L’acqua e la terra, nel Salento, sono elementi che non si incontrano così facilmente. Terra arida, avvampata dal sole, abitata da gente irriducibile, che a tutti i costi ha lottato per sopravvivere. Terra rossa come il sangue, sempre ha atteso le piogge benefiche con trepidazione, per allungare ancora la sua dolce agonia. Una terra che è quasi uno spartiacque fra il mondo umano e la natura selvaggia.
Quei pochi rigagnoli che sfiorano questa terra dovevano bastare, per sopravvivere, e l’acqua che si raccoglieva dal cielo doveva essere messa da parte come pietre preziose. Ogni goccia, di quell’acqua. Sempre troppo poca. Come i granelli di sabbia in una clessidra, davanti alla foce del fiumiciattolo Idume, che arriva al mare presso Torre Chianca.
L’Idume è il fiume sotterraneo di Lecce, un tempo serviva i sotterranei del Castello di Carlo V. Oggi si può osservare a pochi metri nel sottosuolo di Palazzo Adorno, ma anche in qualche altro punto della città. In realtà, per fiume Idume non si deve intendere un unico corso d’acqua, come generalmente si crede: il geologo Stefano Margiotta ci conferma si tratta di più falde sotterranee, che attraversano il sottosuolo di Lecce a diversi livelli di profondità, indipendentemente fra essi.
A pochi metri da Palazzo Adorno, accanto a quella che oggi è la Basilica di Santa Croce, nel medioevo c’era la sinagoga ebraica, che attingeva l’acqua delle sue vasche per le abluzioni dei fedeli proprio ad una delle falde dell’Idume. Sotto ne vediamo una di queste vasche, proprio recentemente riportata al suo stato originario (clicca qui per approfondire).
Appena fuori Lecce, nel Convento degli Agostiniani, c’è una grande opera di scavo (foto sotto) che fungeva da pozzo e raccolta delle acque piovane (clicca qui per approfondire).
Qui siamo a Strudà, frazione di Vernole, all’interno del seicentesco palazzo Baronale Esperti-Saraceno. Al suo interno sono visibili grandi sale settecentesche ed un ingegnoso sistema di raccolta della acque piovane…
…uno scavo ancora più imponente di quello precedente, a Lecce.
Tornando a Lecce, tutte le sue acque sotterranee confluiscono a poca distanza dal mare in un unico corso, che emerge in superficie, e poi attraversa le campagne antistanti la marina di Torre Chianca, in una piccola ma affascinante foce.
Pochi altri fiumiciattoli hanno aiutato gli abitanti del Salento con la loro acqua. Uno è il canale ‘Nfocaciucci, che passa nei pressi dell’antica città messapica di Valesio, prima di finire anch’esso nell’Adriatico.
La Valle dell’Idro, a Otranto, una volta era solcata da un fiume vero e proprio, al posto del rigagnolo rimasto oggi…
E poi c’è il Canale Reale, le cui sorgenti si trovano nei pressi di Francavilla Fontana, e il suo corso attraversa il brindisino fino a toccare il mare nel bellissimo Parco di Torre Guaceto.
In territorio di Taranto c’è lo storico “fiume” Galeso, lungo appena 800 metri, che il celebre Orazio così cantava, duemila anni fa: “Ripiegherò nelle campagne di Taranto, fra le pecore fasciate di pelli che svernano sulle rive del Galeso. Quell’angolo di terra più degli altri mi sorride, dove ritrovi il profumo dell’Attica nel miele, il verde di Venafro negli ulivi, dove il clima a miti inverni alterna lunghe primavere, e nei suoi vigneti fermentano i vini d’Aulone. Con me su queste colline ridenti ti vorrei, anche se qui un giorno dovrai piangere sulle ceneri ardenti di questo tuo poeta“. E poi il fiume Chidro, a San Pietro in Bevagna…
…anche questo molto breve nel corso, secondo la leggenda ospitò l’apostolo Pietro appena sbarcò in Italia: fu qui che egli cominciò a battezzare i nuovi fedeli cristiani.
Nei pressi, accanto a Torre Borraco, c’è un altro piccolissimo corso d’acqua. Ma questi “fiumi”, oltre che esigui, sono una vera rarità, quindi gli abitanti di questa regione hanno dovuto inventare diversi sistemi per convogliare e conservare il prezioso liquido. Uno dei più caratteristici è quello delle cosiddette “pozzelle”. Si tratta di piccoli pozzi scavati nel terreno, in un luogo di naturale depressione che concentri l’acqua piovana, e poi foderati ad arte, in modo che l’acqua stessa potesse filtrare e conservarsi in questi luoghi, rimanendo al fresco.
