IL VIAGGIO CONTINUA, PER TUTTA LA PUGLIA…
Con questa pagina usciamo dai confini propri del Salento, per scoprire, attraverso un viaggio affascinante la bellezza dell’intera Puglia, la terra dei comuni padri Japigi. Dalle Murge baresi alle meraviglie del Gargano, i trulli di Alberobello, castelli, chiese rupestri ed i mille risvolti di una regione panoramica! Il filo conduttore è sempre lei, la sirena a due code!
Seguiteci nei nostri viaggi, questa regione non mancherà di sorprendervi! Periodicamente rinnoviamo i nostri viaggi, arricchendo questo patrimonio fotografico. E le sorprese non mancheranno. Clicca l’argomento!
© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e il dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a questa pagina). Tutto ciò che compare sul sito, soprattutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene far cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it
VIDEO-GALLERY
In una notte di luna piena, le sirene, stregate dal bagliore delle stelle, risalirono dagli abissi del tempo per tornare ad essere accarezzate dai raggi dorati del sole. Appollaiate su uno scoglio, stringendo in una mano un pettine e nell’altra uno specchio di cristallo, le divinità marine dalle lunghe chiome ondulate penetrarono nei misteri dell’arte divinatoria. Nelle vesti di sacerdotesse iniziarono a sedurre i naviganti che intrepidi solcavano quel tratto di mare. Con i loro oracoli promettevano il dono mistico della preveggenza e il ritorno del paradiso perduto nell’età dell’oro coincidente con la mitica infanzia dell’umanità, quando uomini e divinità convivevano nell’armonia del cosmo. Depositarie di un sapere iniziatico sublimato dalla rivelazione profetica divennero sovrane delle acque e intorno alla loro natura ibrida si creò un alone di mistero destinato a non tramontare mai.
Secondo Platone erano figlie degli incestuosi Forco e Cheto o più semplicemente di una donna dell’Etolia di nome Sterope. Per Apollodoro, invece, furono generate dal sangue di Acheloo, sgorgato dal corno divelto da Eracle. Secondo altre versioni, invece, erano venute alla luce dopo il congiungimento del dio fluviale con le muse Melpomene o Tersicore per rispondere al disegno del fato di proteggere Kore. Ma per non aver scongiurato il rapimento della dea fanciulla, trascinata da Ade nell’oltretomba, furono condannate dalla dea Demetra ad assumere sembianze alate e ad intessere un canto fatale, che conduceva quanti lo ascoltavano allo smarrimento e alla perdita del lume della ragione. Cadute in disgrazia agli occhi degli dei su di loro iniziò a gravare l’atroce sospetto di antropofagia, e, se da un verso gli uomini erano irrimediabilmente attratti dalla loro bellezza, dall’altro le rifuggivano a causa della loro voce mielosa in grado di attrarre in una trappola mortale. Soltanto Orfeo rimase immune al maleficio della melodia ipnotica, così come riportato nei versi delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Il cantore trace con la sua sublime rapsodia, modulata sulle note del magico suono della lira, vinse la competizione canora, che consentì il viaggio di ritorno della nave Argo salpata con a bordo gli Argonauti guidati da Giasone alla conquista del vello d’oro. Sulla scia della profezia nella veste di demoni alati continuarono ad incutere un certo timore fino a quando il mito di irretire e divorare i marinai, facendo sfracellare le loro barche sulle rocce, venne sfatato dall’astuto Ulisse messo in guardia dalla maga Circe. Nell’Odissea di Omero, il re di Itaca, infatti, dopo essere stato incatenato all’albero maestro della propria nave, riuscì ad eludere l’incantesimo del loro canto ammaliatore atto ad avvolgere la mente nella nebbia dell’oblio.
A causa di questa cocente sconfitta le cantatrici marine preferirono uscire di scena con un plateale inabissamento. Una volta mutate le ali di uccello in code di pesce o di serpente preferirono percorrere la strada dell’elevazione mistica attraverso un processo di crescita interiore teso a stabilire un equilibrio alchemico tra conscio e inconscio, tra istinto e ragione, tra sobrietà ed ebbrezza, tra sessualità e spiritualità, tra sacralità e paganesimo fino al punto che in età romana vennero investite del ruolo di accompagnare le anime dei defunti nel regno delle ombre, consolandole con il loro struggente canto. L’affascinante mito delle sirene tornò prepotentemente alla ribalta nei secoli bui del Medioevo e volò sulle ali del vento del rinnovamento culturale del Rinascimento brillantemente promosso da letterati, impegnati a trarre dalle favole antiche, accusate dalla Chiesa di immoralità e di serpeggiante idolatria, mirabili esempi di virtù senza ripudiare il vizio. Emblema della cultura classica per essere state generate dalle Muse rappresentavano l’allegoria dell’arte di affabulare mediante la retorica, l’eloquenza e l’oratoria; così la fascinazione del loro canto si tramutò in seduzione intellettuale. Nei tempi cupi della Santa Inquisizione, dominati da ignoranza e superstizione un humus fertile nel quale proliferavano come funghi le accuse di magia e stregoneria, divennero la personificazione della concupiscenza per il loro innato erotismo sensuale, che istigava alla licenziosità dei costumi. Le tessitrici di intrighi amorosi, agli occhi degli inquisitori, illudevano strisciando con la coda, fuggivano dopo aver ingannato e condannavano alle fiamme eterne della perdizione quanti fossero scivolati nel vortice della passione.
