IL MONASTERO DI SANTA GIULIA è un complesso conventuale che sorge a Brescia in via dei Musei. Esso ingloba l’antica BASILICA DI SAN SALVATORE edificata in età longobarda, che fa parte del progetto “Longobardi in Italia: i luoghi del potere” Patrimonio Unesco. La tradizione vuole che all’interno del Monastero, Ermengarda, figlia di re Desiderio e moglie rinnegata di Carlo Magno,
abbia vissuto la tremenda vicenda umana di donna abbandonata dal marito perché non in grado di dare un erede all’imperatore. In realtà la storia vera aveva avuto risvolti più complessi e di tipo politico, in quanto volendo i Longobardi conquistare la Chiesa di Roma, il re dei Franchi Carlo Magno, che era alleato con quest’ultima, dovette rinnegare la sua sposa. Di certo c’è che nella Chiesa di S. Salvatore si trovava la tomba di Ansa, moglie di Desiderio ed edificatrice del Monastero stesso.
Nel Museo dell’antica chiesa si trova la bellissima LASTRA MARMOREA DI UN PAVONE, splendido esempio di Arte Longobarda riconducibile al periodo della Rinascenza Liutprandea. Scolpita in marmo proconnesio (dall’ isola Prokonnesos, nel mar di Marmara) recuperato da preesistenze romane, l’opera è databile alla seconda metà dell’VIII secolo e probabilmente faceva parte dell’arredo liturgico della basilica, forse un AMBONE ( pulpito sul quale venivano letti i testi sacri e pronunciate le omelie), insieme ai frammenti di un bassorilievo gemello. L’opera costituisce uno dei più importanti e raffinati esempi della scultura del periodo ispirato all’eleganza bizantina e al naturalismo tardoantico, con l’iconografia del pavone, simbolo che rimanda alla resurrezione di Cristo e all’immortalità dell’anima e che ricorrerà in tutto l’Alto Medioevo.
Nel Sacello di Santa Maria in Solario, posto nelle vicinanze, si trova invece la famosa CROCE DI DESIDERIO, una croce astile in legno rivestito da lamina metallica ingemmata (158×100×7 cm), databile all’inizio del IX secolo. Ornata da duecentododici pietre, cammei e vetri colorati, è il più grande manufatto di oreficeria longobarda esistente e tra i più pregiati e conosciuti, collocabile tuttavia, per l’aspetto generale e la fattura di alcune gemme, nella fase di transizione con la cultura artistica carolingia. Il Cristo crocifisso fu aggiunto successivamente.
L’area della città nella quale venne edificato il monastero corrispondeva a quella occupata dai quartieri nord-orientali di Brescia romana, tra il centro pubblico, costituito da Capitolium, foro, basilica e teatro, e la cinta muraria, immediatamente a nord del decumano massimo, in un’area già depredata dai Goti alla fine del V secolo, e scelta dai Longobardi, che arrivarono nel 569, come area di rilevanza civile e religiosa. Disegno 1 di Francesco Corni (tratto da http://
Qui, le capanne e gli edifici, costruiti durante la prima conquista longobarda, vennero demoliti, per far spazio ad una nuova fase edilizia che comprese, oltre alla costruzione di S. Salvatore I, altri corpi di fabbrica e un pozzo – cisterna distribuiti attorno ad un cortile. La qualità dei nuovi edifici, tutti realizzati in solida muratura di opus incertum, e la loro distribuzione, confermano che si era passati da un insediamento residenziale, che adottava tecnologie povere e costituito da singole unità abitative, ad un insediamento nato da un progetto unitario, per una committenza che disponeva di ben altre risorse economiche. (Disegni tratti da: E.Destefanis, Archeologia dei monasteri altomedievali tra acquisizioni raggiunte e nuove prospettive di ricerca, in http://
Il monastero di San Salvatore venne fondato nel 753 per volere del duca longobardo Desiderio (futuro re) e di sua moglie Ansa. Era un monastero femminile e la prima badessa fu Anselperga, figlia dello stesso sovrano. La fondazione rientra nell’atteggiamento spirituale diffuso in quel tempo nell’aristocrazia longobarda, per cui il monastero possedeva beni ingenti che andavano ben oltre il confine bresciano ed era al centro di una intensa attività di scambio commerciale; entrambi questi aspetti trovano giustificazione nel fatto che San Salvatore ricopriva il ruolo di monastero “regio”. (Disegno tratto da : http://
La Basilica attuale, S.Salvatore III , databile al IX secolo, si trova su più chiese costruite e distrutte nell’arco di pochi secoli. Di queste la più antica è una piccola chiesetta (San Salvatore I ), edificata nel primo periodo longobardo e dedicata ai santi Pietro e Michele, che faceva parte di un monastero o, secondo una vecchia idea del Solmi, di edifici appartenenti al palazzo regio, anteriori alla fondazione di Desiderio. Questa chiesetta poggiava a sua volta su preesistenti presenze di domus romane.
