Avrebbe voluto fare la guida turistica nel Salento, oppure l’archeologo. Così non è stato. Anche se, a vario titolo, con le mani e con il cuore, ha contribuito in maniera importante a diventare un vero e proprio “megafono” di questa terra. Alessandro Romano, classe ’75, ha cominciato, più di vent’anni fa, a lavorare come operatore e regista
presso l’emittente salentina Telerama, per programmi come “Salento d’Amare” e “Terre del Salento”. Ha prestato il suo obiettivo fotografico a diversi libri di natura storico-archeologica. È inoltre scrittore di due romanzi di successo.
He dreamed to become a tourist guide or an archaeologist. It didn’t turn out like that. But his hands and his heart has still contributed in him becoming a true voice of this territory, More than twenty years ago Alessandro Romano, now 43, began working as an operator and director with the local television network Telerama on programs such as “Salento d’Amare” (lovable Salento) and “Terre del Salento” (The Land of Salento). He has been the photographer on several books on natural history and archaeology. And he is the author of two successful novels.
Alessandro, da più di vent’anni ormai, racconti il Salento, con vari mezzi e linguaggi. Da dove nasce questa passione e dove ti porterà? “Comunicare” qualcosa, qualsiasi cosa, ad ogni livello, sia tramite scrittura o mezzi audiovisivi, necessita un quotidiano e costante faccia a faccia con la nostra immagine nello specchio, un dare corpo agli ideali con cui siamo cresciuti che non ammette pause. L’intima e personale via della vita per alcuni nasce per caso e sembra procedere come frutto di coincidenze indipendenti da noi. In realtà, io non credo al caso: è vero, cominciai a scrivere a 12 anni perché volevo essere simile ad una ragazzina che mi piaceva molto, in classe, che era l’unica che conoscessi che esercitasse quotidianamente la scrittura, con il suo diario. La penna, per uno come me estremamente riservato e solitario, fu curativa e incoraggiante. Ma di tutti i miei cassetti ricolmi mai niente sarebbe uscito senza la spinta di mia moglie, che mi ha quasi costretto a uscire dal guscio! Nel mio primo romanzo raccontai dei lumi che mi hanno guidato, io sono l’uomo cresciuto coi poemi cavallereschi, che ha aspettato solo la donna della sua vita, che ha baciato solo lei, che ha fatto l’amore solo con lei, che se non l’avesse incontrata sarebbe rimasto solo il resto della vita, perché un ideale è tale solo se lo si innalza oltre se stesso e il “successo”, nella propria vita. È questa la sintesi della mia scrittura.
Alessandro, for more than twenty years by various means and languages, you are teaching us about Salento. How did this pasion of yours begin and where has it brought you? To communicate something, anything, at any level, through the written word or through other media, you need to look your own reflection in the eyes on a daily basis, a non-stop bringing your childhood ideals into reality. For some their personal journey in life is chosen by coincidence and seem to proceed as a fruit of coincidences outside their control. But i do not believe in chance: It’s true that I started writing at the age of 12 because i wanted to be like a girl in class I liked and who was the only person I knew who wrote on a daily basis, in her diary. For somebody like me who is extremely reserved and solitary, the pen became a cure and an incouragement. But nothing would ever have left my drawers stuffed with writings without the pressure from my wife, who basically forced me to come out of my shell. In my first novel I talked about the lights who have guided me, I am a man who has grown up with poems of chivalry, who has always waited for the woman of his life, who has kissed only her, made love only to her, who would have lived alone if he had never met her, because an ideal is such only if it rises above the self and the search for “success” in your life. This is the synthesis of my writings.
