La storia del Salento è stata scritta, sin dal paleolitico e poi oltre, da simboli di ogni tipo, più o meno decifrati dagli studiosi. Tanto c’è ancora, per fortuna aggiungo io, da studiare, ma in questa sede, come sempre, ci piace sguazzare fra le immagini che incontriamo in questo territorio tanto fertile. La simbologia del fallo, oggetto fin dalle civiltà pagane delle origini di riti e culti speciali,
in quanto ritenuto il mezzo con cui raggiungere la fertilità, è stata oscurata nel corso dei secoli, e sminuita da una società che lo mette subito in relazione al “peccato”, alla censura e quant’altro. Ci si dimentica che, molto più semplicemente, la parola “fallo” deriva dal greco phallòs, in relazione alla radice del sanscrito phalati (germogliare).
Sopra, raffigurata su un cratere a figure rosse (470 a.C.) vediamo un’emblematica scena di falloforia: etera trasporta un enorme simulacro di fallo (Berlino, Altes Museum). Nel mondo greco, le falloforie, dette anche fallagogie, erano processioni solenni in onore di Priapo e Dioniso nelle quali si trasportavano enormi falli di legno, accompagnando il corteo con canti tipici, come quello che il poeta Semos di Delo mise in una sua opera teatrale: “Ritiratevi, fate posto al dio! Perché egli vuole enorme, retto, turgido, procedere nel mezzo”. Nel Salento la cultura megalitica è stata spesso associata ai culti di fertilità. Forse si spiega così l’enigmatico significato delle centinaia di menhir eretti sul territorio…
…fra i quali scelgo ad esempio il menhir Malcantone (si trova fra Uggiano e Minervino) perché a detta di una mia cara e simpatica amica è veramente quello che ha più le sembianze del membro maschile. E sicuramente risalgono alla preistoria anche i falli che vidi in territorio di Torchiarolo (foto sotto), presso un menhir forato, usciti da una sepoltura che ne conteneva diversi…
Condivido anche la foto sotto, dell’amico Marco Cavalera, ripreso accanto ad una rara testimonianza della tradizione rurale di questa terra: siamo presso Tricase, ed accanto ad una pagghiara, non fu la civiltà megalitica ma quella contadina a collocare questa pietra fallica al suo ingresso. Un “mito” duro a morire. Purtroppo, recentemente qualche stupido ignorante ha trafugato questo monolite, facendo così perdere un altro di quegli aspetti della campagna salentina che si stanno disperdendo coi tempi nuovi.
Il mio amico Diego De Pandis mi raccontò di un ritrovamento casuale che fece nelle acque di Santa Cesarea Terme. Esperto subacqueo, appassionato e provetto fotografo, un giorno Diego era a 28 metri di profondità, e quando vide questo reperto quasi non ci credeva. Bisogna osservarlo bene per riconoscerlo, la ripresa video rendeva di più in questo caso: un grosso fallo, ben lavorato, all’apparenza molto antico…
Ho chiesto subito ai miei amici archeologi, che mi hanno fatto saltare quando mi hanno raccontato di probabili riti, e processioni, che accompagnavano questo manufatto in epoca classica!
Le grotte di Poggiardo stanno rivelando pian piano tutta l’importanza del loro contenuto. E fra punte di freccia e reperti di ogni tipo, sono saltati fuori anche diversi falli, appena sbozzati, sicuramente usati per culti, ad alto contenuto simbolico…
…sotto, una scoperta dell’archeologo Cristiano Donato Villani, un ciondolo fallico in pietra, proveniente da una capanna protostorica non lontano da Cannole…
…mentre qui sotto, in una foto di Franco Bianco, un simbolo fallico tracciato sulla roccia, in agro di Mesagne.
Il più visibile, ma anche “nascosto”, si trova nelle viuzze del centro storico di Lecce. Siamo ormai in epoca moderna, primi del 900, forse anche prima. Una finestra, una grata particolare, che stava a segnalare una casa per appuntamenti, citata anche dal grande poeta salentino Vittorio Bodini in una poesia…
…una grata che, sostituta recentemente dai proprietari di casa, ha sollevato un’ondata di proteste dalla cittadinanza, tanto che è stata rimessa al suo posto!
Tra le feste e le tradizioni ancora vive ai nostri giorni, in Salento, mi viene in mente la sfida che si tiene ogni anno, nel porto di Gallipoli: una corsa sul palo della cuccagna, unto a dismisura di grasso per rendere l’impresa ancora più ardua, nella quale i giovani gallipolini gareggiano in virilità nell’impresa di afferrare la bandierina posta alla fine. Siamo nei giorni della festa di Santa Cristina, a luglio.
A gennaio, invece, durante la festa di Sant’Ippazio, a Tiggiano, la gente del paese si contende con una vera e propria asta il palo che andrà in processione con la statua del Santo. Una volta che viene aggiudicato, il vincitore deve poi eseguire un rito: uscire in corsa dalla chiesa, fra due ali di folla che gli aprono la piazza antistante, tendendo questa asta lunga oltre 4 metri, e riuscire ad alzarla entro massimo 100 metri di corsa. Impresa fra l’altro non scontata! Ippazio era il Santo a cui le donne ricorrevano quando il marito aveva problemi di erezione, in altri tempi vissuti come una vera calamità, in quanto era fondamentale per le famiglie procreare. Un simbolo che si ripete, dunque, ovunque. Per i Romani il fallo era un amuleto contro la sfortuna, il cosiddetto fascinum, che si appendevano al collo e che toccavano ogni qualvolta ne sentivano il bisogno. Da qui questo millenario gesto di toccarsi per invocare fortuna. Mi ha fatto ridere questa foto del mio amico Diego, che pure a 28 metri di profondità, ha avuto subito questo incontrollabile impulso!
(Approfondimenti sulla nostra galleria dei menhir o in giro per il mondo)
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