In questa sezione, opera dello studioso della Grecia Salentina, Silvano Palamà, possiamo apprezzare il loro disegno, semplice ed efficace.
La Grecia Salentina è un luogo eletto per le pozzelle. Alcuni pensano che questo sistema sia stato introdotto dai greci che colonizzarono questa terra durante il Medioevo. Le più antiche sono state localizzate nei pressi del casale medievale di Apigliano, fra Martano e Zollino.
Nei pressi della Masseria Doria, sempre a Zollino, si possono osservare un altro tipo di pozzelle…
Sono scavate affianco a dei canali, ricoperti da grossi lastroni monolitici, che convogliavano l’acqua…
Sempre a Zollino c’è un altro parco di pozzelle visitabile, dove si può tornare veramente indietro nel tempo, quando le famiglie attingevano l’acqua per la casa e per gli animali, e ognuna di esse ne aveva una, a cui davano anche un nome…
Qui sopra si notano ancora i segni della corda, che tirava su il secchio dell’acqua. Un gesto ripetuto per secoli.
I canali che convogliano l’acqua piovana li ritroviamo anche in altre situazioni. Qui di seguito siamo in agro di Tricase, presso la Cripta del Gonfalone: c’è una rara pagghiara fornita di un vero e proprio sistema scavato nella roccia.
Questo sistema era usato già nell’Età del Bronzo, come si può notare all’interno del Parco Archeologico di Parabita, dove gli studiosi hanno rinvenuto il perimetro di una grande capanna di quel periodo, circondata all’esterno da un canale, scavato sul banco roccioso, che convogliava l’acqua piovana che scendeva giù dal tetto di quella che doveva essere la casa di un capo, e si raccoglieva in una piccola cisterna posta affianco. Si notano anche i buchi da palo che sostenevano questa primitiva casa principesca.
Un canale si può notare anche davanti a Masseria Zundrano, un’importante sito posto lungo la via che nel 1500 univa Lecce ad Acaya…
Un canale ancora più sofisticato è stato messo a punto, identico, in qualche luogo che qui possiamo documentare: la masseria che sovrasta il villaggio rupestre di Macurano…
…e poi nel casale Piscopio, in agro di Cutrofiano.
Qui, il lunghissimo canale attraversa il banco roccioso e finisce, anche questo, in un’enorme cisterna, costruita per questo scopo…
…la cui visione, sbirciandoci dentro, lascia di stucco per l’ampiezza!
… Un paesaggio che possiamo accomunare a quello nei pressi di Giurdignano (foto sotto), a cui vi rimando per approfondire ad un altro reportage.
Si tratta di lunghi e profondi scavi nella roccia, che si inoltrano per parecchio nel territorio, fino a terminare interrati, quindi non più percorribili. Sotto c’è un altro esempio, ancora più grandioso, presso Gallipoli (vedi qui per approfondire).
E poi c’è l’esempio di Casamassella, presso l’attuale Fondazione Costantine…
…dove un lungo canale si dipana nei campi…
…provenendo da una grande cisterna (sopra), oggi nascosta dalla vegetazione, in tutto simile a quella di Casale Piscopio, che abbiamo visto prima…
…il percorso de canale è foderato da pietre, per il suo contenimento.
Qui sopra siamo presso Serrano, a masseria Mancineddha, dove un ingegnoso sistema di canali trasportava l’acqua dal pozzo…
…dal pozzo, qui sopra, l’acqua passava da una prima “cisterna”, piccolina, per poi finire in una grandissima, a cielo aperto, che sicuramente serviva a scopi produttivi (sotto).
Un altro luogo affascinante raccoglitore di acqua si trova all’interno della masseria Il Bello, anch’essa posta lungo la via che univa Lecce ad Acaya, e caratteristica per i suoi muretti a secco, alzati con la tecnica tipica del 1500…
Qui si può vedere una particolare costruzione, realizzata utilizzando enormi blocchi monolitici, grandi come quelli usati dai Messapi, e posta davanti ad una pagghiara. Senz’altro nasconde una grande cisterna d’acqua.
I pozzi sono sempre stati fondamentali, specialmente nelle masserie. Torniamo allo Zundrano, per osservarne uno profondissimo.