Oltre che operatore tv e regista, sei anche un apprezzato e premiato scrittore. “Lento all’ira”, il tuo ultimo romanzo, è stato definito “un romanzo dal cuore salentino”… I premi che “Lento all’ira” sta raccogliendo in tutta Italia li vedo come un canto alla mia terra, non una celebrazione dell’autore. Io letteralmente scompaio, quando narro, non sono io, è il Salento tutto che parla. Io ascolto voci, fotografo luoghi, osservo volti, rifletto sui discorsi che capto per le strade, e vedo tutto come la logica conseguenza del lungo cammino della Storia di questa nostra piccola terra. Che era il centro del mondo, del Mediterraneo, la porta da cui entravano o uscivano le genti di ogni dove, il suolo dove viveva una gente frutto della commistione di tutto questo mondo: i Messapi fondarono grandi città, le difesero con gigantesche muraglie, avevano una loro scrittura, una loro identità, pur essendo figli del Mediterraneo, eppure non avevano interesse ad espandersi, colonizzare altre terre come facevano i Greci, era come se fuggissero la Storia, volevano starne alla larga, non “farla”. Era come se più di ogni cosa interessasse loro questa terra, la loro unica “colonia”, e aiutare la propria madre, e imparare dal padre. Fu uno di loro, Quinto Ennio, a “istruire” i Romani quando essi imposero la loro forza: Cicerone lo definì il “padre della letteratura latina”, portò a Roma la sua cultura, che era quella di questa terra, parlava tre lingue, diede loro le chiavi del “Mare Nostrum”. Di cui il Salento era il cuore.
Apart from working as a television operator and director, you are also a succesful and awarded author. Your first novel “Lento all’ira” (Slow to Anger) has been defined a novel with Salento in its heart… I see the prices that “Lento all’Ira” is receiving all over Italy as a praize of my land, not of me as an author. I litterally disappear when I write, it is all of Salento that is talking. I listen to the voices, photograph places, observe faces, contemplate conversations I overhear on the street, and see all of it as the logical consequence of the long road of the history of our small territory. Which was once the centre of the world, of the Mediterranean, the gate where people from all over entered and left, a place where a people lived who was the result of the mixture of the entire world: the Messapi founded great cities with enormous walls, they had their own writing, their own identity despite being children of the Mediterranean, and yet they had no interest in expanding or colonizing other lands as the Greek did. It was as though they tried to escape history and avoid to write it. Like if nothing interested them more than their own land, their own “colony”, to help their own mothers and learn from their own fathers. It was one of them, Quinto Ennio, who instructed the Romans when they imposed their strength: Cicero defined him father of Latin litterature, brought his culture, the culture of this land, to Rome. He spoke three languages and gave them the keys to “Mare Nostrum”, our sea, of which Salento was the heart.
Nel romanzo racconti di “luoghi meravigliosi scaldati dal sole e dalla genuinità delle persone”. È davvero questo il Salento? Quando ascolto gli anziani, che hanno vissuto il Salento degli anni 50-60, io ascolto quello che la nostra terra è stata sempre. Aneddoti che ritornano da tempi ancestrali, convinzioni dure a morire, spesso incredibilmente così vicine alla realtà. Espressioni fulminanti, che la lingua italiana non può riprodurre: una signora mi sorrise una volta, che mi ero imbambolato ad ascoltarla e credeva non la seguissi più, e fece “ci sape a du stannu le pecore toi”. Mi è rimasta nel cuore. C’è sempre il mondo contadino, i suoi mestieri, che ruotano in ogni aspetto del tempo che corre, come sul mosaico di Otranto, nei cui tondi quasi mille anni fa il monaco Pantaleone ha voluto eternare. Questa autenticità la ritrovo in ogni uomo che riprende in mano una vecchia masseria, ci investe tempo e denaro, e senza brutalizzarla le ridona nuova vita, creando un agriturismo, un’azienda agricola, in cui ho trovato ancora l’anziano contadino che all’atto di cessione si presenta con un tronco di olivo secolare dalla strana forma, dicendo che è quello il vero segno del possesso, non l’atto notarile.
In the novel you speak of wonderful places heated by the sun and by the people”. Is this really Salento? When I listen to the old people who experienced Salento in the 50ies and 60ies, I hear what our land has always been. Anecdotes being told since the times of the forefathers, convictions that wont die, incredible but yet so close to reality. Explosive expressions that cannot be reproduced in Italian: once a lady smiled at me while I had stopped to listen to her, thinking i was nolonger paying attention, she said “who knows where you sheep have gone”. This has remained in my heart. The world of the farmer is never far away, their crafts that continue with the time passing like in the mosaic of Otranto where the munk Pantaleone immortalized them almost a thousands years ago. I see this authenticity in every man who take over an old masseria and invest time and money in giving it new life without ruining its beauty to create a holiday house or, a farm where I have still been able to meet an old farmer who presents himself at the sales act with an old strangely shaped olive log, insisting that this, not the deed, is the true symbol of possesion.
