Percorrendo la strada Palmariggi Giuggianello, ad un certo punto, sulla sinistra, vedrete una piccola collina alzarsi sulla piana… se lasciate la via principale, e svoltate sulla stradina che si inerpica verso l’alto, state per vivere il Salento più autentico sopravvissuto.
La chiamano la Collina delle Ninfe e dei Fanciulli, una miriade di miti e leggende sono sorti su questo luogo, dalla notte dei tempi, e si sono tramandati sino a noi…
…ma anche chi capiti qui senza conoscere queste storie, non potrà restare indifferente alle atmosfere, la stessa aria, che si respirano qui…
Scalando la collina, subito risaltano agli occhi grandi massi disseminati ovunque…
…poi si arriva alla cripta di San Giovanni…
…oggi, l’accesso è protetto da un arco di pietra…
…mentre all’interno, tutto è rimasto come sempre, ed un odore di umido e di storia ti entra dentro, come un incenso…
Due grossi pilastri sorreggono la volta di questo ambiente sacro…
…che un tempo era completamente affrescato.
Qui si officiava il culto nel rito greco bizantino, almeno fino al XV secolo.
C’è un unico altare, posto al centro, sulla parete di fronte all’accesso.
San Giovanni Battista è una pittura recente…
…la cripta è curata e tornata al culto, negli ultimi anni.
La zona circostante pullula di pozzi…
…qui ce n’è uno…
…che è sempre pieno d’acqua. Non lontano da qui c’è il sito noto come “Massi della Vecchia”…
…ogni volta non riesco a non soffermarmi sui particolari di questi massi imponenti… qui cercavo di salire in cima ad uno di essi, composto da due strutture sovrapposte…
…forse, da mano umana, perché mi sembra di notare alcune pietre piatte inserite come spessore fra i due grandi blocchi, che ne hanno bilanciato la struttura, finendo poi nei secoli col saldarsi.
Per salirci, bisogna proprio arrampicarsi…
…e qualcuno aveva predisposto dei piccoli alloggiamenti per aggrapparsi, prima con una mano e poi con l’altra… ed anche questo sembra fatto ad arte.
Sembra un luogo di culti arcaici…
…in cima ci sono due coppelle scavate, perfettamente circolari…
…ed anche questo, visto dal vivo, non può essere un caso.
Oggi, l’immagine degli olivi seccati dalla xylella “contamina” la magia del paesaggio circostante…
…ma un tempo… chissà quale significato doveva avere questo luogo, per chi lo viveva.
Qui sopra c’è un altro masso gigantesco, tondeggiante: l’archeologo Cristiano Donato Villani vi scoprì un’iscrizione messapica, che oggi si nota a malapena…
… Paolo Cavone ne ha fatto un’impronta in negativo. Anche se quasi illeggibile sembra si tratti di una epigrafe messapica molto antica (epoca arcaica, VI-V sec a.C.) in quanto è sinistrorsa (si legge da destra a sinistra) e compaiono caratteri presenti sono in epoca arcaica. Una trascizione più corretta dovrebbe essere: EAITEMAMOEHT che letta al contrario sarebbe “THEOMA METIAE”. Il termine Theoma ha a che fare con le divinità…
Certamente un responso ufficiale spetta agli esperti di epigrafia messapica dell’Università del Salento ma eccitati come bambini davanti ad una caramella da scartare, non riusciamo a resistere alla tentazione di provare a togliere l’involucro dal tesoro… la parola “METIAE” potrebbe stare per METIS? Metis secondo la mitologia greca era una divinità molto potente, che rappresentava la saggezza, la ragione e l’intelligenza. Il suo nome significa “prudenza” ma anche “perfidia”. Fu lei a salvare Zeus da suo padre Crono (il “Tempo”, che divorava i suoi figli). Una profezia infatti aveva detto che uno della sua prole l’avrebbe scalzato dal trono, per cui Crono per stare tranquillo divorava viva tutta la sua immortale progenie. Metis, facendogli ingurgitare con un trucco una droga glieli fece vomitare tutti. Metis era una divinità assai diffusa nel Mediterraneo, era la madre della dea ATENA. Secondo il mito, Metis è stata la prima amante (e forse la prima moglie) di Zeus, ma la donna non si consegnò facilmente al dio, trasformandosi in mille modi cercando di sfuggirgli, prima di arrendersi. Un’altra profezia diceva che lo stesso Zeus sarebbe stato detronizzato da un figlio avuto da Metis. Perciò, dopo aver fatto infine l’amore con lei, la divorò. Nonostante tutto, Metis era rimasta incinta, anche se non di un maschio. Infatti, un tremendo mal di testa, costrinse Zeus disperato a chiamare Efesto, che, a dirla con un pò di ironia, non essendo stati ancora inventati gli analgesici, non trovò di meglio che spaccare la fronte al dio immortale: da quel taglio “nacque” ATENA! Ora… una eventuale presenza in questo luogo di un culto arcaico di Atena, attraverso la madre Metis, potrebbe fornire una spiegazione del perché un paese delle immediate vicinanze sia stato chiamato Minervino, dal nome di Minerva, corrispettiva latina di Atena. Supposizioni. Oreste Caroppo ci fa notare una correlazione che egli ha stabilito tra il sito delle “rocce sacre”, ninfeion detto anche “dei fanciulli e delle ninfe” di cui parla Nicandro, con quello in questione sulla Serra di Giuggianello: questo parallelismo si basa sulla presenza delle grandi rocce ovviamente, uniche tali, nel contesto salentino, “sacre” quindi, e trasformate in are come dimostrano le coppelle su di esse scavate, ma anche sulla base di tracce etnografiche attuali che raccontano miti odierni simili a quelli arcaici dove le ninfe del mito di Nicandro si sono trasformate nelle attuali fate delle leggende popolari. E così come le ninfe trasformavano i pastorelli messapici in alberi, olivastri a sentir poi anche Ovidio che riprende il mito messapico-ausonico lì narrato, così le Fate del mito si dice che fatassero i fanciulli che lì si avventurassero.
Ovunque sia la verità, queste pietre non sembrano “semplici” pietre, passeggiando fra esse…
…di ognuna è sorta una leggenda, come quella che qui sopra vede il piede di Ercole.
L’amico Vincenzo Ruggeri nel 2008 qui, insieme a me, incappò in un dente di squalo, dopo una semplice ricognizione superficiale del terreno. Questi erano “strumenti” utilizzati sin dalla preistoria, dagli uomini…
…qui c’è un masso che sembra una “Venere” preistorica…
Alcuni amici mi fanno notare che qui fu cavata anche, la pietra. E’ vero, nel “monumento” che vediamo qui sopra, si notano bene i grossi e lunghi monoliti estratti dalla parte bassa. Sono le stesse pietre che ho documentato in un altro reportage che dimostra che in passato furono costruiti in serie diversi casolari di campagna, coperti da un soffitto di grandi travi, come quello qui sotto…
…in una ricerca all’interno di queste strutture ho rilevato alcuni graffiti che portano date fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo (li trovate QUI), quindi si può ragionevolmente ipotizzare che questa pietra fu asportata in quel periodo… ma le grandi pietre arrotondate non furono toccate…
…per qualche motivo, anche dopo tanto tempo, il fascino e il rispetto che esse esercitavano sugli uomini non era mai diminuito.
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