Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Santa Eufemia, antica borgata di Tricase

Santa Eufemia, antica borgata di Tricase

L’antico borgo di Santa Eufemia, è oggi un rione della città di Tricase, posto in località Monte Orco, un declivio collinare che ospita un bosco di querce spinose con esemplari secolari.

La chiesa parrocchiale di Sant’Eufemia, risalente al XVI secolo, fu ricostruita nelle forme attuali tra il 1772 e il 1778. L’interno, a navata unica, è scandito da due arcate per lato, decorate con stucchi e ospitanti cornici barocche con le tele raffiguranti Sant’Eufemia, le Anime del Purgatorio, la Madonna del Rosario e il Cristo con la Vergine Immacolata e San Giuseppe. Pregevole il mosaico dei fratelli Peluso, realizzato nel 1889. All’interno si conserva uno degli affreschi della vicina chiesa rupestre della Madonna del Gonfalone, un luogo che ci indica l’antichità di frequentazione di questo territorio. La cripta fu scavata nel banco tufaceo tra IX e XI secolo, costituendo un importante luogo di culto. Successivamente divenne una grancia (ossia una fattoria-convento), dipendente dall’Abbazia di Santa Maria del Mito. La struttura si articola intorno ad un vano centrale quadrato, visibile all’esterno da un alzato con campanile a vela. Qui si colloca un piccolo altare barocco con l’affresco della Vergine col Bambino. I vani dell’ipogeo, più volte rimaneggiati nei secoli, sono sostenuti da diciannove colonne ottagonali. Lungo le pareti rimangono tracce degli affreschi superstiti. Vicino all’ingresso è presente una Crocifissione con la Vergine e San Giovanni. La parete nord conserva il maggior numero di affreschi disposti in due differenti strati ascrivibili al XVI secolo circa. Sullo strato inferiore, oltre a due figure femminili, è rappresentata probabilmente la morte di San Bonaventura, avvenuta nel corso del secondo Concilio di Lione nel 1274. Tra gli affreschi rimasti, sopravvissuti ai secoli, c’è la scena della morte della Vergine Maria, la “dormitio Virginis” che così raramente troviamo in cripta ipogea. Sulla scena c’è anche l’immagine di un papa benedicente. Nella parte bassa, sopra un pavimento a scacchiera, un particolare inquietante: un angelo con la spada sguainata, con la quale ha appena tagliato le mani ad una figura con copricapo inginocchiata dinanzi a lui. Dalle mani tagliate sprizza sangue. La scena è ricavata da un vangelo apocrifo, in cui si descrive la scena nella quale il sommo sacerdote cerca di impossessarsi del corpo della Vergine. Nelle diverse versioni, uno degli assalitori viene colpito da un male alle mani tale che rimangono attaccate al corpo della Vergine. I vangeli proseguono con la guarigione dell’assalitore dopo aver riconosciuto e creduto in Cristo e in sua Madre. Con questo cruento racconto si voleva raccomandare il divieto di avvicinarsi ai misteri della vita dell’aldilà con la curiosità insana che tanto spesso ha animato la vita dell’uomo, dalla storia della mela e il serpente, in poi. In altre scene, le mani vengono tagliate al demonio che cerca di prendere l’anima della Vergine. Torniamo nella piazza del borgo, dove nell’Ottocento lo studioso Cosimo De Giorgi rilevava un grande menhir, oggi scomparso. La presenza di un’antica strada che conduce verso l’altra frazione di Tricase, Tutino, esattamente nella direzione del menhir “Pivataro” (o meglio ciò che resta del monolite) ci fa capire l’antichità della frequentazione di queste contrade. Sotto la piazza di Santa Eufemia si trova un frantoio ed altri ipogei non meglio identificati. Qui c’era la dimora della famiglia Resci, di cui nelle campagne c’è anche l’antica masseria, situata in un sito sopraelevato da cui si gode un vasto panorama, e su cui si trovano tombe medievali. Il borgo è tutto arroccato attorno ad una serie di vecchie case a corte, composte da uno o pochi vani essenziali e raccolte intorno ad un cortile centrale. Oggi sono quasi tutte abbandonate e dimenticate, eppure sembra quasi di sentirci ancora il vociare dei suoi abitanti, con gli schiamazzi dei suoi bambini. All’interno di una stalla si possono vedere alcuni disegni che curiosamente sono sopravvissuti al tempo: una nave, una casa, e simboli sul cui significato oggi è difficile congetturare. Un frantoio è sopravvissuto, in questo borgo. Oggi versa in totale stato di abbandono e degrado, e meriterebbe di essere salvato e messo in sicurezza. E’ scavato interamente nel banco roccioso, quindi il modello più antico di questi luoghi di lavoro, che risale ai secoli XV-XVI. Purtroppo sono sopravvissuti pochi elementi architettonici originali, ma tutto ci rende pienamente l’idea dell’importanza che questo frantoio aveva per la zona. Oggi, nel suo silenzioso abbandono, è diventato luogo di ricovero per pipistrelli, e così, a modo suo, continua ad essere ancora vissuto. Caratteristici sono i comignoli dei camini, di questo borgo, che richiamano il modello degli arbereshe giunti in Salento alla fine del XV secolo, e che abbiamo visto anche in altri paesi, come Borgagne o Castrignano dei Greci. Perdendosi in queste incantevoli campagne si corre il piacevole rischio di fare incantevoli scoperte. Come questo, che sembrerebbe un dolmen, che non è stato ancora censito. Oppure questa meravigliosa “pagghiara”, una struttura a corte chiusa, dotata di un ingegnoso sistema di raccolta delle acque piovane, che canalizzandosi, giungono dal tetto in una grande cisterna intonacata, che ai suoi tempi possiamo facilmente immaginare ricolma d’acqua. Un altro segno della saggezza di questo piccolo mondo antico, che continua ancora oggi a parlarci, attraverso tutti i suoi innumerevoli segni della memoria, affinché non ci dimentichiamo di esso.

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

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