Il protagonista è un archeologo, forse il mestiere che, più di tutti, avresti voluto fare. Qual è, se esiste, la scoperta archeologica che avresti voluto portare alla luce tu? La nostra terra così fortemente antropizzata da secoli ha ancora poco da scoprire, in superficie: nelle mie escursioni sto ritrovando però molti ipogei non censiti, tutti da studiare, nelle cui discese sotterranee mi emoziono enormemente. Ma l’ipogeo dei miei sogni è sempre lei: la Grotta dei Cervi di Porto Badisco! Quando ero ragazzo sono stato anche a bottega da un barbiere, e lì conobbi Isidoro Mattioli, uno dei suoi scopritori. Non c’era giorno che non mi facessi raccontare un aneddoto di quella straordinaria avventura, un particolare di quei pittogrammi in essa rappresentati: rappresentano una “scrittura” che noi oggi non possiamo più “capire”, un messaggio di 6000 anni fa, lasciatoci dai nostri progenitori, che ha profondamente segnato chi lo ha visto coi suoi occhi. Visitare questa grotta è sempre il sogno della mia vita, che inutilmente cerco ancora di coronare! Vorrei potermi immergere in quelle profondità, e tentare la titanica impresa di ascoltare quel silenzio, il primo poema di questa terra!
The main character is an archaeologist, perhaps the job that, most of all, you would have liked to do. Is there an archaeological discovery you would have liked to have done? Our land is anthropized to such a degree that on the surface there is little left to discover. Still, on my escursions, I find many hypogeums not accounted for anywhere, waiting to be studied, and the descends to their underground entrances are extremely moving to me. But the cave of my dreams has always been the “Grotta dei Cervi” at Porto Badisco! When I was a boy I was an apprentice in a barbershop where I met Isidoro Mattioli, one of the discoverers of the cave. Every day I had him tell me an anecdote from that extraordinary adventure, a detail of the pictograms painted inside the cave – a writing that we are no longer able to understand, a message from 6000 years ago left behind by our ancestors which has left a deep mark in anyone who has been lucky enough to lay their eyes on them. To visit this cave is a dream of a lifetime, that I am trying to fulfill in vain. I would like to immerse myself in those depths and take on the titanic task of listening to that silence, the first poem of this earth!
Se dovessi proporre ad un turista il tuo itinerario, quali località toccherebbe? Nel Salento non basta una vita, figuriamoci un itinerario turistico che valga da sunto! Con fatica straziante, mi limito a consigliare un tour fra Ostuni e le sue contrade. Vale da classico esempio che esprime un po’ tutto quello che il Salento rappresenta: oltre il borgo antico, c’è una distesa di olivi millenari coltivati già dai tempi dei Romani, sormontati da grotte preistoriche di incredibile fascino, fra cui quella di Agnano, al cui interno nel 1991 il prof Donato Coppola scoprì la più antica mamma del mondo, una ragazza di circa 20 anni, morta di parto 28.000 anni fa, e sepolta dalla sua gente come se fosse una regina, con una corona di conchiglie, ed una mano sul grembo a proteggere quel bimbo mai nato. Il Museo cittadino contiene una sua riproduzione, ed è assolutamente da conoscere. Ma i dintorni custodiscono meravigliose masserie rimaste intatte da secoli, coi loro frantoi, le chiesette, i luoghi di lavoro di un piccolo mondo antico. E poi villaggi rupestri, santuari medievali, dolmen preistorici, e il meraviglioso borgo di Pascarosa, dove si erge il Trullo Sovrano: ecco, concentrato in pochi chilometri, tutta l’essenza di una terra che non ha mai smesso di essere se stessa.