Sopra la vera c’è incisa una croce, ed una data: 1901…
Provando a gettare una pietra nel suo interno si prova l’angosciante sensazione di sentire scorrere lunghissimi secondi… prima di udire un tonfo letteralmente assordante nell’acqua nascosta nelle sue profondità.
Fra pozzi e cisterne facciamo una breve carrellata fra altri esempi sparsi nel Salento. Qui di seguito siamo a San Pancrazio, in una zona abitata fin da tempi remoti, usata come cava, per via del prezioso banco tufaceo, ma anche come luogo ideale per costruire i luoghi dell’acqua.
Sopra, il Fonte Pliniano di Manduria (vedi scheda approfondita), celebre luogo dei culti legati all’acqua in epoca messapica, citato da Plinio il Vecchio nel secondo libro della sua Naturalis Historia…
…trova il suo gemello forse nella vicina Sava, nella Grotta Grava-Palombara (vedi approfondimento)… un luogo che intorno presenta una grande quantità di pozzi e sorgenti…
…una grande cisterna…
…e pozzi, ovunque…
Pozzi più appariscenti, quasi barocchi, si trovano in certe masserie e palazzi nobiliari. A Sternatia, città che porta un nome legato all’acqua, all’interno di palazzo Granafei troviamo due bellissimi pozzi…
Di seguito il bellissimo pozzo del Vescovato di Lecce…
A Pisignano, ridente frazione di Vernole, all’interno di palazzo Severino Romano ne troviamo un altro esempio…
…ma anche il pozzo destinato a lavare, come dimostra questa grande vasca in pietra leccese, destinata alle lavandaie…
Immenso il pozzo posto dietro il Santuario dell’Annunziata a Squinzano!
Masseria Tramacere custodisce i resti di un pozzo straordinario…
…di cui qui sopra vediamo una ricostruzione!
Qui siamo nelle campagne di Matino, nel giardino marchesale Del Tufo. Veramente notevole il sistema di irrigazione alimentato da quattro pozzi agli angoli della tenuta collegati tra loro da gallerie sotterranee che permettevano di avere il livello dell’acqua sempre costante in qualsiasi punto della tenuta.
Curioso il serpente catturato nella foto sotto, che si sorregge sulla parete, a sinistra, evidentemente attratto dall’acqua!
E chiudo gli esempi dei pozzi monumentali con quello di villa Scrasceta (Nardò), autentico capolavoro barocco!
Il Palazzo Baronale di Caprarica di Lecce custodisce una cisterna veramente immensa (foto sotto)…
Nelle campagne di Diso, c’è un’interessante canalizzazione per trasportare l’acqua del pozzo…
…più articolato l’acquedotto tardo medievale di Laterza, che convogliava le acque delle Murge Tarantine nella città (sotto).
Interessantissimo il sistema di raccolta delle acque a Depressa, datato in epoca ancora incerta, un vero e proprio laghetto sotterraneo alimentato da 15 pozzelle esterne…
…ed infatti nelle campagne troviamo le tracce più vistose della grande opera di conservazione delle acque. Lungo la Via del Carro, costellata di importanti masserie cinquecentesche, troviamo Masseria Mosca…
…qui, accanto al pozzo, c’è un “corridoio” scavato nella roccia che scende giù, dalle cui profondità è nato un albero di fico…
…l’ambiente ipogeo presenta un’interessante architettura…
…da sopra si può solo sbirciare la struttura, ed in foto non rende bene…
…sembra diviso in più ambienti. Un peccato sia molto pericoloso tentare di scendervi…
…imponente il grande arco che lo sovrasta da chissà quanti secoli.
Qui sopra siamo ora davanti al pozzo di Masseria Dragoni (Vernole), dove chinandomi ho scorto quella sorta di finestrella dal lato opposto, che indica un’altro ambiente… così, colto da curiosità faccio il giro dall’altro lato, dove si apre una discesa scavata nella roccia…
…e, qui sopra, ho potuto vedere la “finestrella” dall’altro lato, che sbocca in uno scavo stretto e cilindrico, al quale può accedere un solo uomo per volta. Forse serviva a ripulire il pozzo.
In periferia di Soleto, si trova l’antico convento dei Frati Minimi…
…anche qui si intuisce una grossa cisterna. Raccoglieva le acque direttamente dalla strada accanto, attraverso delle canalette che la trasportavano al suo interno…
…sbirciandovi dentro, ci si può rendere conto della sua grandezza!