Nel solco dei testi dei Padri della Chiesa, incarnavano lo spettro della vanità e della voluttà dietro al quale si celava un diabolico strumento di tentazione persino per l’uomo saggio e timorato di Dio. Sant’Agostino non perdeva occasione di scuotere le coscienze, esortando: <<La vita in questo mondo è come un mare in tempesta attraverso il quale dobbiamo guidare la nostra nave fino al porto. Se questo ci riesce, resistendo alle tentazioni delle Sirene, essa ci condurrà alla vita eterna>>, mentre San Bernardo di Chiaravalle arrivò a considerarle come <<strumento secolare di Satana…. che trascina alla perdizione i servi di Cristo con le sue seduzioni>>. Alludendo ai piaceri della carne, che distoglievano dalla vita ascetica, le allettatrici mortifere si rintanarono nei bestiari di fantasia, assumendo due code come metafora della duplice natura in bilico tra ferinità e umanità, razionalità e istintività, sessualità e spiritualità. Verso l’VIII-IX secolo le sirene a due code, bifide o bicaudate spuntarono tra le pagine del Liber Monstrorum per poi troneggiare incontrastate tra il XII e il XIII secolo su miniature di codici e bassorilievi di chiese romaniche in un tripudio di decorazioni floreali, antropomorfe, fitomorfe, zoomorfe, croci, rose a otto petali, nodi di Salomone, draghi e unicorni nel solco di un repertorio figurato destinato ad arricchirsi progressivamente per la sua alta valenza simbolica. Seppur confuse nella loro codificazione iconografica con sfingi, arpie, chimere, erinni e gorgoni mantennero inalterato il fascino antico sprigionato dal mito. Sfatato il falso mito relativo all’esistenza reale di queste creature mitologiche, dispensatrici di un potere immenso e sconosciuto, venne recuperato ed esaltato il valore morale della loro leggenda intorno alla quale aleggiava l’aura di elargire una sapienza preclusa al genere umano: quella stessa che nella Genesi, su tentazione del serpente malefico, violando i dettami divini, cercarono di cogliere Adamo ed Eva assaporando il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male con la pretesa di divenire simili a Dio. Come monito solenne della cacciata dal giardino dell’Eden l’albero della vita germogliò e fiorì su pavimenti musivi di basiliche e cattedrali, come quella di Otranto, con l’intento di veicolare il messaggio della redenzione attraverso il sacrificio di Cristo inchiodato ad una croce, nel modo in cui Ulisse nel solco del mito venne incatenato all’albero maestro della propria nave dai suoi marinai per resistere alla tentazione. Per ironia della sorte, l’uomo, in preda al vizio e al peccato per aver mangiato il frutto dell’albero proibito, veniva redento attraverso il legno della croce infissa sulla sommità del Golgota. Attraverso il sacrificio salvifico di un innocente veniva decretato il trionfo sull’anima oscura del mondo restituita alla luce attraverso la morte e la resurrezione del figlio di Dio. Per sopravvivere all’oscurantismo cattolico il ricordo ancestrale delle sirene demonizzate venne affidato alla penna d’oca di poeti e cortigiani. Benoît de Maillet non esitò a creare un collegamento di discendenza diretta con un popolo anfibio, vissuto in un continente sprofondato come Atlantide a causa di un violento cataclisma, mentre nel 1392 Jean d’Arras, su commissione del duca di Berry, accese il senso di meraviglia e stupore con la creazione di Melusina rimasta vittima del sortilegio di trasformarsi ciclicamente ogni sabato da creatura angelica in sirena a due code, o, secondo altre versioni posteriori, con una coda di serpente. L’incantevole fata delle acque con il suo amore aveva trasformato la triste vita di Raimondino di Lusignano, rallegrandola con numerosa progenie, ma il nobile sospettoso spinto dalla gelosia non rispettò il divieto prematrimoniale, osando spiarla nel giorno interdetto mentre faceva il bagno rituale. Tradita, spiata, respinta e umiliata dall’amato, rimasto inorridito di fronte alla metamorfosi da donna a mostro munito di una coda luccicante di squame, la sirena decise di rifugiarsi nel suo lago dorato, lasciando in eredità, come esempio paradigmatico, il suo ruolo di femminile positivo in grado con i suoi poteri soprannaturali di mutare radicalmente la vita negativa dell’uomo, che si congiungeva carnalmente con lei, a condizione che venisse rispettato il patto imposto a suggello della durata della relazione amorosa basata sul cambiamento, la comprensione e l’accettazione reciproca altrimenti si incorreva il rischio di pagare lo scotto della perdita dell’amore. Come auspicio di fertilità e di prosperità sui portali dei castelli merlati vennero scolpite teorie di sirene bifide, metafora sia di rigenerazione individuale e cosmica sia di ricchezza e opulenza, accompagnate dalla cornucopia traboccante di fiori e frutti in linea con il misterioso ciclo di vita, morte e rinascita garantito dall’equilibrio della dinamica evolutiva delle forze della creazione fluttuanti sin dall’inizio dei tempi tra caos e cosmo.
Il passaggio primordiale dal caos al cosmo venne sancito metaforicamente nel VII sec. a.C. da Esiodo il quale nella Teogonia ricostruì le origini mitiche dell’universo, traendo spunto dal prototipo cristallizzato nel racconto di stampo popolare. Per il poeta-pastore tutto traeva origine da un disordine universale, che racchiudeva in una bolla fluttuante cielo, terra e mare. Secoli dopo nel caos cosmogonico delle Metamor