What would the “Alessandro Romano Tour of Salento” be? Which unmissable locations would you propose to a tourist? In Salento not even a lifetime is enough, so just immagine a tourist itinirary which should be atleast a summery. I am limiting myself to recommend a tour of Ostuni and surroundings. This area is a classic example of everything that Salento represents: beyond the old village there is an expanse of millenary olive trees, cultivated since Roman times, surmounted by prehistoric caves of incredible interest, for example the Agnano cave, inside which, in 1991, Prof. Donato Coppola discovered the most ancient mother in the world, a young woman of about 20 years of age, dead during childbirth 28,000 years ago and buried as a queen by her people, with a crown of seashells and a hand on her womb protecting the child that was never born. The city museum contains a reproduction of her that is well worth getting to know. In the surrounding countryside country houses have been left intact for centuries with their oil mills and tiny churches, the workplaces of a small ancient world. Also rock settlements, medieval sanctuaries, prehistoric “dolmen” and the wonderful village of Pascarosa where the “Trullo Sovrano” stands – concentrated in a matter of few chilometres the entire essence of a land that has never stopped being itself. A cura di Annalisa Nastrini
(Testo tratto da “SalentoDove” di luglio 2018. Leggi la rivista completa)
SEGUE INTERVISTA A CURA DI RITA DE ROSA, RUBRICA “AUTORI DA OSCAR”, PER IL PREMIO “GOLDEN BOOKS” 2020, NAPOLI.
Il suo ultimo lavoro letterario risulta del tutto particolare: “Tsunami lento” infatti si distingue sia dal romanzo che dalla biografia, perché in questo testo lei non si è limitato semplicemente a scrivere una storia ma ha “riscritto” la storia di un uomo: Emilio Salgari. Che cosa l’ha spinta a “ricreare” la vita di questo grande scrittore?
Sono cresciuto all’ombra di Emilio Salgari, è stato l’apriscatole della mia percezione delle cose, delle persone, del mondo che mi circondava quando, avevo circa 8 anni, lessi il suo romanzo “Le tigri di Mompracem”. In quella sacra età tutto sembra gigantesco, i nostri sensi si dilatano oltre noi stessi, con una potenza che spesso non possiamo rivivere da adulti, crediamo veramente alle cose, con una fiducia spropositata verso la vita, con un’intensità che ha solo un bambino. Io stesso, leggendo quel libro, credevo che tutto ciò che era scritto accadeva realmente, lo scrittore era il mio mentore, mentre leggevo e mi indicava la strada. Della fantasia. Un valore che l’epoca moderna ha impantanato nei ragazzi di oggi, impigriti dalla facilità con cui ottengono le cose, essi non osano grandi slanci, l’ignoto rende sterile il campo fertile della loro fanciullezza, perché manca loro il desiderare ardentemente qualcosa, non vivono quel senso di mancanza, che si sviluppa anche nei momenti di noia, in cui non si fa nulla, che si indugia a guardare la forma delle nuvole. Questa lentezza, una parola che ho voluto spesso inserire già nel titolo dei miei romanzi, è la grande assente nel mondo di oggi, ma è stata per me la maestra di vita della mia infanzia. Un valore che si concretizzava nella lettura, che da quel primo romanzo ha fatto nido dentro me e non mi ha più abbandonato. Un valore che dovevo a lui, a Salgari. Crescendo, ho studiato la sua vita, la sua disperazione, il terribile finale, e così ho sviluppato questo indissolubile desiderio di fare qualcosa per lui. Che importava che fosse un uomo morto e sepolto? Lui aveva acceso in me una luce ed io volevo accenderne una per lui. Solo che non riuscivo a capire come fare. Dopo tanti anni, un giorno, davanti a quel porto di Brindisi, dove lui giunse nel suo primo e unico viaggio nel suo amato mare, si accese la luce del mio “Tsunami lento”, e capii che era proprio facendo un romanzo, per lui, che avrei tentato di ricambiare ciò che egli fece per me, e probabilmente fece per migliaia di ragazzi.
Nei suoi romanzi, la sua terra natia ritorna sempre, fa da sfondo alla storia, proprio come in “Lento all’ira”, tanto che viene da chiedersi se sia stato proprio l’amore per il Salento, a far nascere in lei la passione per la scrittura. E’ così?
