Palagianello, situata sulle Murge tarantine, antica cittadina strettamente legata alla remota consuetudine dell’uomo di vivere in cavità scavate nella roccia, si mostra ancora oggi al visitatore con la sua immagine storica praticamente intatta.
L’attuale centro urbano sorge infatti a ridosso della gravina difesa naturale dell’insediamento, sui cui lati si è sviluppato nel Medioevo un complesso e articolato villaggio rupestre, forma insediativa assai diffusa fra Puglia e Basilicata, per molti secoli complementare e non subalterna al centro. Il villaggio rupestre si sviluppa in particolare sul versante orientale della gravina, immediatamente al di sotto del Castello, la cui costruzione fu iniziata nel secolo XVI dalla famiglia dei Domini Roberto.
L’attuale borgo nasce a inizio XVI secolo, con l’intenzione di ripopolare l’insediamento medievale, sicuramente disabitato nella prima metà del XIV secolo, ma forse già alla fine del XIII, che i documenti identificano prima come Palajanum e poi, in seguito alla fondazione in pianura dell’abitato di Palagiano, come Palasciano Vecchio.
La vitalità del Casale del XVI secolo si evince anche dal recupero di alcune delle chiese rupestri disseminate lungo la gravina.
Qui, uno sguardo alla grande sala interna del castello, con lo stemma dei feudatari sulla volta.
I documenti del XVI e XVII secolo, ci informano che, una volta oltrepassato l’arco di quella che oggi è chiamata Porta dell’Orologio, ci si trovava di fronte ad un quadrilatero di case a schiera, che delimitavano, allora come oggi, una piazza con al centro la chiesa di San Pietro ed in alto, in posizione strategica e dominante, il castello.
Sentieri e scalinate permettono ancora oggi di attraversare, almeno parzialmente, il villaggio rupestre, composto di decine di grotte scavate su più piani. I vani rupestri nella parte alta dello spalto sono stati utilizzati fino a pochi decenni fa ed oggi sono oggetto di interessanti forme di recupero da parte dell’Amministrazione Comunale e di privati.
Entrare in questo immenso scenario naturale all’alba, è stata per me un’esperienza affascinante!
Oltre alle abitazioni, in rupe, si distinguono anche gli ambienti di lavoro, della comunità. Qui siamo in quello che sembrerebbe un frantoio, per via della struttura circolare situata al centro della sala, che certamente ospitava una macina.
Tutto il versante della gravina è stato tenacemente modellato dalla mano umana.
Ovunque, ambienti concepiti per la raccolta dell’acqua piovana, bene prezioso come la vita stessa.
Per giungere all’antica Chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie bisogna percorrere un tortuoso tracciato che inizia all’altezza del Castello per terminare, dopo circa 240 metri. Originariamente doveva essere solo un sentiero che portava alla cripta di San Girolamo. Questa strada ha una lunga storia di eventi franosi provocati da infiltrazioni di acqua pluviale. Danni si verificarono nella notte fra il 1º ed il 2 dicembre 1924, quando una frana interessò la strada per una lunghezza di circa 10 metri. L’evento fu di portata tale da indurre il Sindaco dell’epoca ad emettere ordinanza di sgombero di tre case-grotta abitate da altrettante famiglie. I processi erosivi delle piogge, le infiltrazioni, le alterazioni chimiche provocate dalle acque di circolazione ed altre cause naturali oltre all’intervento dell’uomo, hanno creato le premesse per altri crolli. Il 2 dicembre 1958, infatti, agli abitanti di altre due case-grotta fu ordinato lo sgombero; ancora due ne furono emesse per un evento franoso verificatosi il 24 aprile 1961 fino ad arrivare ad un’ordinanza, emessa il 16 marzo 1968, di totale chiusura della strada con conseguente divieto di accesso. Uno degli ultimi crolli è quello avvenuto il 4 novembre 1984, a seguito del quale il Sindaco dell’epoca emanò ulteriore ordinanza, in vigore fino al 2001, con la quale vietava l’accesso ed il transito della “Via Antico Santuario”.
