista una serie di costruzioni che vanno dal VI secolo a.C. all’Età Imperiale Romana. Spicca un grande acquedotto messapico, costruito utilizzando un canale naturale, poi riutilizzato in parte dai Romani, al cui periodo risale la costruzione di una fontana, anche se poi, di tutta questa infrastruttura se ne perse subito l’utilizzo. Sono in bella vista due filari di mura dell’antica città messapica, il più recente è quello del II secolo a.C. In età Arcaica qui vi era insediato un quartiere di vasai, documentato dalla presenza di tre fornaci per la produzione di ceramica. Le fornaci, costruite in argilla e bolo pressato, erano costituite da un canale per l’immissione delle fascine di legno e da una camera di combustione circolare. Qui ne è rimasto il perimetro di una di esse, sovrapposta ad una sepoltura a cassa costruita successivamente, ma ne è anche stata ricostruita una a scopo didattico. Le tombe rinvenute sono 14 e sono databili dall’Età Arcaica al III secolo a.C. e sono del tipo a fossa terragna, a sarcofago e a cassa, formata e coperta da lastroni. Una in particolare è veramente enorme. Interessante la necropoli messapica di Piazza Lorch, che risale ad un periodo a cavallo fra IV e III secolo a.C. e forse utilizzata da un unico nucleo familiare. E’ strettamente collegata alla presenza di un pozzo, il quale potrebbe aver avuto una funzione importante nello svolgimento dei rituali funerari. Un culto cui i nostri antenati erano veramente legati. Il sentimento religioso è stato per l’uomo come la sua ombra. Sempre presente, fin dalla Preistoria. Prima ancora dei tempi, delle costruzioni umane, un santuario naturale, come a Oria. Salire su Monte Papalucio, verso il cielo azzurro, è senz’altro un’esperienza che riporta l’animo ai riti semplici e pieni di speranza di un mondo arcano e indomabile, di un uomo ancora pieno di paure di dei e titani da placare. Un tempo lontano, ma non abbastanza per farlo dormire per sempre nel profondo dell’inconscio umano. La collina si erge imponente di fronte alle altre alture circostanti, davanti alla città vecchia di Oria, il suo castello, la Cattedrale… Era questo il Santuario messapico. Un luogo speciale, dove forse per primi, fra gli indigeni della Japigia, si cominciò a usare la scrittura… Qui, a tornare indietro nel tempo, si rivedrebbero processioni di “fedeli”, intenti a portare le loro offerte alla divinità, invocando fertilità, raccolti, primavera… Nella grotta principale, da cui si vede bene svettante il famoso castello, non c’è rimasto niente che ci riporti a quelle consuetudini. Si può solo visitare questa ampia cavità naturale, intorno alla quale secoli addietro suonavano flauti e cembali, che accompagnavano i visitatori… ma i resti di questo piccolo mondo antico sono oggi custoditi all’interno del Museo Archeologico cittadino. Il Santuario era dedicato a Demetra e a sua figlia Persefone, divinità legate alla forza fecondatrice della natura, alla maternità, alla morte e alla rinascita. Per il suo carattere il Santuario era frequentato soprattutto da donne, che vi compivano complessi riti di purificazione, sacrifici di animali e offerte alle divinità. Questi doni, rivenuti in abbondanza nel corso degli scavi archeologici, erano costituiti da ceramica, statuette e oggetti di ornamento personale. Fra le ceramiche rinvenute nel santuario, molto interessanti sono le scene complesse come quella presente su un’idria che raffigura l’episodio dell’incontro tra Ulisse e Circe, dove la dea porge all’eroe un piccolo recipiente, contenente una bevanda rituale, e, imponendo la mano sulla testa di un cane, opera la metamorfosi. Qui vediamo il vaso e la riproduzione del disegno integrale. Il Museo è un contenitore straordinario, come una macchina del tempo. Visitando Oria, ne ammireremo ogni scorcio, ogni salita e discesa, ogni epigrafe rimasta sulle case, come il “Festina lente” di memoria augustea, “affrettati lentamente”. Il grande castello, al cui interno è custodita l’antichissima chiesa dei Santi Crisante e Daria. Nel 1958 gli studiosi la identificarono come la cattedrale del vescovo Teodosio (IX secolo d.C.) mentre negli anni 80 del Novecento Marina Falla Castelfranchi sottolineò la sua struttura architettonica del tutto simile ai modelli di Costantinopoli. Si tratta di un raro esempio di chiesa alto medievale posta nel cuore della città, in condizioni ancora eccellenti, situata in una posizione che interessò da sempre la sede vescovile e la relativa cattedrale. Purtroppo gli affreschi superstiti sono ormai pochi. Risalgono al 1200, tranne uno, seicentesco, che dimostra come la chiesa fosse ancora attiva, almeno fino al 1638. Facciamo una rapida carrellata fra i luoghi di culto oritani. La splendida cattedrale… che custodisce la cosiddetta cripta delle mummie. La chiesa di San Francesco di Paola, nei cui altari si possono ammirare graziose scene della Natività. Il vescovo Teodosio depositò nell’ipogeo di questa chiesa risalente al IX secolo, le spoglie di San Barsanofio. La seicentesca chiesa di San Pasquale… dove si può ammirare una sontuosa statua lignea di San Mauro, a cui è dedicata la cripta sottostante: risale al V secolo, e l’affresco che riproduce San Mauro è in realtà una contraffazione successiva, che in origine rappresentava San Basilio. La chiesa dei Domenicani, scrigno barocco ricolmo di tele e altari. La chiesa di San Giovanni Battista. La chiesa di San Francesco d’Assisi, che secondo la tradizione popolare ricorda il passaggio da Oria del santo. Sul muro esterno laterale della chiesa si trova il cenotafio che ricorda il principe Giovanni Antonio Del Balzo Orsini, di cui si vede bene lo stemma della sua famiglia, ed un’epigrafe che lo rammenta. Molto bello il gruppo statuario della Pietà, in pietra, che risale al Trecento, ed era un tempo conservato nella chiesa della Madonna della Gallana. E poi il Santuario di San Cosimo e Damiano, meta ancora oggi viva di culto e pellegrinaggio. Nelle campagne oritane chissà quanti tesori si nascondono, se solo si potesse indagare scientificamente tutto il territorio. Una stele paleocristiana si custodisce in una villa. Ipogei si aprono ovunque, come questo, che cela una croce di Lorena. La chiesa della Madonna della Gallana è l’ennesimo tesoro di Oria. Si trova a circa 5 km da Oria, lungo l’antico percorso della via Appia. Probabilmente esisteva già durante il periodo tardo-antico. Al suo interno inciso su un muro è stato trovato un antico gioco romano. Caratteristica della chiesa è la presenza di due cupole in asse, elemento che ne colloca la costruzione nel periodo altomedievale. Ospita interessanti affreschi, ed un paesaggio circostante che vide la frequentazione in tempi antichi. Oria ha molto ancora da raccontare. Non vi resta che venirci di persona, per fare un viaggio nella Storia.
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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