Sono nato in Salento, il crocevia del Mediterraneo, una terra attraversata da tutti i popoli della storia, molti l’hanno solo percorsa per andare altrove, altri sono rimasti, e dai primi Neanderthal europei scoperti proprio qui, alla stupefacente tribù che pitturò la Grotta dei Cervi, dai Greci, ai Messapi, ai Romani, e poi Longobardi, Bizantini, Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni, infinite culture hanno trasmesso il loro dna alle genti che qui si sono susseguite nei secoli, creando un mosaico particolare, un popolo pacifico, che pure ha sopportato sommessamente ogni sorta di sventura, col grido “mamma li turchi” radicato per secoli nei bambini, che hanno visto deportare le loro famiglie lontano. Un particolare senso di accettazione del destino, quando i tempi si fecero difficili, ma non li rese astiosi, pur vivendo un’esistenza di lavoro senza riposo e senza gloria, senza che l’ingiustizia e l’incomprensione degli uomini potessero amareggiare o riuscire ad inasprire. Io non so se debbo a questa terra il mio incessante bisogno di scrivere, certo essa e la sua gente ha accarezzato la mia sensibilità, ed in modo tale che se dovessi mai partire e trasferirmi in qualunque altro angolo del mondo, sono sicuro che giungendo lì mi innamorerei di esso e ricomincerei a fare voli con la mente, guardando le nuove genti, la nuova terra, cercando ogni luce d’amore e autenticità, che sono doni propri della creatura umana e di questo mondo infinito. Perché viviamo in un mondo infinito, nella sua limitatezza, nella sua piccolezza. Ecco, questo è il lascito che mi ha trasmesso nascere in Salento.
Lei non è solo uno scrittore ma anche un regista: come riesce a gestire le due cose?
Quando anni fa pubblicai il mio primo romanzo, qualcuno mi disse che avevo inventato la “video-scrittura”. Non so bene cosa volesse dire. La mia prima direttrice della redazione giornalistica dove lavoravo (e dove lavoro tuttora) leggendo un mio racconto dove narravo una vicenda in tempo reale, però raccontata da più voci in prima persona che si alternavano, mi disse che avevo fatto una “ripresa con più inquadrature diverse”. Credo che la faccenda sia interconnessa. Scrivere e fare un racconto per immagini è diventato per me, negli anni, intercambiabile. Sono modi di raccontare diversi, ma mi viene facile farli coesistere.
Quali sono i suoi progetti letterari futuri?
Ho appena finito di scrivere “HIPPIKON“, un romanzo di ambientazione storica covato per anni, che mi ha infine assorbito nell’ultimo anno e mezzo. Era un grande sogno che avevo, di raccontare il secolo del Rinascimento, fino alla sua fine, attraverso le vicende storiche e le vite dei suoi protagonisti, unite insieme da un personaggio di fantasia, con cui ho sfruttato i “buchi” delle biografie dei personaggi reali per poter fare un racconto corale, dove compaiono e “parlano” condottieri e capitani di ventura, mecenati, artisti, da Leonardo ad Artemisia Gentileschi, da Shakespeare a Cervantes, e tutta una serie di personaggi di valore, noti e meno noti. L’idea mi era nata da una domanda: don Chisciotte fu ispirato da un personaggio reale o fu solo una fantasia del suo autore? Nella mia finzione narrativa, egli nacque in Cervantes incontrando nella sua vita avventurosa il protagonista di questo romanzo, che si anima intorno ad una corte speciale, ed una dama, che ho inventato ispirato da donne come Isotta Nogarola e Vivian Lamarque. E tutto mi ha dato la possibilità di raccontare a mio modo gli ideali del Rinascimento, l’universo femminile di straordinari personaggi occultati da un uomo troppo pieno di sé, il concetto di Utopia, la grande occasione che ebbe l’umanità nello scoprire un nuovo mondo.
SEGUE L’INTERVISTA REALIZZATA PER ODEON TV (aprile 2022).
SEGUE INTERVISTA A CURA DI BIANCA FOLINO per il Magazine di Placebook, “Kukaos” (novembre 2022), circa il romanzo “Hippikon” e l’autore.
Raccontaci qualcosa di te, chi è Alessandro Romano?
