E’ questo il titolo di una straordinaria mostra archeologica, a suggello dell’incomparabile lavoro svolto sopratutto negli ultimi anni dall’Università del Salento, volto a dare il giusto risalto ad uno dei siti fondamentali della storia del Mediterraneo: Roca.
L’umanista salentino Antonio De Ferraris, meglio conosciuto come il Galateo, fu il primo a segnalare nel De Situ Iapygiae (1558) l’esistenza dei resti di un antico insediamento sui quali Gualtieri VI di Brienne aveva fondato, in epoca angioina, una cittadella fortificata denominata “Rocca”. Al sacerdote Guglielmo Paladini si devono i primi scavi, condotti fra il 1928 e il 1932. Nel corso di tali ricerche furono scoperti diversi tratti della cinta muraria di epoca ellenistica, costituita di grandi blocchi squadrati in calcarenite locale. Dopo un periodo di parziale stallo, le esplorazioni archeologiche nel territorio di Roca ripresero in maniera sistematica fra il 1945 e il 1950, grazie all’impegno del direttore del Museo Provinciale di Lecce, Mario Bernardini. Successive indagini condotte dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia e da Giovanna Delli Ponti consentirono non soltanto di completare lo scavo delle mura messapiche, ma anche di individuare diverse aree di necropoli più o meno coeve. A partire dal 1981 l’Istituto di Scienze delle Antichità, oggi Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, ha sviluppato, sotto la guida del Prof. Cosimo Pagliara, un articolato programma di indagini archeologiche, ambientali e topografiche nel settore costiero compreso tra Otranto e San Cataldo. Tali studi, condotti in collaborazione con numerosi istituti di ricerca italiani e stranieri, hanno garantito l’identificazione e l’analisi di numerosi nuclei di testimonianze antiche.
La più antica occupazione dell’insediamento di Roca risale a un orizzonte non iniziale della media Età del Bronzo (XVII sec. a.C.). Già durante la prima fase di vita, il sito è protetto verso terra da un’imponente opera di fortificazione, attualmente conservata per una lunghezza di circa 200 metri e per uno spessore alla base di oltre 20 metri. E’ tuttavia ipotizzabile uno sviluppo ancor maggiore del sistema difensivo, dal momento che le due estremità del muro risultano interrotte da crolli della falesia e che la fronte esterna è stata pesantemente disturbata dall’escavazione del fossato tardo-medievale.
La monumentalità dell’impianto difensivo di Roca non trova riscontro nel panorama protostorico italiano, rimandando piuttosto a modelli architettonici di derivazione egeo-orientale. Si consideri anche che la complessità delle strutture di fortificazione e il largo impiego di manodopera specializzata indispensabile per la loro costruzione non sono immaginabili se non nel quadro di una comunità con un alto livello di organizzazione socio-economica e con un’adeguata consistenza demografica.
Nel corso del Bronzo Recente (metà XIV-XIII sec. a.C.) il sito viene riorganizzato e le fortificazioni ricostruite, inglobando le rovine delle mura più antiche e conservandone il tracciato. La tecnica edilizia adottata comporta una sensibile riduzione dell’impiego di legname; è attestato anche per la prima volta un vasto uso di blocchi squadrati di calcare locale. I livelli di occupazione e gli strati di riporto attribuibili al Bronzo Recente hanno restituito straordinari insiemi di testimonianze archeologiche, comprendenti abbondante vasellame locale d’impasto, notevoli percentuali di più raffinate ceramiche egee (Tardo Elladico IIIB-IIIC Antico) e numerosi reperti botanici e faunistici, questi ultimi pertinenti tanto a resti di pasto quanto a oggetti e strumenti in materia dura animale.
La fase del Bronzo Finale (XII – inizi X sec. a.C.) è caratterizzata da una sostanziale continuità di occupazione e da un’ulteriore riorganizzazione del sito. La fisionomia dell’insediamento sembra rispondere ad una precisa pianificazione spaziale, rivelando un impianto fortemente regolare e monumentale. Lo documentano le imponenti opere difensive, la maglia quasi ortogonale dei percorsi stradali e la frequenza di imponenti edifici lignei, verosimilmente destinati a funzioni “comunitarie” di varia natura. Una di queste strutture, interpretata come “capanna-tempio”, presenta una pianta rettangolare allungata (37 per 17 metri circa).
Nell’ambito della capanna-tempio si distinguono diverse aree destinate alla cottura dei cibi, testimoniate da numerosi fornelli fissi in argilla concotta e da vasellame comune da cucina in ceramica d’impasto. Altri manufatti rivelano una probabile valenza cultuale e un’affinità formale con oggetti circolanti nelle regioni del Mediterraneo centro-orientale.
L’occupazione del sito di Roca è plausibilmente connessa, sin dalle prime fasi di vita, con la frequentazione a scopo cultuale della Grotta Poesia, ubicata a sud della penisola che ospita le rovine dell’insediamento protostorico. Il nome attribuito al complesso carsico potrebbe derivare dal termine greco-medievale pòsis, con riferimento alla presenza in antico di una sorgente d’acqua dolce. In origine asciutta, buia e accessibile da terra, la Poesia risulta allo stato attuale invasa dal mare nella parte bassa, ed aperta verso l’alto a causa del crollo della volta.
L’importanza archeologica della grotta deriva dalla scoperta, effettuata dal Prof. Cosimo Pagliara nel 1983, di uno straordinario insieme di segni e testi graffiti, conservati lungo tutto il perimetro interno, per un’altezza di circa 8 metri. Le evidenze più antiche sono rappresentazioni di mani e piedi e di figurazioni antropomorfe che trovano riscontro in analoghi santuari ipogeici della tarda preistoria, come la Grotta dei Cervi di Porto Badisco.
Questo breve viaggio che abbiamo compiuto in questa pagina è solo un assaggio del Museo vero e proprio che si è allestito per l’occasione nel Castello di Acaya, e che ha cercato di restituire alla storia di Roca la sua importanza nel cuore del Mediterraneo.
testi tratti dal volume guida alla Mostra
COMITATO SCIENTIFICO. Cosimo Pagliara, Riccardo Guglielmino (Laboratorio di Scienze Applicate all’Archeologia, Università del Salento). Gregorio Angelini (Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia). Luigi La Rocca (Soprintendente per i Beni Archeologici della Puglia). Salvatore Bianco (Funzionario Archeologo Soprintendenza Archeologica della Puglia). CURATORI. Oronzina Malecore (Istituto di Culture Mediterranee), Luigi Coluccia, Marco Merico (Laboratorio di Scienze Applicate all’Archeologia, Università del Salento).
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