La pianta della piccola chiesa primitiva rientrava nei tipi a ‘T’, con abside potenziata, assai diffusi in ambito adriatico e alpino. Dopo l’integrale demolizione della prima chiesa, nel 753 dC. venne costruita la grande Basilica longobarda ( S. Salvatore II ) a tre navate ripartite da colonnati, con una sola grande abside centrale, a guisa delle grandi basiliche romane. (Disegni tratti da: http://
La chiesa ora è tristemente schiacciata tra gli edifici del Monastero e coperta in gran parte dalla Chiesa di Santa Giulia, ma in origine San Salvatore doveva essere una delle più belle basiliche cittadine, al pari del Duomo Vecchio e delle coeve Basiliche del nord Italia, che, costruite coi caratteristici laterizi e nobilitate dalla serie di arcate cieche ripetute, anticiperanno la severa maestosità del Romanico Lombardo. (Foto adattate da: G.Panazza, A. Peroni, La Chiesa di San Salvatore in Brescia, Ceschina ed. 1962, e da: http://invalid.invalid/
Desiderio voleva una Basilica importante, per cui fece ampio uso di materiale di reimpiego di età classica e di provenienza bizantina. Per cui colonne e capitelli sono tutti diversi nel materiale e nelle decorazioni, ma disposti simmetricamente a due a due.
Nella foto, artefatta, ho cercato di ricostruire la facciata interna da cui si entrava in chiesa.
In questa immagine si vede in fondo la ricostruzione in cemento dell’abside originale, compiuta nei restauri del secolo-scorso-(Foto:httpsit.wikipedia.orgwikiChiesa_di_San_Salvatore_(Brescia)#mediaFileSan_salvatore_(brescia)_interno2.JPG )
Nel colonnato nord si distinguono due capitelli “a paniere” di matrice bizantina, provenienti forse da Ravenna, a seguito della conquista della città da parte degli stessi Longobardi.
E’ interessante notare come a quei tempi fosse vario il riuso delle pietre romane, perchè mentre colonne e capitelli venivano usati come parti nobili, molte lastre scolpite di sarcofaghi vennero usate, capovolte, come pavimento della chiesa ! Questi ne sono alcuni esempi ritrovati nei restauri.
Dopo l’arrivo delle reliquie di Santa Giulia nel 761, da cui prenderà il nome il Monastero, la chiesa venne dotata di una cripta, che subì diverse trasformazioni, sia in antico, sia in età romanica, quando venne ampliata verso ovest. L’accesso a questo ambiente ipogeo avveniva tramite due corridoi anulari dai quali, con scale probabilmente lignee, era possibile scendere alla quota delle arche che contenevano le reliquie.
Nella fase più antica la cripta era di forma semicircolare e lo spazio era scandito da pilastri che sostenevano archetti decorati in stucco ed affreschi. Sulla parete di fondo erano affrescati tre riquadri, incorniciati da ghirlande. Le colonnine attuali sono tutte di riuso, sistemte simmetricamente rispetto alle absidi.
Realizzati da maestranze specializzate itineranti (a dimostrazione di un fiorente scambio economico e commerciale specie con i Comacchiesi, che facevano scalo nel Portus del Canale Brixianus, il più importante della Lombardia), gli edifici vennero costruiti con materiali laterizi e calcarei di recupero e di cava. I muri venivano poi coperti di intonaco e decorati con stucchi ed affreschi. Queste maestranze specializzate contribuirono a realizzare nel Monastero non solo edifici, ma anche infrastrutture come la diramazione dell’acquedotto romano e l’impianto termale, fatti che dimostrano come fosse sopravvissuta e tramandata la capacità tecnologica di costruire “more romanorum”.
La basilica fatta edificare dalla coppia reale Desiderio ed Ansa venne quindi interamente decorata con stucchi ed affreschi integrati tra loro. Nel soffitto e negli intonaci si riconoscono due fasi : l’intonaco più antico, in malta di cocciopesto, dipinto ad affresco e quello di malta più recente decorato a finte crustae marmoree.