Sono un uomo taciturno e osservatore che la vita ha strappato con la forza alla sua condizione. E che grazie al cielo, e una certa tendenza all’elasticità mentale, si è ricreato un mondo esteriore dopo aver vissuto prima interiormente. Vivo in Salento lavorando per un’emittente TV locale, Telerama, girando e montando video, soprattutto per una trasmissione documentaristica (“Terre del Salento”). Ma il fuoco sacro della narrazione ha incendiato ogni fibra del mio essere, così continuo questa opera di ricerca in ogni momento libero, gratuitamente, in un blog dal titolo salentoacolory.it perché cercare, documentare, filmare, leggere e poi scrivere è diventato tutta la mia vita. Cominciai con la lettura a sette anni, quando mi capitò fra le mani “Le tigri di Mompracem” di Emilio Salgari, e fu come un’eruzione: la lettura di quelle pagine ha fatto traboccare dentro me un entusiasmo ed una “fame” verso la vita col fuoco invincibile che ha solo un bambino. Che per un vero miracolo sento ancora dentro me. Ogni volta che mi accingo a raccontare una nuova storia.
Come hai scelto il titolo del tuo libro?
“HIPPIKON” è una parola greco antica, letteralmente significa “cavaliere”. Si tratta di un ideale, ciò che in fondo ha animato l’uomo sin da quando improvvisamente decise di abbandonare le caverne, la lotta corpo a corpo contro gli animali e le forze della natura, e dedicarsi alla comunità. La leggenda medievale di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda nacque in un’epoca in cui lo spirito umano ancora concepiva concetti quali aiutare il debole, difendere l’indifeso, come necessari alla creatura umana, anelando ancora, dopo secoli e secoli di Storia e di storie di guerra, un futuro a dimensione umana.
E perché proprio Don Chisciotte?
La letteratura è stata testimone dei sogni dell’uomo. Quando finì la leggenda di Artù, perché tale rimase sempre nella realtà, nacque Don Chisciotte, ossia un uomo che dopo aver passato la sua vita a leggere di gesta meravigliose di cavalieri purissimi, esce di senno e decide di fare lui stesso, quelle gesta. Ma il nuovo cavaliere del Seicento ha perduto l’ideale, e Don Chisciotte fa solo ridere ad un approccio leggero, a questa lettura. Si tratta invece di uno dei più grandi romanzi dell’ingegno umano. Scritto da un uomo che in vita ha combattuto contro la tirannia dei Turchi nel Mediterraneo, dai quali è stato poi fatto schiavo per cinque anni, che ha cercato per tutta la sua esistenza il suo posto nel mondo, il modo per poter scrivere, dedicarsi a ciò che amava davvero, ma ricevendo sempre e solo sconfitte, il Don Chisciotte è il canto supremo verso l’utopia più grande. Una lotta contro la vita, che non ci accetta per come siamo, ci respinge, e non altrimenti possiamo leggere il finale del grande romanzo di Miguel de Cervantes, in cui don Chisciotte rinsavisce e si rivolge all’amico che aveva costretto a seguirlo: “Perdonami amico mio per averti dato l’occasione di sembrare pazzo come me, inducendoti a credere che ci furono davvero dei cavalieri erranti. Ah, esclamò Sancio fra le lacrime, non muoia vossignoria! Accetti il mio consiglio e viva molti anni, perché la più grande pazzia che possa fare un uomo in questa vita è di lasciarsi morire senza opporre resistenza, senza che nessuno lo uccida, ne lo spingano altre mani che non siano quelle della malinconia!”. Il Cervantes chiuse a 60 anni la sua travagliata e triste esistenza: l’esistenza di un uomo buono, senza riposo e senza gloria, un animo superiore e generoso che l’ingratitudine, l’ingiustizia e l’incomprensione degli uomini amareggiò senza comunque riuscire ad inasprire. Lo vedo come un faro nella notte, una luce nel buio di certi periodi della Storia umana.
Secondo te c’è un parallelismo tra il nostro oggi e quel periodo?