Uscendo da Lecce in direzione di Frigole, si incontra Masseria Tagghiatedhe. E’ qui (sopra) che una grande cisterna si apre nel ventre della terra. Trattasi di un grande serbatoio cui si accede, oggi che è all’asciutto, per una scala rustica, coperta, di pietra locale, che si sprofonda nel sottosuolo, dove, discesi una ventina di scalini quasi a tentoni per il passaggio brusco dalla piena luce a quella scarsa dell’interno, si giunge sul fondo, da cui, con l’abituarsi dell’occhio, se ne intravedono le vaste proporzioni: metri 9,60 di larghezza, per 9,50 di lunghezza con altezza dagli 8 ai 10 metri. Misurando l’interno un migliaio di metri cubi, dovette essere capace di un milione di litri d’acqua, quantità superiore ai bisogni privati, qualunque l’uso che se ne fosse fatto. Il contenuto del serbatoio dové quindi soddisfare esigenze pubbliche, come è confermato anche dall’ingente lavoro occorso per lo scavo in piena roccia e per rendere perfettamente stagne le pareti. Fu il cisternone costruito per i bisogni idrici della vicina Lecce, centro abitato più prossimo, della Lecce che fra II e III secolo d.C. ebbe lo sviluppo che ci è noto, arricchendosi di monumenti romani, dei quali ci restano tuttora venerandi resti? Forse è troppo azzardato, supporlo. Per quanto ingente fosse la capacità del serbatoio, certamente maggiori furono i bisogni della città di ormai esteso sviluppo, a meno che si voglia pensare alla esistenza di altri consimili serbatoi, dei quali, però, non si ha ricordo. La distanza peraltro del nostro cisternone da Lecce conferma l’ipotesi negativa, posto che gli immediati dintorni della città, avrebbero permesso identico scavo in roccia. Più probabile è che le acque del cisternone abbiano soddisfatto le più limitate esigenze di una pur rilevante massa di persone che, anche temporaneamente, abbiano soggiornato sul luogo. Sappiamo che la costa adriatica del Salento fu, durante la repubblica e poi l’impero romano, luogo di riunione e di acquartieramento di eserciti che si preparavano e salpavano verso l’oriente. Chissà che non servì a questi scopi…
Queste notizie sono tratte da un interessante saggio di Gabriele Marzano (Provincia di Lecce – Mediateca – Progetto EDIESSE, Emeroteca Digitale Salentina, a cura di IMAGO – Lecce). Certamente le opere più colossali, veri e propri capolavori di ingegneria che si possono ritrovare nel Salento, ci riportano sempre ai Romani: sono i loro acquedotti. Per esempio, quello di Taranto, che era rifornito qualche chilometro prima della città, nell’odierno agro di Statte, da un ingegnoso sistema grazie al quale si convogliava l’acqua della gravina in un condotto sotterraneo, scavato nella roccia a qualche metro sotto terra…
Il tratto più sotterraneo dell’acquedotto, con l’andamento a curve per smorzare l’impeto dell’acqua. Una stima approssimativa indica la lunghezza di questi condotti in qualche chilometro. Qui sotto il tratto più vicino all’esterno…
Sotto vediamo il tratto esterno dell’acquedotto, denominato “del Triglio”, costruito ad arcate, per tutta la strada fino a Taranto, al rione odierno “Tamburi”, chiamato così per via del frastuono che faceva l’acqua cadendo a cascata nella grande fontana all’ingresso della città.
Tuttavia, nelle mie escursioni nelle campagne, mi sono imbattuto in un’altra opera di scavo, simile a quella che portava l’acqua al Triglio…
…si trova nelle campagne che da Alezio portano a Gallipoli: si tratta di uno scavo molto lungo, sul cui utilizzo non pare esserci spiegazione plausibile se non quello dello scorrere dell’acqua. Ma è solo una mia ipotesi (vedi approfondimento). E poi, non poteva mancare la Brindisi romana, altra importantissima città dell’epoca, rifornita da una gora, il pozzo di Vito, situata a circa 7-8 chilometri dalla città.
In queste foto, scattate da Giovanni Membola e Danny Vitale (autori di un interessante sito sulla storia di Brindisi), possiamo meglio apprezzare e scendere letteralmente all’interno di questa grande opera di ingegneria idraulica.
L’acqua arrivava in città, si riversava in delle grandi vasche, dove veniva addirittura depurata, alimentando poi tutta una serie di terme e fontane pubbliche e private…
Sopra, una visuale dall’alto, del grande complesso sito presso Porta Mesagne, purtroppo rimaneggiato già durante il 1500, per la costruzione delle mura della città. Sotto vediamo gli ambienti delle vasche, in origine ricoperti da volta a botte.
