Otranto, 1480. La tragedia della distruzione della città, dell’eccidio dei suoi abitanti, nella cronaca di Ibn Kemal (nato a Edirne e morto a Istanbul nel 1534), cronista e testimone oculare della conquista turca, fa ancora più impressione. Di solito la Storia raccontata dai vinti non coincide mai con quella dei vincitori.
In questo caso, tutta quella violenza è restituita con identica fedeltà. Come di seguito, tratto da “Storie della Casa di Osman”, vergate su commissione del sultano Bayezid II, si evince in questo crudo racconto.
“Dalla Puglia, in cui ogni angolo è pieno d’oro e d’argento, trassero tanti schiavi e schiave i quali avevano visi più puliti delle acque e occhi fonte di bellezza, e di cui era impossibile stimare il valore. Se di tutto questo ottenuto si togliesse un quarantesimo, diventerebbe un tesoro per i mendicanti di tutto il mondo. Ne presero tanto che ad esprimere e a scrivere non resisterebbero la lingua e le dita. Nel luogo soprannominato c’erano molte opere rare, paesi, città grandi ed ognuno aveva nei suoi dintorni una campagna prospera e una infinità di villaggi.
Alli 28 del mese di luglio, di venerdì mattina, Ahmed Pascià si e presentò in Otranto con galere ventiquattro, galeotte e fuste 78 e pantanaree 30 (132 navi) con li quali portò 400 cavalli e 16.000 fanti, nove grosse bombarde, cerbottane ed altre sorte diverse d’artiglieria al numero di 400; e discesi li cavalli in terra, subito discorsero per la provincia e fero grandissima preda, saccheggiando e bruciando molti casali ed ammazzando molta gente. Gli infedeli fuggiti, entrarono nel castello e chiudendo la porta del castello aprirono il portone della guerra.
I cannoni respiravano come bocche di giganti e quando alcuni fra i soldati infedeli come diavoli volevano farsi vedere, palle di pietra portavano via le loro teste e i loro corpi rimanevano attaccati accanto alle mura. La pianura accento alla città si era trasformata in un mare di ondate di ferro; con il luccicare dei terrapieni e con lo splendore dei caschi di acciaio si erano congelati nel cielo la luna e il sole. Ahmed Pascià ordinò agli eroi di andare contro il nemico, gli eroi si infuriarono come il Nilo e attaccarono con le spade sguainate che ardevano come fiamme spegnendo con le spade il fuoco dei corpi vili di quegli infedeli cani da inferno, e atterrarono quegli orgogliosi con la punta delle lance. Quei perfidi, quei vili si spensero come arbusti presi dal fuoco. Dei cadaveri dei soldati di ponente (ossia gli otrantini) era pieno il campo di battaglia. Sconfitto il nemico perfido, i vincitori, soldati combattenti per la vittoria dell’Islam, dei prigionieri vendettero alcuni e alcuni li uccisero. I soldati dell’Islam, combattuto per un po’ di giorni con quelli di fede errata (fra il 12 e il 14 agosto 1480], avendo trasformato in un cimitero la città agli occhi degli infedeli perfidi, con la forza presero la fortezza; nell’interno, spazzarono via tutto e ottennero migliaia di prigionieri, donne, bambini, vecchi, giovani.
Poiché quei miserabili dal carattere di scorpione (si riferisce gli ottocento Martiri) non erano disposti a convertirsi alla vera religione, presero di mira con le frecce i loro petti pieni di rancore. Mandando al fuoco dell’inferno, con la spada, gli infedeli di quel luogo”.
La Storia del mondo è colma di “infedeli”. Ai posteri le memorie di essi, per la sentenza definitiva del Tempo.
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