Certamente! I moti umani sono sempre gli stessi, l’imperialismo, il colonialismo, il maschilismo, la prevaricazione, lo sfruttamento, hanno sempre fatto parte della nostra società, anche se spesso sono stati chiamati con altri nomi. Il XVI secolo poi, per eccellenza, quando gli storici individuano la nascita del mondo “moderno”, è infinitamente vicino a noi. In quel periodo gli europei scoprivano l’America, avevano la grande opportunità di creare un nuovo mondo, una nuova società, mescolandosi con culture assolutamente nuove, un’esperienza dagli orizzonti così grandi che noi oggi non possiamo più vivere. Ma anche noi, oggi, con i mezzi che il progresso ci ha fornito, avremmo tutte le carte in regola per innescare un processo ricreativo della comunità, magari partendo dal piccolo, con l’intento di giungere più lontano. Ma la spinta evolutiva dell’uomo, come “animale sociale” trovo sia per il momento ormai sopita, annegata da moti quali l’indifferenza e l’egoismo.
E’ importante la Storia?
La Storia umana è TUTTO. Ma incappiamo sempre nell’errore di considerare “storia” solo i grandi eventi che studiamo a scuola, come se imparare come sia scoppiata la Seconda Guerra Mondiale fosse soltanto apprendere la concatenazione degli eventi che hanno portato al conflitto. Ma studiare questo percorso non ci renderà “maturi”, se non abbiamo compreso la società di quel tempo, le ideologie che la dominavano, la condizione sociale che ha permesso la presa del potere alle classi politiche che hanno condotto il mondo a quella situazione. Per me è STORIA tutto ciò che riguarda l’evoluzione umana, è un ricordare ciò che hanno fatto gli antenati. Nella mia città, a Lecce, qualche anno fa uno scavo archeologico in pieno centro storico ha rivelato che in un convento si scavavano dei pozzi, in alcuni vi essiccavano i morti, dagli altri attingevano l’acqua dalla falda: ma il pozzo dove scolavano i morti era molto più profondo di quello dove si prendeva l’acqua, che così era protetta dall’inquinamento. L’acqua stessa che cadeva dal cielo con le piogge era incanalata dai tetti verso cisterne in cui era stoccata per tutte le necessità. Questa mentalità è oggi lontanissima dal nostro modo di pensare, tendiamo “naturalmente” ad aprire il rubinetto senza criterio e risparmio, sprecandone poi molte risorse. In un’era come quella che viviamo, che ci porta inevitabilmente a grandi ed epocali cambiamenti per via del clima, la siccità e la scarsità d’acqua, ripensare alla nostra Storia “minima”, a questi aspetti che di solito non si trovano facilmente sui libri, non può che contribuire ad aprirci la mente ed indirizzarci a pratiche più “umane”. Stiamo perdendo l’essenziale, circondati da ogni dove da troppi impulsi e stimoli risibili, che ci fanno pensare solo al presente, a vivere in un eterno OGGI, senza più uno sguardo consapevole verso il nostro passato, e quindi poi verso il futuro.
E cos’è l’utopia per te?
Quando si tira fuori il meglio di noi stessi, da dentro, da ciò che teniamo nascosto, quando decidiamo e diamo tutto noi stessi per realizzare un’idea, un progetto, un desiderio. Che non importa debba poi essere qualcosa di durevole nel tempo, perché niente è eterno e immutabile, è una legge dell’universo intero, questa massa incommensurabile di materia che si muove incessantemente nello spazio a velocità per noi inconcepibile. Utopia è realizzare qualcosa per la quale vai a letto con quel pensiero la sera, e ti risvegli al mattino sempre con lei, lei che ti nutre l’anima tua intera, ti riempie di energia, per uno slancio gratuito di crescita
Qual’è il significato dell’esistenza umana a tuo giudizio?
Siamo animali sociali, però fra tutte le creature ci eleviamo sopra ognuna per merito dell’intelletto e della parola. Ciò ci fa comprendere che il significato da dare alla nostra esistenza è di “fare comunità”. Ancora di più oggi, che le distanze fra un luogo e l’altro, una persona e l’altra da ogni parte del globo si sono incredibilmente ridotte. Le nostre conoscenze enormemente accresciute dell’ultimo secolo ci spingono a meditare sulla salvaguardia di questo pianeta e sulla convivenza pacifica fra ogni popolo e ogni cultura. Fare una famiglia, globale, una “cuccia umana”, deve essere lo spirito guida di ognuno di noi, al di la di qualsiasi religione o credo politico.