Sulle pareti della navata centrale le raffigurazioni dipinte, stese al di sopra degli archi, erano disposte su tre fasce. Nei riquadri del registro superiore erano rappresentati episodi della vita di Cristo dall’infanzia alla Resurrezione; in quello inferiore le vicende delle sante martiri cristiane Giulia, Pistis, Elpis e Agape, le cui reliquie, prelevate nelle catacombe di Roma da Astolfo e donate al monastero, dovevano essere state deposte nella cripta.
E’ interessante notare che alcuni particolari stilistici hanno analogie con le produzioni artistiche Omeiadi ( famiglia nobile medioorientale) di Siria e Giordania della prima metà dell’VIII secolo. Secondo questa ipotesi, dopo il crollo di quell’impero avvenuto nel 750, artisti pregni di quella cultura mista tra mondo costantinopolitano, persiano ed arabo e diffusa nelle regioni mediorientali, si sarebbero trasferiti nell’Italia settentrionale, contribuendo, direttamente o indirettamente, alle decorazioni di prestigiosi monumenti: oltre al San Salvatore di Brescia, Santa Maria in Valle di Cividale, San Benedetto di Malles e San Giovanni di Müstair.
Porzione di affresco della parete. ( Foto da : httpwww.italialangobardoru
Gli stucchi rivestivano un’importanza fondamentale nella decorazione della basilica, a completamento dell’architettura e delle storie dipinte, secondo modelli ravennati (Sant’Apollinare in Classe) e romani (San Paolo fuori le mura).
I diversi motivi decorativi realizzati a stucco (nastri ad intreccio, girali, gigli stilizzati alternati a foglie, archetti intrecciati, cornici con ovoli e fusarole, rosette, gigli cruciformi e rosoni), disposti con attenta simmetria, rivestivano i sottoarchi, le ghiere e le aureole che circondavano i visi dei personaggi principali degli affreschi.
Gli stucchi venivano modellati direttamente sul muro, con un’armatura composta da sottilissime canne, e realizzati da strati sovrapposti; un primo strato veniva steso contemporaneamente agli affreschi, e la modellazione veniva poi completata, ravvivata da colore. In stucco erano anche i lacunari che rivestivano i soffitti di legno a copertura piana.
Gli elementi floreali e vegetali erano impreziositi, come nei fregi del Tempietto di Cividale, da piccole ampolle di vetro colorato inserite al centro dei petali dei fiori o delle fasce. (Le palline rotte a dx nella foto).
La basilica desideriana era poi arricchita da cornici, mensole e formelle in terracotta, esempio isolato nella produzione artistica dell’epoca. Si tratta di manufatti decorati tramite matrice o scolpiti dopo la cottura, con motivi vegetali che rimandano a temi religiosi, quali ad esempio il tralcio di vite; l’assenza di elementi di confronto rende difficile ipotizzarne la corretta funzione.
Nel monastero fino al XV secolo si continuarono a seppellire monache e figure di spicco, sia nella chiesa che nel cortile centrale esterno, dove ne sono state trovate oltre un centinaio, di cui 55 a cassa in muratura, con copertura piana o alla cappuccina. Inoltre nel muro perimetrale meridionale della chiesa era ricavata una tomba privilegiata, di cui resta un arco con tracce di decorazione ad affresco che doveva sormontare una cassa di lastre di pietra, oggi perduta. La presenza su di essa, sino al XVII secolo, dell’iscrizione Ansa regina, regis Desiderii uxor, la posizione importante, che negli edifici religiosi era normalmente riservata al fondatore, e la tradizione di offrire focacce e vino ai poveri in occasione dell’anniversario della morte della regina Ansa (come testimoniavano gli affreschi sulle spallette dell’arcosolio), fanno supporre che si trattasse effettivamente della tomba della moglie di Desiderio. Di fronte all’arcosolio sono presenti altre tre tombe a cassa, probabilmente membri della famiglia di Ansa. (Foto da: httpwww.longobardinitalia.netarticolola-chiesa-di-san-salvatore-di-brescia ).
