Il santuario nuragico di Santa Cristina è uno dei luoghi cruciali del Mediterraneo antico, un luogo affascinante, come tanti fra l’altro la Sardegna può a ben ragione contare. Prende il nome attuale da un tempio cristiano posto nelle vicinanze, ma ovviamente si tratta di un monumento ben più antico e della valenza simbolica assai importante per le genti che lo edificarono.
Tutto il sito (situato nell’agro del comune di Paulilatino, in provincia di Oristano) è di notevole interesse storico archeologico, oltre al pozzo-santuario consta un intero villaggio nuragico, con annesse capanne e recinti, nuraghe monotorre ed anche un edificio di culto di epoca cristiana. Il tempio a pozzo è qualcosa però di veramente unico…
La sua costruzione pare risalga all’XI secolo a.C.
Esso è racchiuso da un recinto di forma ellittica che separa l’area sacra da quella profana, che ne circonda un altro a forma di “serratura”, all’interno del quale è situato il pozzo stesso. In realtà, in Sardegna se ne trovano altri, pozzi-santuario, ma questo si differenzia per il suo perfetto stato di conservazione e le sue dimensioni, molto più grandi e meglio proporzionate.
Il pozzo è preceduto da una zona che fungeva da vestibolo, dove certamente si svolgevano i riti sacri. Poi, si apre attraverso la scalinata un vano trapezoidale. Si scende per 25 gradini, e man mano che si procede, la scala si restringe verso il basso: si passa da circa 3,50 metri alla sommità a 1,40 metri alla base.
Infine, si giunge in fondo, al pozzo vero e proprio. La scala è raccordata specularmente agli architravi di copertura, formati da blocchi tutti uguali tra loro che creano uno straordinario effetto a “scala rovesciata” di larghezza costante: un espediente avveniristico, per quei grandi ingegneri che furono i nuragici!
Il pozzo sacro vero e proprio è formato da una cella di pianta circolare dal diametro di circa 2,5 metri.
La camera è coperta da una cupola, detta thòlos, alta quasi 7 metri, realizzata con blocchi di basalto lavorati accuratamente e disposti in filari, il cui diametro diminuisce fino a creare un foro di 35 cm circa a livello del suolo, esternamente. Tale luce è tuttora origine di disputa se fosse in origine chiusa da una pietra circolare o meno.
L’intera struttura del pozzo sacro è realizzata con una tecnica molto accurata. Tutti i blocchi di basalto misurano in media 60 cm di lunghezza e 30 di spessore, e vennero lavorati tenendo conto che il blocco inferiore sporgesse di circa un centimetro rispetto al blocco superiore al fine di creare un profilo dentellato ed un effetto architettonico molto elaborato ed efficace.
Purtroppo, nonostante l’ottimo stato di conservazione, non è rimasto nulla della struttura in elevazione che in origine probabilmente doveva esserci, e copriva interamente la bocca del pozzo.
Ancora oggi l’acqua scaturisce nel pozzo grazie ad una falda perenne che le consente di riempire la vasca circolare scavata nella roccia base e raggiungere il primo gradino della scala. Il livello è mantenuto costante da un presumibile canale di scarico. Questa meraviglia architettonica ed insieme naturale l’ho riscontrata soltanto in Salento (finora!) all’interno del Fonte Pliniano di Manduria. Le antiche genti del Mediterraneo erano certamente in armonia con la propria terra, più di quanto lo siamo noi oggi.
Giovanni Lilliu, archeologo sardo, così scrive del monumento: “Principesco è il pozzo di Santa Cristina, che rappresenta il culmine dell’architettura dei templi delle acque. È così equilibrato nelle proporzioni, sofisticato nei tersi e precisi paramenti dell’interno, studiato nella composizione geometrica delle membrature, così razionale in una parola da non capacitarsi, a prima vista, che sia opera vicina all’anno 1000 a.C. e che l’abbia espressa l’arte nuragica, prima che si affermassero nell’isola prestigiose civiltà storiche”.
La prima menzione con rilievo grafico del monumento è di Giovanni Spano, nel 1857. Questi descrive il pozzo in maniera piuttosto confusa, lo attribuisce correttamente alle strutture nuragiche, ma non riesce ad individuare la vera funzione dello stesso, ritenendolo, per similitudine con altri ritrovamenti, un carcere. Nel 1860 il Lamarmora nel suo Itinéraire elogia il monumento e lo paragona «al famoso sotterraneo, detto il Tesoro di Atreo, a Micene, nella Grecia, descritto e figurato da Giacomo Stuart». Dopo che molti altri pozzi vengono scoperti in Sardegna Antonio Taramelli, nella prima metà del Novecento ne intuisce finalmente la funzione. Il suo lavoro viene completato da Raffaele Pettazzoni, che nei suoi lavori descrive il culto delle acque facendo riferimento anche a confronti esterni all’isola.
Nella struttura sacra e intorno a essa si svolgevano culti riguardanti le acque (una caratteristica che anche questa accomuna i Nuragici ai Messapi del Salento), che riunivano l’intera tribù, richiamando anche le altre da altre parti della Sardegna. E chissà, forse pure da fuori dell’isola: ne sono testimonianza le quattro statuette di bronzo, una raffigurante una figura femminile seduta, ritrovati insieme ad oggetti votivi di produzione nuragica. Testimonia la sussistenza di questi riti nel tempo, anche ben oltre la stessa civiltà nuragica.
Secondo altre teorie, il pozzo potrebbe essere stato anche un luogo di osservazione astronomica. Infatti, in un particolare momento dell’anno, la Luna si riflette sul fondo del pozzo, illuminandolo. Questa è però una tesi non del tutto accettata, da parte di tutti gli studiosi.
Ringrazio di cuore Daniele Melosu, per avermi concesso di condividere queste sue foto! Lo scambio e la condivisione di culture, in fondo, è quanto avveniva già nell’antico Mediterraneo, ed è sempre auspicabile che ciò avvenga sempre di più, a tutti i livelli e fra le genti più lontane. Alla ricerca dei nostri antichi padri che abitavano questo vasto mare.
Fonti: Alberto Moravetti, Il Santuario nuragico di Santa Cristina, Guide e Itinerari, Sardegna archeologica, Carlo Delfino editore. Giovanni Lilliu “La civiltà dei Sardi dal Paleolitico all’età dei nuraghi”. Guida pratica all’Archeologia della Sardegna; 2003, Barbagia Culur-Jones. Sebastiano Demurtas “Paulilatino e il suo territorio”, Zonza Editori. Giovanni Spano “Pozzo di Santa Cristina in Pauli Latino” – Bullettino Archeologico Sardo. Alfonso Lamarmora, “Itinerario dell’isola di Sardegna tradotto e compendiato dal can. Giovanni Spano”, tipografia A. Alagna, Cagliari, 1868. Ristampa anastatica, Edizioni Trois, Cagliari. Antonio Taramelli “Serri. Scavi nella città preromana di S. Vittoria, in “Notizie degli Scavi”. Antonio Taramelli “Il Nuraghe Lugherras presso Paulilatino”, in “Monumenti antichi dei Lincei”. Raffaele Pettazzoni “La religione primitiva in Sardegna”. E. Atzeni “Notiziario” in “Rivista di Scienze Preistoriche”, XXXII, Firenze 1977. A.Lebeuf “Il pozzo di Santa Cristina un osservatorio lunare”, TlilanTlapalan, 2011. La Grande Enciclopedia della Sardegna, vol. 7, a cura di Francesco Floris.
© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e del dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a questa pagina). Tutto ciò che compare sul sito, soprattutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene di voler cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it
Leave a reply