Questa non è la tua prima esperienza editoriale, ci racconti come sei arrivato alla Placebook?
E’ stato nell’estate del 2020 che mi imbattei nella Placebook, cercavo un editore che mi aiutasse realmente nel curare il romanzo, e restai colpito dal loro prodigarsi gratuitamente, e per me fu bellissimo scoprire una simile realtà, e veder pubblicato “Il Folle”, una storia che avevo cullato per vent’anni prima che qualcuno potesse leggerla.
Che messaggio vorresti arrivasse ai lettori?
Non c’è una sola parola che ho messo “a caso” fra queste righe, di messaggi ne ho nascosti ovunque, come quando semino le mie rape nell’orto. Ma come per ogni libro ogni lettore trarrà il messaggio che più gli occorre, come accade anche a me, perché leggere è ancora una delle cose più intime che oggi possiamo fare.
E perché dovrebbero comprare il tuo libro?
Leggere per me è l’emozione che provai la prima volta, col buon Salgari. Non c’è racconto in cui mi cimenti per cui io non provi a ricreare quella magia. Lo faccio come per un debito di riconoscenza verso quell’uomo, potrà sembrare un’enormità, un’esagerazione, ma per me è veramente così. Leggere è un viaggio sacro, in cui chi scrive deve dare tutto sé stesso, e chi legge vuole ricevere qualcosa, perché chi legge poi porta in giro. E, come disse qualcuno, il sapere si accresce solo se condiviso.
Progetti futuri?
Ce n’è uno che scalpita di veder la luce. Mi fa venire in mente mia moglie, che la notte, mentre Leo si è addormentato e io sto cullando la piccola Anna Luce, all’improvviso gliela mollo dicendo quasi fra me “scusa un attimo, sto sentendo le voci” e sparisco nel mio studiolo. Lei si preoccupa e mi fa ridere che viene a spiarmi, perché dopo tanti anni di vita assieme ancora non si è abituata a questa cosa che sento parlare i personaggi! Per me è proprio così, ed in questi periodi mi ritrovo a prendere appunti e fare fogli volanti ovunque mi trovi, mentre sto lavorando, o sono fermo al semaforo, nei momenti più improbabili, per non perdermi la battuta che gli appena sentito dire, o la sfuriata, o il dialogo serrato, urlato o sussurrato. Accumulo, ho sempre scritto così. Passo anni a mettere parole in saccoccia, fino a che il vaso trabocca e non mi è più possibile rimandare. Ora è tornato quel momento in cui, per qualche mese, avrò la sveglia alle 4,30 del mattino, per scrivere fino alle 7, prima di iniziare ogni giornata. Alcuni personaggi de “Il Folle” premono per raccontare un’altra storia, di cui non posso dir nulla, come per ogni figlio che si desidera e si mette in cantiere.
E sogni nel cassetto?
Vedere in giro sogni che si realizzano. Non solo miei. Vorrei vedere persone contente del loro lavoro, che ti guardano negli occhi col sole che avevamo tutti noi nell’infanzia. Viviamo forse l’epoca più cupa della Storia, senza slanci, senza grandi obiettivi, lo vedi dal capo di un governo sino all’ultimo raccoglitore di pomodori della Capitanata. Non è più “vivere”, questo è solo un tirare avanti. Verso dove, nessuno lo sa. Vorrei vedere torme di cavalieri galoppare in giro, come il mio Hippikon, e non importa che poi esso finisca come è finito, non è importante riuscire: questa vita vuole soltanto che noi ci proviamo, vuole vederci al galoppo lancia in resta senza paura verso la strada e verso nessuno.
SEGUE L’INTERVISTA REALIZZATA DA ROSSANA FANNY DUVALL PER RADIO TV PRODUCTION (24-11-2022) e quella di TELERAMA (25-4-2019).
Intervista all’uscita del romanzo “Palinodia” (si LEGGE QUI).
I romanzi di Alessandro Romano attualmente disponibili si trovano a questo link.
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