Anche i motivi ornamentali dell’arredo liturgico in marmo rieccheggiavano la ricchezza delle decorazioni in stucco e in terracotta; molti sono gli elementi sopravvissuti. Ad un ambone dovevano appartenere le lastre in marmo bianco proconnesio ( dall’ isola Prokonnesos, nel mar di Marmara ) con raffigurati due pavoni gradienti verso il centro, uno degli esempi più raffinati della scultura altomedievale, sintesi del naturalismo di età tardo antica e dell’eleganza bizantina.
Smontato il monumento del quale facevano parte le lastre, una venne conservata intatta, probabilmente per le sue qualità estetiche.
Dell’altra lastra gemella se ne trovarono i resti nel 1956, durante i primi scavi sotto la basilica dell’ex monastero.
Lastre ad arco con decorazione geometrica e vegetale dovevano costituire una struttura a baldacchino al di sopra di un altare o di un reliquiario.
Il monastero, oltre che grazie alle ingenti proprietà, era sostenuto finanziariamente dal reame longobardo, per cui la sontuosità dei decori era notevole, sia per quanto riguarda gli arredi decorativi interni che per i manufatti di pregio ivi custoditi. Infatti sono state rinvenuti numerosi resti marmorei databili dal IV al IX secolo costituiti da lastre scolpite e traforate, cornici finemente decorate, colonnine e capitelli che ornavano probabilmente finestre e balaustre della chiesa, della cripta, del convento, dei chiostri e di altri elementi d’arredo sacro.
Dopo la sconfitta di Desiderio e la caduta del Regno longobardo (774), i Carolingi confermarono tutti i benefici precedentemente assegnati al luogo di culto, che proseguì la sua crescita economica ampliando i propri possedimenti in tutta Italia. Qui vediamo due opere risalenti a quel periodo.
La chiesa venne ulteriormente rimaneggiata intorno al IX secolo, modificando il transetto con la realizzazione delle tre absidi, ma nella metà del XII secolo il monastero subì un altro importante rifacimento in stile romanico: furono ricostruiti i chiostri, la cripta venne ampliata e venne edificato l’oratorio di Santa Maria in Solario. ( Disegno tratto da : http://
A questo periodo ( XII secolo ) risalgono i piccoli bellissimi capitelli, decorati da fogliami, protomi umane ed animali, ora conservati nel Museo, che erano stati utilizzati per l’allargamento della Cripta. Essi vennero rimossi nel 1828, quando il Monastero era adibito a Caserma, e nel secolo scorso consegnati al Museo.
Sempre al XII secolo appartengono gli affreschi che decoravano l’ingresso meridionale della chiesa, allargato in occasione del rifacimento della cripta, ed altri affreschi, di ispirazione carolingia, che abbellivano il monastero.
Il sacello di Santa Maria in Solario venne integrato al monastero nella metà del XII secolo. L’edificio, realizzato con marmi di recupero presi dai resti degli edifici romani, ha una pianta quadrata a due piani coronata da un tiburio ottagonale con una piccola loggia ad archi. L’interno è costituito da due piani collegati tra di loro da una scala.
Il piano inferiore non presenta particolari decorazioni o motivi particolari, molto probabilmente perché adibito a stanza di custodia del tesoro costituito da oggetti liturgici e preziosi vari.
Di essi è rimasta la splendida LIPSANOTECA, un cofanetto reliquiario in avorio risalente alla fine del IV secolo.
La LIPSANOTECA è tra le più preziose testimonianze dell’arte paleocristiana su avorio al mondo, il cofanetto è di forma rettangolare, costituito da cinque placche d’avorio istoriato sostenute all’interno da una struttura in legno di noce, aggiunta nel 1928. Alla base sono posti quattro piedini, anch’essi in avorio e aggiunti nel restauro del 1928.
L’apparato iconografico è costituito da trentasette immagini bibliche, disposte in altezza su tre registri, decorate a bassorilievo con episodi e personaggi: per quanto riguarda le fasce superiori e inferiori, tratti dall’Antico Testamento e, per le fasce mediane ed alte, dal Nuovo Testamento.
L’esecuzione dell’opera è attribuibile a un’importante bottega dell’Italia settentrionale, probabilmente milanese, attiva nella seconda metà del IV secolo durante l’episcopato di sant’Ambrogio.
Nell’VIII secolo viene aggiunta la serratura in argento sul fronte anteriore.
La lipsanoteca aveva un ruolo nella liturgia pasquale: durante la prima parte della messa, era tenuta in mano da una monaca che in seguito l’apriva e ne mostrava il contenuto alle consorelle.
