Santa Severina, piccolo borgo incantato di una Calabria tutta da amare e da scoprire, è il nostro viaggio fuori i confini del Salento, in questa occasione. “C’è una città turrita nelle terre calabresi, di non oscuro nome, là dove scorre l’onda del nebbioso Neto, posta sull’alto di un monte, su rupi rocciose, e meglio di ogni altra cinta da lunga cerchia difensiva”.
Così ne scrive Gian Teseo Casopero (Sylvae, 1520-1530), insigne studioso del XVI secolo, di famiglia un tempo ricca e nobile, originaria di Lecce, lasciando un’istantanea del suo tempo, che non è comunque molto diversa da ciò che si può ammirare ancora oggi…
Il territorio di Santa Severina durante le età del bronzo e del ferro, era abitato da popolazioni indigene appartenenti forse al ceppo degli Enotri, termine con il quale i greci chiamavano gli indigeni. Sulla collina Serre della frazione Altilia, già all’inizio degli anni ’80, furono individuati alcuni lembi di un insediamento di origine italica e tracce di una necropoli dell’età del ferro. Alla metà degli anni ’90 si è scoperto un insediamento dell’età del bronzo finale. Queste ricerche hanno permesso di riconoscere un vasto “magazzino” di pithoi: sono stati catalogati resti di oltre 60 enormi contenitori che i recentissimi studi dimostrano contenessero vino, prova indiscutibile della coltivazione della vite da parte delle comunità enotrie. Più di recente la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, tra il 2006 ed il 2008, ha realizzato tre saggi di scavo, sotto la direzione di Gregorio Aversa, attuale Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Crotone. Le attività hanno permesso di confermare l’esistenza di numerose strutture abitative (almeno 14) che risalgono al tardo IV-III secolo a.C. Alcune tracce rimandano al periodo protostorico.
Dopo essere stata presumibilmente un abitato greco-italico e poi romano, fino al 1076 appartenne ai Bizantini. Fu successivamente governata dai Normanni e poi dagli Svevi. Infatti, in base allo Statutum de reparatione castrorum, Federico II condusse un’inchiesta nel 1228 per identificare istituzioni, enti o persone che fossero obbligati a contribuire alla riparazione del castello di Santa Severina. Durante il periodo angioino la città di Santa Severina godette sempre lo stato demaniale, aveva il controllo sul marchesato che veniva diviso in casali. Successivamente subentrarono gli Aragonesi, per finire poi al dominio dei Borbone.
La cattedrale ha un impianto a croce latina a tre navate. Risalente al XIII secolo, anch’essa ha subito vari cambiamenti nel corso della sua storia, tant’è che dell’antica struttura è rimasto solo il portale, ma la più sostanziale è stata quella del XVII secolo.
Di notevole interesse sono i resti di una chiesa bizantina, che conserva ancora alcuni affreschi…
…e la sua architettura che rimanda proprio a quel periodo.
Fra i tesori di questo borgo c’è anche l’unico battistero bizantino pervenuto ai nostri giorni ancora sostanzialmente integro. L’architettura di questo gioiello deriva dagli edifici a pianta centrale che trovano riferimento nel mausoleo di Santa Costanza a Roma. Il battistero bizantino ha, infatti, una forma circolare con quattro appendici, con affreschi risalenti al X-XII secolo.
Ovviamente, da quassù, lo spettacolare panorama è di grande fascino!
Ben visibile è una delle porte medievali cittadine…
Interessantissima è anche la necropoli, che rimanda al periodo bizantino della città…
…conserva ancora le sepolture al suo interno!
La costruzione del castello risale all’epoca della dominazione normanna (XI secolo) su una fortificazione preesistente di epoca bizantina. La costruzione bizantina è nota come oppidum ed è attestata da Erchemperto di Benevento testualmente come “oppidum beatae Severinae”. Dopo il 1076, sulle sue rovine, Roberto il Guiscardo fece costruire un dongione le cui tracce sono state evidenziate durante i lavori di restauro. Una prova storica diretta è rilevabile nella cronaca di Amato di Montecassino mentre, sempre nel medesimo contesto, una prova indiretta è costituita da una chartula del 1130, edita dal Trinchera, nella quale l’edificio militare viene definito come “Rocca” che, come è noto, è un termine di provenienza scandinava. Nel corso dei secoli e dei passaggi dalle varie famiglie regnanti, ha subito vari rimaneggiamenti. Si ipotizza che l’area dove sorse il Castello fosse già occupata in età greca, come fatto supporre da alcuni scavi condotti durante il restauro.
Ringrazio di tutto cuore per questo reportage fotografico il caro amico Ottavio Carbone, che mi ha concesso di poterlo condividere con tutti voi, nell’invitarvi a venire a visitare di persona l’ennesimo borgo incantato di un’Italia da amare!
(Fonte delle notizie: Wikipedia. Fotografie di Ottavio Carbone)
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