Qui sorge il Santuario della Madonna delle Grazie. I primi documenti che lo riguardano lo presentano già aperto al culto, ma tacciono sulle sue origini. L’esistenza di questa Chiesa non è documentata da testimonianze scritte anteriori al XVII secolo. Ne parla per la prima volta, per quanto risulta dai documenti finora consultati, Mons. Luigi della Quadra, Vescovo di Mottola, nella sua relatio ad limina del 20 ottobre 1670 dalla quale apprendiamo, fra l’altro, che la Chiesa di Santa Maria delle Grazie aveva un patrimonio di 800 fra pecore e capre, il cui reddito, per colpa del suo predecessore, andò perduto dal momento che il gregge parte fu venduto e parte ucciso. Nell’apprezzo della Terra di Palagianello redatto il 1º settembre 1676, il Regio Ingegnere Luise Nauclerio fa sapere che “…Vi è una cappella di Santa Maria delle Grazie sita nell’ultimo della strada verso la detta Gravina di Castellaneta (Palagianello), posta dentro una grotta, cavata nel monte con diversi nicchi, la Sagrestia, Campanile e Campana piccola, vi è una fabrica principiata per abitazione di convento, ed altre comodità, nell’ultimo vi è un piccolo giardino con cisterna d’acqua con chiava di bronzo e cavalletto per uso dei servizi di detta acqua, la quale Cappella semprè stata delli Padroni fatta a loro spese, e quelli l’anno somministrato ogni cosa per suo sostentamento, e divini officij, e come anche si vede l’arma dipinta in d.ta Cappella degli olim D.ni Roberti. In detta Cappella vi si celebrano alcune messe la settimana e Monsignore di Mottola ha eletto per suo arbitrio un cappellano per la celebrazione di dette messe, quali si pagano dall’Entrata, che detto Monsignore riceve dagli animali pecorini e caprini che pascolano nel suo territorio, che tiene a Massafra…” Dal documento si ricava in modo esplicito che la “Cappella” è stata scavata nella roccia calcarenitica tra il XV ed il XVI secolo, tenuto conto che i Domini Roberti, con certezza, sono stati feudatari di Palagianello dalla seconda metà del Quattrocento. Un documento, conservato presso l’Archivio Capitolare di Castellaneta, riporta la notizia della visita fatta al Santuario di S. Maria delle Grazie da Mons. Lepore, il quale scrive di aver trovato tutto in perfetto ordine, il Santuario ben conservato e ancora meta di pellegrinaggio. Un evento calamitoso colpì l’antico luogo di culto nel 1885. La notizia è riportata da Marco Lupo il quale scrive: “Fò notare al lettore che il terremoto, avvenuto nell’agosto 1885, l’urto di una frana, distaccatisi dall’altopiano, ne sfondò la sua volta, restando incolume il solo altare maggiore ed un dipinto, che porta la data 1608”. Solo una parte della Cripta fu immune dalle conseguenze del terremoto.
Tutto intorno al Santuario, c’è l’insediamento rupestre, molto più antico.
Suggestivo questo scenario di cava. In cima alla grande parete di roccia, una delle diverse chiese rupestri della gravina.
Costeggiando lo strapiombo, qui siamo giunti davanti alla chiesa rupestre di San Girolamo…
…non è l’entrata principale, da qui si entra in alcuni ambienti adiacenti.
L’interno della chiesa è di forma trapezoidale, diviso in due aule. Nella parete di fondo si aprono cinque nicchie, con quella centrale molto profonda e con due altari in quelle poste alle estremità, a configurare una sorta di santuario; rimangono tracce di affreschi databili al XIV e al XV secolo e numerose iscrizioni e sinopie di affreschi probabilmente mai portati a termine.
Questa è la facciata con l’ingresso principale…
…e questa è la prima visione di insieme.
Gli altari sono sapientemente ricavati e modellati dalla parete rocciosa…
…nella nicchia posta sopra questo altare si notano tre piccole e profonde croci incise sulla parete.
All’interno della chiesa c’è una cisterna che raccoglieva l’acqua piovana. Da notare la sua perfetta forma concentrica!
Qui si nota un santo eremita, ma non facilmente riconoscibile.
Gli altri affreschi sono perduti, quel che resta sono solo lacerti…
…mentre sul lato sinistro della chiesa…
…si intuisce quello che doveva essere un affresco davvero meraviglioso: era una Madonna con Bambino, di cui si nota la tenerezza del piccolo Gesù che accarezza il volto della Madre che lo tiene in braccio.
Sul bordo della gravina, oggi come allora, crescono sulla nuda roccia fiori e piante di cappero.
Dal borgo soprastante ascolto il suono delle campane, alle sette del mattino di una domenica di sole che riempie la vallata di serenità…
…tutto è pace, intorno…
Scendo lungo un sentiero sottostante…
…per esplorare le altre abitazioni…
…si resta sempre di stucco nel notare la capacità tecnica degli antichi abitanti di questo villaggio.
Qui, sto per entrare in quella che sembra una gigantesca cisterna per la raccolta delle acque…
…una parte del fondo è crollata, verso la gravina…
…la pietra è stata modellata come il burro!
Questa è la casa forse più fascinosa: posta nel mezzo del dirupo.
Il tetto di legno è sparito ormai da tempo. Resta in piedi il camino con cui questa famiglia si riscaldava e cucinava… sembra quasi di ascoltare il conforto familiare, alla sera, quando tutti erano riuniti attorno al fuoco.
Nella giornata libera dal lavoro, cosa c’è di meglio che inseguire le voci che chiamano sommessamente, in quest’epoca di rumori? Così, eccomi unico abitante di un antico villaggio rupestre, mentre dal paese nuovo, di sopra, suonano ancora piano le campane, mentre sono appena uscito da una chiesa dismessa da secoli… e da case disabitate, frantoi, luoghi dove la vita sudava tanto tempo fa. Fra gli odori che salgono dal fondo del dirupo, e i fiori che continuano a crescere come hanno sempre fatto. E tutto racconta della fatica del vivere, ma anche della fiducia e riconoscenza verso essa.
(info tratte dai pannelli informativi del Comune e da Wikipedia)
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