Il piano superiore del Sacello, in origine solo intonacato, è stato quasi interamente affrescato da Floriano Ferramola e bottega, nel periodo rinascimentale tra il 1513 e il 1524, con scene tratte dalla vita di Gesù.
Su alcune pareti rimangono frammenti risalenti al XIV secolo.
Gli affreschi, dipinti dal Ferramola, sono un ciclo pittorico esteso a quasi tutte le superfici dell’aula. Ad essi si aggiungono tre riquadri del XV secolo, e un grande affresco probabilmente dipinto da Antonio Gandino del XVII secolo.
In centro alla sala è conservata la splendida Croce chiamata “di Re Desiderio”, ma realizzata nel IX secolo con lamina metalliche e pietre dure e rimaneggiata successivamente con l’aggiunta del Cristo Crocifisso.
Nel Museo sono presenti i pochi affreschi rimasti di quelli che abbellivano il Convento delle Monache di S. Giulia. Tra essi alcuni santi di pregevole fattura, tra cui un bellissimo San Benedetto.
San Pietro e Paolo.
Madonna col Bambino e Sant’Antonio Abate.
Su una parete dell’antico ingresso campeggia una grande CROCE DI GERUSALEMME, antico simbolo dei cristiani d’oriente, che dimostra quanto il Monastero avesse legami con quelle lontane terre.
Il campanile della chiesa di S.Salvatore fu ricavato, nel XIII – XIV secolo, all’angolo sud ovest della chiesa.
La cappella ricavata alla base del campanile fu fatta affrescare dal famoso pittore bresciano Romanino, che, tra il 1526 e il 1527, vi dipinse un ciclo di Storie di sant’Obizio.
Nel tempo sui muri della chiesa si succedettero vari palinsesti ( strati pittorici ). Gli affreschi che si vedono attualmente sono numerosi: di Ferramola e Caylina ( pittori bresciani ) sono gli affreschi della facciata interna della chiesa.
La cappella della Vergine, di fronte al campanile, è interamente decorata dal ciclo delle Storie della Vergine e dell’infanzia di Cristo dipinto dal Caylina dopo il 1527.
La cappella di San Giovanni Battista, attigua a est, conserva invece parte delle Storie di san Giovanni Battista, ciclo ad affresco eseguito da un maestro lombardo del XIV secolo.
La struttura attuale del Monastero è da attribuire all’opera di rifacimento intrapresa nel XV secolo, periodo in cui fu costruito, nel 1466, il coro delle monache, realizzato proprio davanti alla chiesa di S.Salvatore. ( Disegno adattato da : https://
Il Coro, ambiente affrescato entro il quale le monache benedettine del monastero di Santa Giulia per secoli hanno assistito attraverso una finestrella alle funzioni religiose, mantenendo lo stato di clausura, è articolato su due livelli dei quali quello superiore fu completamente affrescato da Floriano Ferramola e Paolo da Caylina il Giovane.
In quel periodo vennero ricostruiti in stile rinascimentale anche i chiostri e fu aggiunto un edificio destinato ai dormitori. In seguito sulle pendici del colle Cidneo e davanti all’antica S. Salvatore, venne costruita la chiesa di Santa Giulia, che terminata nel 1599, ingloberà il coro delle monache facendolo diventare presbiterio. La chiesa è ora adibita ad Auditorium. ( Fonte foto: Internet )
Questo è il rilievo del 1845, eseguito dall’Odorici, che mostrava la situazione della chiesa di San Salvatore e della cripta a quel tempo. Da notare l’abside quadrangolare. Questo disegno è stato utilizzato dal Prof. Panazza nelle sue monografie sul Monastero di S.Giulia pubblicate negli anni 60 del secolo scorso. (In : http://
L’aspetto esterno del Monastero, ad esclusione del massiccio Sacello di S.Maria in Solario costruito con marmi romani di recupero e sormontato dal bellissimo tamburo ottagonale, non conserva più le caratteristiche medioevali, in quanto i rifacimenti, specie quelli ottocenteschi che lo adattarono a caserma, ne hanno snaturato le fattezze originali.
Il monastero non subì altre radicali trasformazioni fino al 1798, quando la struttura venne soppressa a seguito delle leggi rivoluzionarie giacobine. Fu convertito a caserma di cavalleria e tutti i suoi beni furono confiscati. L’intera struttura subì un degrado lento ma costante fino a che, nel 1882, venne adibita a Museo dell’età Cristiana e nel 1966 a grande MUSEO DELLA CITTÀ.
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