Oltre all’acqua, importantissimo era anche conservare la neve. In tempi antichi, in Salento nevicava ogni anno e spesso, e dietro questo fenomeno atmosferico c’era un vero e proprio commercio, appalti, aziende (anche del nord Italia) che ci ruotavano intorno. Sembra strano affermare che prima c’era la neve nel Salento, ma, oltre ai documenti degli appalti sopra citati, ci sono anche epigrafi datate, sui muri delle chiese, in diverse città del territorio. Di seguito osserviamo quelle rimaste a Minervino…
“4 aprile 1716, nevicò tutto il giorno”…
…”a 31 marzo 1816 nevicò tutto il giorno”…
…e qui sopra siamo a Morigino, frazione di Maglie, dove ci informano che nel 1864 nevicò per 5 giorni consecutivi, in aprile. Erano veramente altri tempi! Queste tracce sono frequentissime, in moltissimi paesi del Salento.
Un libro del 1716 riporta queste righe: “Porto Sancataldo, al quale articolo dessi aggiungere, che la sua entrata dalla parte del castello è assai ingombra di scogli a fior d’ acqua, ma che le navi vi trovano sempre sicurezza contro i venti del primo e secondo quadrante. È pure da quel porto che gli abitanti dei vicini villaggi di Aramagna, e di Acquarica partono per andare in Albania e da colà trasportarvi la neve, della quale si fa grande consumo in questa remota parte d’Italia, colà in iscambio lasciandovi denaro o merce”. Sopra, la mappa dell’Archivio Congedo, mostra questo settore, ed il fantomatico paese di Aramagna (Aramano), dove gli abitanti di questa parte del Salento vivevano facendo commercio di neve. A questo scopo furono costruite ovunque neviere, enormi cisterne, voltate a botte, dove veniva depositata la neve e venduta man mano che se ne richiedeva l’uso (sopratutto in campo medico).
Questa è una grande neviera posta appena fuori Lequile…
Questa invece si trova in agro di Monteroni…
L’antico insediamento di Torcito (Cannole) ne aveva due, o forse tre, di neviere…
Sotto vediamo la neviera di masseria Macrì, presso Supersano. Mentre altri esempi sono segnalati presso masseria Visciglito (Strudà), ed un’altra, ottocentesca, presso Cavallino.
La più grande in assoluto è forse quella che si trova a San Pancrazio, lunga quasi venti metri. Mi resta però il dubbio che si tratti di neviera, e non di un “semplice” cisternone, posta li dove il terreno è facilmente alluvionale e quindi non ideale per la conservazione del ghiaccio.
Un mondo tutto da scoprire, una pagina poco nota del Salento, che rivela comunque la tenacia e l’ingegno di un popolo che ha sopperito alle mancanze della natura con la forza dell’intelletto!
© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e il dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a questa pagina). Tutto ciò che compare sul sito, sopratutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene far cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it
Le vie dell’acqua nel Salento
TESTI E FOTO IN AGGIORNAMENTO PERIODICO
Aramagna è chiaramente masseria Ramanno.
Complimenti per la ricerca e per la chiarezza espositiva e di contenuto. Un excursus davvero interessante che ci fa ripercorrere la storia e la civiltà del Salento. Fin troppo ovvio augurarsi tempestivi interventi di conservazione e restauro! Questi siti sono tutti segnalati alle competenti autorità? Buon lavoro! Noi siamo qui per sostenere la tutela del Patrimonio storico – artistico. Rubens Pitt
Grazie per i complimenti! Noi ci entusiasmiamo ogni volta che destiamo interesse, da parte di chiunque. Certo, ogni sito è ben conosciuto dalle autorità competenti. Purtroppo il patrimonio storico artistico del Salento è così vasto che ci vorrebbe…un esercito, per tutelarlo! Un abbraccio!
Complimenti per il lavoro riguardante ‘Le vie dell’acqua nel Salento’: dai una panoramica sull’argomento in modo accattivante. Dovresti proporlo alle scuole e
programmare uscite dal vivo. Non tutti conoscono queste realtà del territorio salentino. Auguri. Rossella Barletta
Le tue parole mi fanno onore, Rossella. Ma giro i complimenti a questa terra e alla sua gente (sopratutto quella dei secoli scorsi!).